È già da un po' che siamo partecipi di una vera golden age per quanto riguarda quella parte di musica elettronica che viene indicata come il nome di techno. Quasi come una tendenza, la fortuna di questo genere è quella di essere contornato da uno sfocato alone qualitativo, che da un lato ha senz'altro portato negli anni un bacino di pubblico sempre più vasto, ma che dall'altro ha iniziato a suscitare la curiosità di neofiti non sempre abituati al dancefloor, ma comunque attirati dai tentativi artistici più sofisticati e virtuosi, facendo nascere una felice coesione di qualità e intrattenimento. Quest'ultimo, ovviamente, ne è la linfa vitale (la techno si va ad ascoltarla in discoteca e nella maggioranza dei casi si balla) ed è ciò che molto spesso riesce a riempire il disavanzo qualitativo.
Quasi come fosse la meta spirituale di una religione, parlando di techno si fa riferimento a una città divenuta una capitale de facto di questa ondata musicale: Berlino. Senza dubbio più appetibile come meta rispetto alla capitale storica dove questo genere musicale è nato (Detroit è ormai una città fantasma da cui stare alla larga), la capitale tedesca, nella sua faccia più grigia e notturna, è riuscita ad accogliere questo nuovo fenomeno, prima underground mentre ora completamente massificato, facendosi ormai proclamare come l'eden artistico e produttivo dei 130 bpm.
Se è vero quindi che la città più in auge per chi vuole vivere la techno è Berlino, il club in cui tutti aspirano a passare la notte, nonché il più ambito, famoso e miticizzato è il Berghain. Vuoi per la celeberrima e imperscrutabile modalità selezione all'ingresso, vuoi perché qualsiasi nuovo musicista, dj o producer che riesca a esibirsi in questo tempio dell'elettronica coglie l'opportunità come un vero e proprio trampolino di lancio: il Berghain è il luogo dove la techno viene aggiornata notte dopo notte e dove si decidono stilemi e connotati ai quali conformarsi.
In questo tempio pagano della techno - ma anche dell'house - ha sede anche un'etichetta intitolata Ostgut Ton in onore del vecchio nome di questo locale. Pare ovvio affermare che quasi tutti personaggi di spicco di Berlino e non, hanno tutti pubblicato per quest'etichetta: gente del calibro di Shed o Marcel Dettmann proviene o è passata da qui, giusto per citare la crema.
Nata nel 2005 per mano del furbo Nick Hoppner, la Ostgut Ton festeggia 10 anni da vera etichetta protagonista della scena berlinese e per concludere questo decennio aureo ha deciso di pubblicare una imponente compilation di 30 brani, per un totale di quasi di 3 ore complessive di musica. Ciò che questo “Zehn” rappresenta va al di là della semplice commemorazione discografica, e si delinea come manifesto di ciò che significa oggi la parola techno, descrivendone forza e debolezza, e misurando lo stato di salute di tutto il genere nell'ultimo periodo. Ne esce un quadro musicale estremamente variegato - abbiamo infatti una squadra di più di 20 producer in campo - ma coeso sul piano dell'andamento e della massa sonora di fondo.
Se l'edizione in vinile in 10 dischi ne tradisce gli intenti, improntati prevalentemente al dj-set, il risvolto dance è comunque il lato dell'opera che funziona meglio. Tutto ciò garantito dal lavoro esemplificativo dei vari Ryan Elliott, con la sua trascinante “Smith Lake”, Martyn con il kick spigoloso di “Jah Bedouin”, Etapp Kyle con le sue striature minimal di “Nolah”: gente che continua a lavorare sugli stessi ottimi standard da anni e che ci racconta quali sono le vibrazioni che scuotono di più il Berghain.
Parimenti i vecchi “senatori” chiamati in causa, come Ben Klock, Marcel Dettman o Len Faki, continuano a sbagliare poco, mostrandosi capaci di seguire sempre con coerenza le loro classiche vie sonore più scure e dense.
Ma il problema è proprio questo. Questo graduale processo di standardizzazione del suono ravvisabile in tutti questi pezzi ha inequivocabilmente appiattito ogni punto di forza di un'etichetta che in passato riusciva a controbilanciare comunque il vincolo del beat con un grande dosaggio di ispirazione e spirito di ricerca, che rendevano davvero le produzioni di quest'etichetta un punto di riferimento mondiale anche al di fuori del proprio settore. Ecco perché da questo insieme è difficile trovare qualcosa che superi di molto il lavoro di maniera, sicuramente prodotto da grandi professionisti, ma ingabbiato in pulsazioni clubbing fin troppo prevedibili. Ogni traccia di questa collezione trasuda un umore stantio, denotando l'odierna condizione di artisti e producer, fin troppo focalizzati sul solo rispetto delle esigenze discotecare.
“Zehn” è un'uscita che, se non da manifesto, funge da esempio, per mostrare come un certo tipo di musica, che inizialmente bilanciava qualità e intrattenimento, abbia poi rivolto (quasi) tutta l'attenzione verso quest'ultimo. Tuttavia, non vogliamo fare di tutta l'erba un fascio e siamo consci del fatto che comunque da qualche parte ci sono ancora beat che conviene ancora considerare, magari su un altro lato di Berlino.
19/03/2016