Rye Boys

MotherFolk地Rock地Roll

2014 (self released)
alt-folk

Nati in una fredda mattina di dicembre, dalle ceneri di un mozzicone di sigaro abbandonato dal diavolo.
I Rye Boys si presentano così, con lo spirito visionario di una vecchia storia folk raccontata intorno al fuoco. Ancora meglio se con una bottiglia a portata di mano, visto che è proprio alla segale del whiskey che si ispira il nome del collettivo texano. Il whiskey più grezzo e crudo di tutti, esattamente come la musica del loro arrembante esordio “MotherFolk’nRock’nRoll”.

Una gang di amici, prima ancora che una band. Un gruppo di sbandati cresciuti a Granbury, una cittadina nel cuore del Texas con tutti i connotati del più classico scenario di provincia: “Non c’era molto da fare a parte fare musica, farsi di droghe o fare figli”, raccontano sorridendo i Rye Boys. “Noi abbiamo scelto la strada della musica, con un piccolo aiuto dal lato delle droghe…”.

 

Un arpeggio polveroso di banjo apre la strada a “Lucy Song” con il passo di una ninnananna traballante. Tra accenti di tamburello e fischiettii, è la voce febbrile di Clayton Smith a conquistare il centro della scena, in un crescere di foga che va a tuffarsi direttamente nella cavalcata di “Yellabelly”: un concentrato di un minuto a base di elettricità sferragliante e irruenza folk a bassa fedeltà che mette subito in chiaro le coordinate di “MotherFolk’nRock’nRoll”. C’è l’impeto dei primi Okkervil River, ma con una visceralità più immediata e ruspante. C’è la nuova Americana dei Buster Blue, ma condita con una sfrontatezza fatta di cori ad alto tasso alcoolico. “Non sono altro che le canzoni che abbiamo tirato fuori per evitare di diventare pazzi”, sostengono i Rye Boys. Ma il loro debutto mostra una personalità che va oltre la semplice valvola di sfogo.

A testimoniarlo basterebbero anche solo le chitarre slabbrate che accompagnano i chiaroscuri di “Candidate”: un incrocio di sguardi, un sorriso, la promessa di quello che potrebbe accadere. E poi l’esplodere di un chorus stentoreo, a dare voce a tutto il senso di inadeguatezza tenuto nascosto dentro di sè: “I am the worst candidate/ To mend your broken heart, cause I’m not whole/ I can’t help you or myself, the only thing I know is running away”.

 

Quattro giorni di dissolutezza a Dallas nel mezzo dell’estate, qualche sovraincisione nei locali della vecchia Sons Of Hermann Hall e alla fine il mix affidato all’esperienza del songwriter Salim Nourallah: sono nate così le canzoni di “MotherFolk’nRock’nRoll”, con tutti gli spigoli della registrazione dal vivo. Accanto a Clayton Smith, a completare le fila dei Rye Boys ci sono Nic Harper al banjo, Jobie Ritchie al basso e Kraig Zirnheld alla batteria, con l’aggiunta di Denver Graves alla produzione. Tutti decisi a evitare a ogni costo il rischio di suonare troppo addomesticati.

Niente a che vedere, però, con l’enfasi a buon mercato di Lumineers e affini. Anche quando i toni si abbassano e si fanno più cantautorali, come nella scarna “Yesterday”, la tensione resta intatta, riuscendo a parlare persino di guerra con una franchezza che sfugge alla trappola della retorica: “I can’t stand to see more people die/ Society calls me a coward: you’re goddamn right, I am petrified”.

 

Tra sarabande spensierate e trascinanti (“Aeroplane”) e pianoforti presi in prestito dal retrobottega di un saloon (“Mama”), le urla dei texani si fanno più sguaiate che mai nella filastrocca da cowboy di “Good Time”, posta non a caso in chiusura del disco. Il loro segreto è semplice: “La gente vede che ci divertiamo a suonare e vuole divertirsi con noi… che sia sul palco, a una festa o intorno a un bivacco”.

A tradurre in pratica la filosofia dei Rye Boys ci pensa il country scalpitante di “Nickels & Dimes”, con il suo invito a lasciare da parte le preoccupazioni e lanciare una moneta ai musicanti. Perché è la musica che dà la spavalderia che occorre per affrontare la vita di ogni giorno senza arrendersi alla rassegnazione. E persino quando si affaccia l’ombra della morte, per guardarla negli occhi basta lasciarsi andare ai battimani di “Misery Keeps”: “I don’t know much but I know one day I will die/ One day they’ll list some things I done to a room half full of people I barely knew/ Hey, so it goes, halleluiah!”.

27/06/2014

Tracklist

  1. Lucy Song
  2. Yellabelly
  3. Follow Me, Pt. 1
  4. Follow Me, Pt. 2
  5. Candidate
  6. Yesterday
  7. Nickels & Dimes
  8. Misery Keeps
  9. Aeroplane
  10. Mama
  11. Yard’s On Fire
  12. Good Time

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