Per dare alla luce questo album collaborativo fra due pesi massimi della ricerca sonora nostrana, si è costituita una vera e propria coalizione di etichette discografiche. Ben quattro fra le più importanti realtà attive nella diffusione della ricerca sonora dalle nostre parti, a metterci firma e impegno: la rinomata e storica FinalMuzik di Gianfranco Santoro, l'italo-svizzera Old Bicycle di Vasco Viviani, la Oak Editions di Francesco Giannico e la Grey Sparke dello stesso Matteo Uggeri. Quattro marchi che sottendono altrettanti universi sonori: rispettivamente l'industrial più esoterico e colto, la sperimentazione dal (post)-rock all'elettronica, la sound art ambientale/paesaggistica e una forma più concreta e illustrativa di ricerca sonora.
Una task force cui prima ragione di vista è sicuramente la possibilità di co-produrre il lavoro di due artisti dalla caratura elevatissima. Da un lato nientemeno che Cristiano Deison, uno dei pionieri della abstract composition a livello internazionale. Dall'altro Matteo Uggeri, uno dei più eclettici protagonisti dell'underground nostrano, il cui curriculum spazia dall'industrial duro e puro (le esperienze con Norm, European Cementery, Meerkat ecc.) al noise estremo (il temibile progetto Der Einzige) e studiato (Normality/Edge), fino ad arrivare all'esperienza più squisitamente organica di Hue, al “post-rock” isolazionista degli Sparkle In Grey e all'ambiance illustrativa dei dischi a proprio nome.
Proprio quest'ultimo è l'universo sonoro in cui si colloca anche “In The Other House”, disco che giunge al culmine di un percorso “condiviso a distanza” dai due artisti, che ha portato entrambi ad avvicinarsi sempre più all'esplorazione del concreto e del materiale. Le sei immersioni del disco raccontano l'esperienza dei due in una non-specificata casa infestata da presenze oscure, che non si palesano mai, ma la cui vicinanza è facilmente percepibile attraverso la variazione del proprio stato d'animo. Leggendo il racconto posto all'interno della copertina, è facile intendere come alla fine esse siano niente altro che il riflesso dei propri fantasmi interiori (paure, insicurezze, incertezze) che trovano nell'ambiente lugubre della vecchia dimora un luogo perfetto per palesarsi.
La partenza di “Fessure (Attic And Stairs)”, fra vaghi arpeggi di chitarra e sinistri rumori di fondo, immerge in un'oscurità che presto si traduce in inquietudine interiore, grazie all'intervento del violino. La successiva “So Detached (Dining Room & Terrace)” converte l'impressione in sostanza, fra richiami sinistri ed eco di rumori, prima che in “Micro Drama (Kitchen)” timore e mistero si alternino in forma di field recordings industriali e droni.
Il terrore nella sua forma più brada non è mai evocato, nemmeno nella morsa stridente di “Stasis (Bathroom)” o nella paralisi emotiva di “Worried Stagnation (Bedroom)”: le mutazioni metalliche e le colate di liquidi da un lato, i sussurri oscuri nel vuoto dall'altro non fanno che portare l'inquietudine all'epos, senza però mai superarla.
E dopo un paio di ascolti attenti è come se si riuscisse nell'impresa di familiarizzare quest'ambiente impervio, (ri)scoprendone la sua origine interiore, (ri)conoscendolo come parte di sé ben più che del luogo evocato. Solo in questo stadio avanzato di fruizione riesce ad acquisire un senso compiuto il finale quasi ironico di “Prelude, Largo (Stairs And Cellar)”, una sorta di composizione concréte tascabile in cui il timore coltivato lungo tutto l'arco del lavoro si infrange contro un muro di consapevolezza, come se il mistero cullato per tutti e cinque i brani precedenti, effettivamente, non fosse che un'impressione. Una prova magistrale di capacità illustrativa e descrittiva per due artisti che hanno fatto del loro gergo sonoro un autentico linguaggio narrativo.
17/09/2015