Da quando il tempo atmosferico non è più una variabile casuale che può al massimo determinare una passeggera variazione d’umore, ma tutto a media nulla, e ci siamo resi conto che invece ci siamo messi su un brutto binario e il nostro umore non potrà che peggiorare, ecco che anche l’arte trova modo di flirtare col nostro concetto e rapporto con la meteorologia.
Il tempo, in “Way Out Weather”, non appare in realtà così minaccioso: il nuovo disco di Steve Gunn, con evidenza un chitarrista prestato al songwriting, rappresenta però un consolidamento del particolare rapporto di questi con la tradizione americana e con tutto il suo contesto iconografico.
I paesaggi si fanno infatti ancor più vasti, dipanandosi come emergenti nella nebbia, che i riff sempre tersi ed eleganti di Gunn dissolvono pian piano (“Milly’s Garden”). Forse meno potente dal punto di vista espressivo e troppo innamorato degli strumenti per avvicinarsi troppo, “Way Out Weather” ricorda in diversi passaggi “Lost In The Dream” o “Wakin’ On A Pretty Daze” (“Drifter”) – ma, chissà perché, in quel certo modo per cui non ci aspettiamo che Kozelek lo definisca mai “beer commercial music”.
Troppa padronanza – “troppa” in tutti i sensi, forse – per essere apostrofato in quel modo, a vedere il bel cambio di passo tra l’ottima jam da “cavallo pazzo” di “Drifter” e la psichedelia uggiosa di “Atmosphere”, che si concretizza poi nelle visioni Conrad-iane della tenebrosa giungla di “Tommy’s Congo” (buona e inaspettata l’interpretazione vocale di uno Steve sciamanico).
Insomma, “Way Out Weather” rappresenta un bel passo in avanti per Steve Gunn, che riesce, più che in “Time Off”, a utilizzare compiutamente le sue competenze e il suo talento di musicista. Se tutto questo si possa tradurre in un qualcosa di più potente e viscerale, è ancora tutto da vedere.
(07/11/2014)