Il percorso di Rully Shabara e Wukir Suryadi si costruisce fisiologicamente anche in questo fitto background. Il trentasettenne Suryadi è un veterano della scena sperimentale di Yogyakarta – la capitale culturale giavanese de facto – e si è fatto un nome grazie soprattutto al voto di suonare esclusivamente strumenti di bambù costruiti da sé che rimandano a elementi tradizionalmente giavanesi (il kuntulan) filtrati dall'uso di amplificatori e distorsioni assortite.
Shabara, invece, originario di Sulawesi (l'isola “dei morti”), ha incentrato la sua ricerca sulla voce, intraprendendo un tragitto in senso opposto rispetto al compagno, che dalla contemporaneità si dirige in qualche modo verso la tradizione.
I Senyawa così si erano fatti notare con il documentario “Calling The New Gods”, due album a tiratura limitatissima (l'omonimo “Senyawa” e “Acaraki”, del 2014), una significativa collaborazione con Charles Cohen e numerosi, eccentrici, live che di recente li hanno portati fino in Europa.
Uscito per l'italo-tedesca Morphine, “Menjadi” è il primo lavoro del duo a prestarsi a un pubblico più vasto, senza tuttavia indietreggiare di un'unghia rispetto al concept del progetto.
Prima della registrazione dell'album, che vive come loro solito di composizione e improvvisazione, Suryadi e Shabara si sono ritirati per una settimana nella jungla mistica che abbraccia Borobudur, mettendo in scena alcuni rituali di tradizione hindu-buddhista e partecipando alle feste del raccolto (panen raya) dei villaggi circostanti.
L'aspetto in qualche modo “liturgico” così non poteva che essere genuinamente pervasivo tra le righe di “Menjadi”. Tensione, movimento, sezioni simil-operistiche e tanto respiro. Tutto sembra convergere in una specie di fantasmica lotta ai demoni-ostacoli della mente, un esorcismo ultimo verso il più classico dei temi giavanesi, la ristabilizzazione di un precario senso di armonia ed equilibrio, la vincita squisitamente individuale di ogni agitazione e conflitto che alberga la mente neutralizzandone le conseguenze karmiche deleterie.
"Gaib", "Hadirlah Suci", "Kayu", "Menjadi Jadi", tutti numeri eccellenti che si inseriscono nell'ottica del cerimoniale cosiccome atti a sé liricamente autonomi.
La sfida è ovunque, l'allerta è d'obbligo. Senyawa riescono a interpretare superbamente una condizione tutt'altro che geograficamente marcata, portando le notti di Yogya a materiale di meditazione che aspira all'universale, confondendo con consapevolezza radici, storia e metafisica.
Disco-must per cultori, santoni "fourth world" o chiunque preservi un minimo di sana curiosità musicale senza barriere.
(03/08/2015)