Prima o poi doveva capitare, era inevitabile che anche un infallibile artigiano della melodia pop come Neil Finn iniziasse a perdere il suo tocco magico. Le prime avvisaglie si erano in effetti già avvertite nel precedente e altalenante "Time On Earth", il disco dell'inaspettata reunion dei Crowded House dopo 11 anni, ma nonostante qualche lungaggine e pomposità di troppo, emergevano comunque diversi brani che portavano il loro inconfondibile marchio: armonie rotonde, mai una nota fuori posto, refrain immediati eppure mai banali, brani arrangiati in maniera sempre impeccabile e sobria.
Spiace davvero constatare che stavolta tali caratteristiche costituiscono le eccezioni di un album che, anziché rappresentare la zampata di classe che giustifichi definitivamente il ritorno del gruppo non solo come un' operazione nostalgia, preferisce adagiarsi su ritmi indolenti, puntando su arrangiamenti acustici e robusti, che purtroppo mascherano le carenze in sede di composizione.
Mettiamo subito le cose in chiaro: non c'è niente che possa definirsi brutto e inascoltabile in quest'album, Finn e soci sanno svolgere bene il loro lavoro, ci mancherebbe, ma mai come stavolta appaiono ordinari, poco distintivi e trascinanti. Sicuramente "Intriguer" è, nelle loro intenzioni, l'album più introspettivo e maturo dei Crowded House, e in un certo senso lo è, ai limiti della geriatria, però.
"Amsterdam", "Falling Dove" e "Isolation" sono tutte corpose ballate che si trascinano stanche, opache, senza guizzi (l'ultima delle quali persino appesantita sul finale da un'inutile virata rock) e soprattutto senza quella leggerezza e quella poesia che avevano sempre caratterizzato i loro lenti migliori; quando poi si cimentano con la marcetta rock di "Inside Out", suscitano anche un po' di tenerezza tanto suonano anacronistici.
Fortunatamente ci sono anche momenti più che godibili, non soltanto il singolo "Saturday Sun", che apre l'album col giusto piglio sbarazzino (vorrebbe bissare, non riuscendoci comunque, "Distant Sun" dal loro album migliore, "Together Alone"), ma soprattutto i due pezzi più luminosi e snelli del disco, "Twice If You're Lucky" (c'è lo zampino di Jon Brion dietro) e la più lenta e tinta di samba "Either Side Of The World", che spiccano prepotentemente e ci ricordano di quali e quante meraviglie pop Neil Finn ci ha regalato negli ultimi 25 anni.
Tuttavia, nonostante la conclusiva "Elephants" (una delicatissima ballata a ritmo di valzer) e il malinconico e sbilenco quadretto di "Archer's Arrow" (impreziosito dal violino di Lisa Germano) siano due numeri di innegabile classe, è difficile non sentire un retrogusto amaro durante l'ascolto complessivo di "Intriguer".
A differenza del Regno Unito e del continente oceanico, l'Italia non ha mai troppo apprezzato e celebrato la penna di Neil Finn ed è un peccato aver quasi la certezza che purtroppo non sarà certo quest'album a far cambiare l'immeritata situazione. La stima è comunque immutata, una crisi di mezza età è fisiologica per tutti.
20/06/2010