Il blue del titolo è il colore della malinconia, ma questa volta è la felicità la sua compagna fedele, in un matrimonio che trova filiazione spontanea nella solitudine e nella contemplazione della bellezza, quest’ultima assunta a ragion pura della musica di Trevor Jones.
Non cercate novità o rivoluzioni sonore in “Happy Blue”, né avvicinatevi ad esso per gustarlo in fretta e abbandonarlo tra i cento dischi che non ascolterete mai più, ignoratelo se non avete mai assaporato il passionale romanticismo di album come “In Cassidy’s Care” o “Keepers”, volgete lo sguardo e l’orecchio altrove.
Trevor Jones non cerca nuovi amici dai quali farsi applaudire, ma solo compagni di viaggio coi quali assaporare le ultime cose per le quali vale vivere e sognare.
Tredici nuove canzoni di cui forse molti potranno fare a meno, ma di cui nessuno potrà ignorare la perfezione lirica, o quella passione per il dettaglio, che dona a ognuna di esse quell’unicità di cui hanno bisogno per farsi amare a ogni ascolto. L’amico fidato Marcus Cliffe offre un aiuto più cospicuo in questa terza prova solista di Jones, saltando dalla strumentazione alla produzione, tra i musicisti il sempre fedele B J Cole (l’uomo che ha reinventato il suono della pedal steel) il fratellino di Tin Tin Duffy (Melvin) e l’eccellente Gustaf Ljunggren (fiati e banjo).
Le canzoni sono sempre gradevolmente malinconiche, delle deliziose e vellutate ballate elettroacustiche uptempo, dove trova spazio il racconto poetico della quotidianità. Tra folk-pop a tempo di valzer (“Weakness And Wine”) e ballate avvolte in un romanticismo mitteleuropeo (“Three Kisses”), l’album svela le sue piccole ambizioni e qualche lieve novità, come nella gelida e cupa “Cartwheels” che vede la comparsa di drone-music e inquietanti suoni di tastiere.
La frase di James Joyce che compare sul libretto interno,"they lived and laughed and loved and left", è un pensiero che Jones rivolge al padre defunto, una figura che ricorre spesso nelle undici canzoni, come nella solenne “Naked As Adam” dove la frase "ho visto troppi funerali" viene sottolineata dalle dolenti noti del clarinetto.
Spesso la forza passionale ed emotiva dei Blue Nile fa capolino (Jones è un fan della band scozzese): questo accade sia nella title track che nella sofisticata “My Muffled Prayer”, dove xilofono e piano scandiscono lo scorrere del tempo arenando il prorompente lirismo del brano.
La musica spesso lascia decantare piccoli incantevoli dettagli, come il mandolino (esattamente la mando guitar della Vox) nella complessa architettura armonica di “Misbegotten Moon”, o il clarinetto nella sensuale “Lovers Never Tell”, tutti preziosi tasselli di un puzzle sonoro incantevole e suggestivo, che conferma Trevor Jones come una delle poche certezze del folk-pop inglese.
(22/11/2015)