Se i gatti hanno nove vite, allora Arthur Lee ne ha diciotto.
(Harvey Kubernik)
Sono stati pochissimi gli artisti neri in grado di creare un sound bianco e di attraversarlo per arrivare al successo. Uno era Chuck Berry; poi Jimi Hendrix e sicuramente Arthur Lee.
(Allan Talbert)
Quando ho iniziato, volevo essere come Elvis Presley, i Beatles o James Brown. Crescendo, ho scoperto che le persone erano più interessate alla musica e alle mie parole, così ho iniziato a concentrarmi maggiormente su quello che stavo facendo. Il mio viaggio, quando ho iniziato, prevedeva diversi tipi di musica e non volevo essere categorizzato ed etichettato. Volevo realizzare il mio sogno di suonare tutti i tipi di musica. L'ho soddisfatto abbastanza, andando dal punk-rock e dal folk-rock al rock; dal rock alla classica; dalla classica al jazz. Tutti i miei album sono diversi tra di loro.
(Arthur Lee)
Intro - Il tempo e la vita che sto vivendo
Quindici gennaio 2003. La Royal Festival Hall è una sala concerti inaugurata agli inizi degli anni 50 in stile modernista, con quasi tremila posti a sedere al cuore del complesso Southbank Centre, sulla sponda sud del fiume Tamigi. Da giorni, a Londra, si respira un’aria carica di elettrica adrenalina, in attesa trepidante del ritorno sul palco dell’uomo nato Arthur Taylor Porter, per il mondo: Arthur Lee. Dalla stampa di settore alla celebre fanzine The Castle, fino addirittura ad alcuni, onorabili, membri del parlamento britannico. Fino alla fine del 2001, quando è stato rilasciato dopo oltre cinque anni di prigione, il leader dei Love ha ricevuto tonnellate di messaggi di solidarietà, da chi ha continuato a sbandierare i vessilli freak della sua arte non convenzionale. Ora il pubblico londinese può godersi il trionfale ritorno dal vivo con l’anticipata esecuzione dell’intero Forever Changes, il capolavoro datato 1967, l’anno seminale nell’estate dell’amore libero. In compagnia di un ensemble di archi e fiati, Lee si ripresenta al mondo dopo le più assurde leggende metropolitane circolate negli anni. Si è parlato di acidi friggi-cervello; dell’omicidio di un roadie per una storia di droga; di un furto in un negozio di ciambelle a Los Angeles. I più classici miti del rock'n'roll che sembrano fatti per riempire dei vuoti, in mancanza di informazioni verificate. A differenza di Jim Morrison o Janis Joplin, Arthur Lee è un sopravvissuto, ora tornato sulle scene dopo tutta la droga, il carcere, gli eccessi di una vita spericolata. Condannato con una pesantissima sentenza di ben dodici anni al Pleasant Valley State Penitentiary di Coalinga, California, caricata dal sistema giudiziario dei cosiddetti three strikes, avvertimenti, per possesso illegale di armi da fuoco. Dopo aver patteggiato per evitare ulteriori gradi di tribunale, Arthur esce nel dicembre 2001, chiedendo a se stesso: “Il mondo della musica si ricorderà ancora di me?”.
Eccome. Probabilmente a causa della sua stessa detenzione, il mondo della musica è pronto a riascoltare la voce di Lee, diventata nel frattempo più cupa e ruggente. C’è da preparare un tour di 26 date in Europa, a partire da Odense, in Danimarca, dopo aver studiato con l’arrangiatore classico Gunnar Norden il materiale di Forever Changes. Il suo ritorno sulle scene è architettato dal music promoter di origini svedesi Gene Kraut, da anni un fan sfegatato dei Love. È lui che decide di fare all-in su Arthur, che si mette alla guida di diversi nuovi musicisti che devono lavorare ad orecchio sulle canzoni del disco, dal momento che tutti gli spartiti sono ormai scomparsi. In realtà, Arthur Lee non ha affatto voglia di recuperare il materiale degli anni 60, vorrebbe qualcosa di diverso per il suo ritorno sulle scene. Ma gli amici e gli addetti ai lavori insistono, perché Forever Changes è forse il disco che più di ogni altro prodotto alla fine degli anni 60 ha attraversato tempo e spazio, parlando a generazioni diverse tra loro. E soprattutto è un album che deve per forza ritrovare ascolto, passato quasi inosservato a livello commerciale in un anno così prolifico di genialità. “Non suonerò più quella merda”, ha detto una volta lo stesso Lee ai tantissimi fan che gli chiedevano almeno qualche pezzo dal vivo.
