Isaac Asimov non credeva possibile che i robot potessero rinunciare alle tre leggi della robotica, ma in cuor suo sapeva che ogni corpo attraversato da elettricità possiede un'anima, e se da ora in poi guarderete con un certo timore e rispetto il vostro cellulare o lo schermo del vostro personal computer, o addirittura la lampadina dell'abat-jour, è per merito o colpa dei Metronomy.
"The English Riviera" è il manifesto più vitale dell'anima di ogni corpo tecnologico, una creazione di musica elettronica che non usa effetti speciali o roboanti trucchi industriali; è l'anima sofferente e gioiosa della tecnologia quella che i Metronomy ci rivelano, ed è più affascinante del residuo creativo che resta a noi umani.
Il terzo capitolo del gruppo è il manifesto della melanconia elettro-pop, lì dove Pulp, Saint Etienne, Scritti Politti, Associates, Pet Shop Boys, Air, Wire e altri illuminati hanno già osato, il gruppo londinese emerge con autorevolezza e consegna uno dei migliori album dell'anno.
Senza tralasciare gli elementi disco-rave dei loro esordi e coinvolgendo in modo creativo il bassista Gbenga Adelekan e la batterista Anna Prior (reclutati dopo il secondo album "Nights Out") i Metronomy programmano una struttura malleabile che sfida i confini dei precedenti album, progressive, spunti cantautorali, pop puro, country-blues, trame Aor e altre contaminazioni si depositano su un terreno fertile e generoso.
I Metronomy applicano il metodo sophisticated degli Steely Dan e dei Fleetwood Mac al pop elettronico, con un distacco stilistico che ricorda i Talking Heads. Sonorità che cullano l'udito, canzoni prive di cedimenti armonici, e soprattutto un fascino retrò trasversale che cattura.
Una linea guida di basso accoglie twist e beat in "Everything Goes My Way" e trasforma il pop in un gioco numerico dove vince la semplicità e l'incastro stilistico, "Trouble" corteggia l'America anni 50 con un romanticismo essenziale e una melodia che è un piccolo classico.
La sensualità che si è insinuata nel sound del gruppo è figlia del funky più raffinato e si colora di inattese soluzioni sonore in "We Broke Free" che sposano Boz Scaggs a Prince e Terence Trent D'Arby.
Più english l'anima negroide di "She Wants" che i synth destrutturano in una contagiosa e malsana ballata di rara bellezza.
Geniali strutture da dance-floor che riscrivono la british invasion degli Human League con sfumature più malinconiche in "The Bay" o con toni festosi e irresistibili nel perfect-hit-single "The Look", ma anche avventurose pagine di vintage-pop come "Corinne", dove i Metronomy sfoggiano tutta l'arte della rifinitura artigianale e industriale che rende "The English Riviera" rimarchevole.
Album della maturità e della consapevolezza, "The English Riviera". I Metronomy, dopo averci condotto per mano nelle gioie dell'elettro-pop, scrivono nuove pagine in cui confluiscono jazz, world music e latin-sound ("Some Written"), psichedelia bizzarra alla Connan Mockasin ("The English Riviera"), oscure trame post-lo-fi-depression ("Loving Arm") e meravigliose creature dove il ritmo cresce in un tortuoso e gigantesco insieme di elettronica moderna ed euro-dance. Ed è proprio quest'ultimo episodio la definitiva conferma del talento del gruppo: il brano possiede una urgenza che cattura l'anima di Londra, Parigi, Berlino, Hong Kong e Tokio con charme e fervore, e apre a nuove soluzioni da approfondire in futuro.
"The English Riviera" ricolloca il lato romantico del pop inglese e americano. Come i Supertramp di "Breakfast In America" i Metronomy giocano coi confini stilistici del pop, come artigiani rifiniscono con maestria un sound ricco di dettagli che si conserva leggiadro e imponente, un album che è il trionfo dell'immaginazione pop e ripudia le false ambizioni indie.
11/12/2011