Autori di un solido e variegato garage-rock psichedelico al limite del noise (“Golem”), gli americani Wand avevano già filtrato elementi più melodici nel loro ultimo progetto discografico (“1000 Days”), un album nel quale folk, psichedelica e rock allineavano Comus e Mellow Candle in un originale meltin' pot creativo.
La collaborazione con Chris Woodhouse dei Thee Oh Sees per la produzione del loro secondo album e la presenza di un mentore come Ty Segall arricchiscono il curriculum di una band in attesa di una rivalutazione critica.
Nonostante le premesse, la recente metamorfosi del cantante e chitarrista del gruppo, Cory Hanson, è comunque sorprendente: una svolta folk-psych dai toni pastorali affine alle migliori pagine di Donovan o di Colin Blunstone, il tutto avvolto in un delizioso mantello chamber-pop in bilico tra Love e Zombies.
“The Unborn Capitalist Of Limbo” è un disco elegante, un potenziale sottofondo per le giornate uggiose, privo di quella vacuità che arride spesso al folk cantautorale, la qualità delle canzoni e degli arrangiamenti vince la sfida alla precarietà di molte produzioni contemporanee. Un album il cui fascino sedimenta e cresce ad ogni ascolto: la fruizione da distratta diventa ossessiva e le otto canzoni si trasformano in tentacoli pronti a catturare l’ignara preda.
Il limbo è il posto ideale per la musica di Cory Hanson, sempre abilmente sospesa tra cielo e terra, prima leggiadra come una sinfonia (la title track) e poi intensa e travolgente come un lost classic dei primi anni 70 (“Ordinary People”).
Le orchestrazioni sono figlie della miglior era psichedelica “Nuggets” (il madrigale psichedelico di “Arrival”), altresì degne dei Left Banke (il folk-pop di “Replica”) e solo apparentemente ingenue o ricche di deja-vu (la beatlesiana “Garden Of Delight”). La fragilità di “Violent Moon” è esemplare: la voce è come un bisbiglio che svela segreti fatati, mentre “Flu Moon” è il piccolo gioiello che Nick Drake e Arthur Lee avevano dimenticato nel cassetto dei sogni.
Introspettivo, mai banale o prevedibile, l’album di Cory Hanson supera l'insidia della mediocrità, che ha mietuto molte vittime tra i neo-psichedelici. Il tono muscoloso e garage degli esordi coi Wand ha donato all’artista la capacità di assemblare tonalità crepuscolari e naif, senza smarrire un po’ di quella insana tensione che delimita la poetica dall’autocompiacimento.
Una piacevole sorpresa.
28/11/2016