Meraviglia e maledizione allo stesso tempo, Forever Changes tornerà ora alla luce come è stato inizialmente concepito e registrato, quasi un nuovo battesimo sonico per l’uomo uscito di prigione dopo quasi sei anni. Per di più, in uno dei tour più lunghi della storia della sua band, probabilmente danneggiata in popolarità da una sostanziale allergia del lider maximo all’esposizione sul palco. Ma Arthur Lee è oggi un uomo diverso, bruciato dalla sua stessa esagerazione, e riflette sulla possibilità di restituire a tre generazioni di fan tutto l’amore e il supporto ricevuto in tempi bui.
Londra è poi una città perfetta per il ritorno dei Love, dove persino i senza tetto riconoscono Lee quando gira per strada. Prima di salire sul palco della Royal Festival Hall, il 15 gennaio 2003, i suoi Baby Lemonade percepiscono il nervosismo che si taglia praticamente a fette, pur dopo sei mesi di prove in studio. Ma tutto si scioglie quando Lee appare onstage, accolto da una standing ovation che dura circa cinque minuti. Quando parte l’arpeggio che apre “Alone Again Or”, molti spettatori non trattengono le lacrime, sopraffatti dal sogno di un disco mai ascoltato dal vivo in vita loro. Una ragazza si alza e grida: “Arthur, non immagini da quanto tempo abbiamo atteso tutto questo”. Sovrastato dal suo cappello da cowboy, Lee risponde: “Ma sai bene quanto tempo ho atteso io”. Alla fine dello show londinese, un senso di ebbrezza trionfale pervade Arthur Taylor Porter, sopravvissuto alla vita e ora benedetto dal divino che gli ha concesso una seconda possibilità.
Capitolo 1 - Famoso come Wilson Pickett
Agnes Porter è nata in una famiglia numerosa, ha fratelli e sorelle. È la figlia di Ed Porter, un bianco originario di Memphis, Tennessee, e di Malvise (Mal) Porter, afro-americana. Appassionatasi agli studi, Agnes prende il diploma alla Manassas High School, prima di iscriversi al LeMoyne College e poi alla Tennessee State, a Nashville. Tornata a Memphis per insegnare, incontra e sposa il jazzista nero Chester A. Taylor, suonatore incallito di cornetta, trasferendosi nel quartiere denominato New Chicago per costruire una famiglia. Tra le mura del John Gaston Hospital, il 7 marzo 1945, viene alla luce il primo e unico figlio dei due, Arthur Porter Taylor.
Il piccolo Arthur inizia subito a sentirsi solo come figlio unico, destabilizzato dalla sua stessa pelle che “è troppo chiara per farmi sentire un nero, troppo scura per essere bianco”. Quel tipo di colore che confonde le persone “benpensanti” e porta solo a diffidenza, a sospetti continui su qualsiasi azione vista come poco convenzionale. Al 1361 di North Bellevue Boulevard c’è la zia Vera a prendersi cura di Arthur, mentre fuma sigarette sul patio ascoltando stazioni radio jazz e blues. Uno spirito libero, quello di Vera, che forgia la passione musicale del nipotino grazie al gospel della vicina Baptist Church, oltre all’eco delle prove della Manassas High School Band. Arthur si avvicina al blues di Howlin’ Wolf e Muddy Waters, preso dalla cornetta usata dal padre mentre canta sotto la doccia. Donna dalle maniere forti, Agnes insegna al figlio il potere della preghiera, minacciandolo a più riprese in caso di comportamenti azzardati. Mentre Chester si disinteressa totalmente - la coppia si separa all’inizio degli anni 50 - Arthur stringe un forte legame con la madre, che prende totalmente in custodia il figlio così come la casa a Bellevue.
