Perdoniamole l'equivoco: in un primo momento "The London Sessions" ci era stato presentato come una mossa radicale, dove l'attraversamento dell'Atlantico sembrava il punto di non ritorno anche per una come Mary J. Blige, fiera newyorkese cresciuta nel Bronx - ancora ne porta la cicatrice sul volto. In realtà, Mary non si è trasferita in uno scantinato di Deptford a sperimentare con garage e Uk-bass: piuttosto, ha fatto check-in al Mandarin Hotel di Hyde Park e ha raccolto attorno a sé tutti i nomi associabili all'alta classifica inglese degli ultimi tempi – Sam Smith, Emeli Sande, Naughty Boy, Sam Romans, Eg White e i Disclosure. La Londra di Mary è dunque un posto elegante ed esclusivo che tradisce una visione del vecchio mondo romantica e un po' stereotipata, e le sonorità amate dai londinesi sono in realtà delle semplici cornici attorno alla sua forte presenza.
Tuttavia, una mossa è avvenuta; "The London Sessions" è il nuovo piccolo passo in avanti per un'autrice giunta all'undicesima pubblicazione di una carriera certo blasonata ma, recentemente, un po' in calo. La formula confessionale, cruda e dolorosamente "stonata", rimane intatta: Mary non ha mai attraversato la vita con grazia, anche all'apice del successo, le sue vicende private erano dominate da uomini violenti, droga, alcol e profonda depressione. Oggi, sobria da quasi due anni e finalmente accasata in una relazione stabile, ha trovato le parole per guardare al proprio passato, e lo fa senza lacrimevole tristezza né eccessivi drammatismi di sorta, anzi a momenti tirando quasi un sospiro di sollievo e chiedendosi come abbia fatto a sopravvivere a certe situazioni – finalmente lo può dire: "No More Drama".
L'interpretazione è quanto di più nudo e vulnerabile Mary abbia commesso su disco da anni a questa parte; ecco le crude parole di "Whole Damn Year", la disarmante semplicità di "When You're Gone", il doo-wop di "Therapy" e i marcati cori di "Doubt", oppure due splendide ballate come "Not Loving You" e "Worth My Time", tutti indicatori di una forza interiore finalmente vincente, pur ancora dolorante e con tagli da rimarginare. La nuova deriva electro-dance di "Right Now", "Loving You" e "Nobody But You" aumenta il ritmo e svecchia la formula dell'r&b americano, ma l'atmosfera rimane intima e personale, come se la mano dei fratelli Lawrence accarezzasse il synth con fare quasi intimorito dalla presenza di una simile vocalist.
Certo, "The London Sessions" presenta qualche passaggio meno incisivo, come "Long Hard Look" e "Follow", oppure il bizzarro sample di clarinetto di "Pick Me Up", e manca di un singolo incisivo per rilanciarsi in grande stile come ai tempi di "Family Affairs" – nonostante la critica entusiasta, le vendite al momento non sono certo state delle migliori. Ma sono peccati veniali: dopo anni di lavori passati sottotono, "The London Sessions" mostra una Mary J. Blige adulta e caparbia, forte come non mai della ritrovata sobrietà e capace di scommettere sul proprio futuro azzardando una mossa diversa dal suo solito. Queste sessioni ci regalano un pugnetto di brani emozionanti che, a seconda del momento, potrebbero anche misurarsi con la sua dorata produzione anni 90. Bentornata, Mary.
04/12/2014