Uno dei punti fermi della rivoluzione punk era la rinuncia ai canoni del rock e delle sue regole: per essere aggressivi non era necessario irrobustire il sound, ma piuttosto sprizzare energia anche con tre strumenti neanche accordati. La stessa regola nutriva la rivoluzione pop: le canzoni avevano ritornelli malinconici e oscuri che si nutrivano degli spazi liberi lasciati dall’approccio naif e rinunciavano alla sovrapproduzione del mainstream.
Il nuovo album dei Metronomy “Love Letter” è sostanzialmente un album dall'attitudine pop-punk: rinunciando all’estetica del revival elettronico e ampliando il fronte esoterico e psichedelico del suono, come già ampliamente annunciato nel precedente “The English Riviera”, il gruppo, dopo aver rielaborato il synth-pop e il rhythm & blues, affonda le mani nell’elettronica analogica, sporcandola in un magma psichedelico dai toni folk e pastorali.
I Metronomy sembrano aver finalmente preso confidenza con lo studio di registrazione e hanno acquisito completa padronanza dei timbri e dei colori della loro musica: registrato nei Toe Rag Studios di Londra (gli studi analogici dove hanno lavorato i White Stripes) l’album rielabora le intuizioni pop del passato incrociandole con fluidi kraut-rock (“Reservoir”) e strambi residui di weird-folk (“Never Wanted”) con risultati inediti che sono il frutto di una visione leggermente apocalittica della natura umana e della incomunicabilità contemporanea.
È musica agrodolce, elegante, dove è il ricordo a vincere sulla spensieratezza dell’euro-disco anni 80 (la suggestiva malinconia di “The Most Immaculate Haircut”) o il cinismo a sconfiggere l’utopia (l’oscuro timbro teutonico della minimalista ballad notturna “Call Me”). I Metronomy restano infatti abili nel creare nuovi standard di pop elettronico con soluzioni liriche e ritmiche originali e atipiche: valga su tutte l’obliqua strategia armonica del piccolo gioiellino ”The Upsetter“ che apre l’album creando un ponte tra il passato e il presente, o la spensieratezza cristallina di “Love Letters”, una sbarazzina pop song anni 60, ricca di coretti femminili e riff uptempo.
“Love Letters” sottolinea la vulnerabilità di una generazione cresciuta all’ombra delle ultime utopie generazionali e trova nella psichedelia l’ultima frontiera per recuperare la sincerità di un pop ormai vittima delle sue regole e dei suoi cliché, spingendosi oltre i confini della West Coast e del trip lisergico in “Month Of Sundays” per poi ripiegare verso il soft-porn-disco di “Boy Racers”. Altrove rispuntano tenui spunti soul (“I'm Aquarius”) e nuove soluzioni chamber-pop (“Monstrous”) che citano Zombies e Byrds, ma restano sempre legate a una struttura da demo-recording che amplifica il fascino retrò e quasi alieno di “Love Letter”.
La musica dei Metronomy è una lettera d’amore dove tutti siamo destinatari ma non c’è nessuna promessa, solo la consapevolezza di dover rielaborare il linguaggio della musica pop per incrociare i sogni di una generazione in bilico tra realtà virtuale e decadenza culturale.
21/05/2014