Beyond love
The first thing that I do before I get into your house
I'm gonna tear off all the petals from the rose that's in your mouth
(“Beyond Love”)
Se oggi dovessimo nominare i portabandiera di quel che resta nel nuovo millennio del dream-pop, questi non potrebbero che essere Victoria Legrand e Alex Scally: assieme continuano a scrivere l’ipotetica colonna sonora di un sogno ad occhi aperti in grado di cullare l’ascoltatore e trasportarlo in una dimensione meravigliosamente onirica.
Un mondo etereo e soffuso, quasi fatato, perfezionato attraverso quattro dischi clamorosamente belli, fatti di canzoni intense ed emozionanti, architettati ponendo al centro della scena la sensuale voce di Victoria e i suoi sinuosi synth, arricchendo il tutto con i gentili intarsi chitarristici di Alex e la drum machine ad accompagnare con la dovuta discrezione.
Non sprecate il tempo a cercare fra questi solchi chissà quali rivoluzioni copernicane, i Beach House si spostano pochissimo, quasi nulla dal proprio saldissimo baricentro musicale, basti l’ascolto della seducente “Space Song”, il fiore all’occhiello di “Depression Cherry”, in pratica una nuova “Wishes”, una traccia che mantiene saldissimi i legami con il precedente “Bloom”.
Nella successiva “Beyond Love”, una di quelle canzoni così strappacuore che dovrebbero essere vietate per legge, arrivano le incancellabili stimmate elettriche a completare un quadro emozionale con pochi uguali al mondo. L'ipnotica “10:37” e la zuccherosa “Wildflower” restano ai margini dell’altro caposaldo del disco, “PPP”, chiuso da una sontuosa coda strumentale dove le semplici ma efficaci linee di chitarra prendono il sopravvento.
La signora Legrand fissa i droni sonori con la mano destra, mentre con l’altra ricama melodie, su frasi musicali mandate in loop i due Beach House improvvisano per ore, e ciò che viene fissato su disco non è altro che la migliore sintesi possibile del loro processo compositivo, perfettamente rappresentato dall’evoluzione dell’iniziale “Levitation”.
In “Depression Cherry” quasi tutto è lasciato volontariamente a uno stato minimale, una sorta di ritorno alla semplicità, tutto è misurato, un’estasi malinconica che resta delicata persino quando l’impostazione ritmica e delle voci arriva a lambire i My Bloody Valentine più oppiacei (“Sparks”).
Raffinatissimi intarsiatori di infallibili melodie, i Beach House compiono l’ennesimo miracolo di scrittura, un sano nutrimento per l’anima che trova epilogo nella celestiale “Days Of Candy”, un congedo eucaristico, una mini-sinfonia angelica di ascensione, e se lasciate il lettore in modalità continua, ripartirà da “Levitation”, e la magia non avrà mai fine.
Con “Depression Cherry”, il duo di stanza a Baltimora resta artisticamente fedele a sé stesso, e nel frattempo aggiunge nove diamanti purissimi al proprio prezioso carniere.
Se siete degli inguaribili romantici, se desiderate un disco che rappresenti la malinconia dell’autunno ormai alle porte, se avete bisogno di innamorarvi ancora, oppure di lasciarvi lacerare il cuore, se dalla musica cercate emozioni in grado di entrarvi dentro in punta di piedi e dilaniarvi con lentezza, beh, “Depression Cherry” non sarà per tutti voi soltanto uno dei dischi dell’anno, sarà uno dei dischi della vita.
03/09/2015