Dopo la separazione da Chester, Agnes incontra il costruttore Clinton Lee, che negli ultimi anni è riuscito a racimolare una piccola fortuna grazie a nuovi appartamenti in Wilshire Boulevard. Clinton promette il mondo ad Agnes e suo figlio, ma non è chiaro il motivo per cui la donna decide di trasferirsi da sola a Los Angeles nel 1952, prima di sposare lo stesso Clinton nel 1955. Così Agnes diventa Agnes Taylor Lee, mentre - ottenuta l’autorizzazione di adozione - Arthur Taylor Porter diventa Arthur Taylor Lee. Con due lavori ben pagati, Agnes e Clinton acquistano una casa al 3215 di West 27th Street, nell’area di West Adams adiacente al quartiere di Baldwin Hills, ben frequentato dalla middle class bianca di origini ebraiche. Superati i dieci anni d’età, Arthur - o Po, per amici e parenti - mostra grandi doti atletiche e un senso spiccato per la lettura, ma di studio non se ne parla, per la dannazione di Agnes. Alla Sixth Avenue Elementary School Arthur è un autentico bulletto, temuto da tutti e costantemente inserito nelle peggiori squadre sportive in base al rendimento con i compiti e gli esercizi in classe.
Il ragazzo cresce non senza contraddizioni interne, da un lato aggressivo verso i compagni di scuola, dall’altro gentile e amante degli animali, soprattutto cani e volatili. Inizialmente pensa di intraprendere una carriera da pugile, attratto dalle gesta sportive di Sugar Ray Robinson che, tra l’altro, abita a pochi isolati da casa sua. Tra i dodici e i tredici anni inizia a impratichirsi con il tiro al bersaglio nella quiete di Lake Arrowhead, dove frequenta per poco i locali boyscout. È in questo periodo che Arthur fa amicizia con un ragazzo più giovane di due anni, John Marshall Echols, trasferitosi nello stesso quartiere da Memphis. Agnes conosce la madre di John, facilitando l’incontro tra i due ragazzini, entrambi appassionati di sport e di musica. Iscritto ora alla Mount Vernon Junior High, Arthur si appassiona sempre di più alle nuove sonorità americane, frequentando un quintetto locale a nome The Valaquons. Insieme al nuovo amico Johnny, va a vedere un concerto di Jimmy Reed, incontrando persino Wilson Pickett in mezzo al pubblico. “Un giorno sarò famoso come lui, non ho alcun dubbio su questo”, dice a Echols.
Il primo strumento musicale con cui Arthur decide di fare pratica è, stranamente, la fisarmonica, decisamente tra i meno cool tra gli anni 50 e 60. Prendendo lezioni nel quartiere, il giovane Lee impara a leggere la musica, lavorando ad orecchio non avendo alcuna base teorica. Subito dopo inizia a smanettare con l’organo e poi con l’armonica a bocca, riuscendo a replicare il sound dei suoi artisti preferiti. Casa Lee diventa così uno spazio pubblico dove molti amici vengono a sentire dischi, mentre Arthur li intrattiene con sperimentazioni vocali in stile Ray Charles o Frank Sinatra. Il legame con Johnny è sempre più forte, trascinato dalla musica. Echols ha iniziato a costruirsi da solo una chitarra acustica, portando il padre, esasperato, a comprarne una nuova di zecca. C’è grande fermento, intorno alla Susan Miller Dorsey High School, nei pressi del quartiere di Baldwin Village, dove si è ritirato a vivere l’idolo Little Richard. Dal rock'n'roll al jazz, gli stili che accendono la zona sono diversi, portando alla scintilla nei cuori di Arthur e Johnny: nel loro futuro ci sarà solo ed esclusivamente musica. Lee viene infatti convinto da una esibizione dello stesso Echols che suona “Johnny B. Goode” insieme all’amico Crimson Crout, dopo aver messo in dubbio la sua carriera da atleta professionista. Arthur capisce internamente di essere bravo a cantare e scrivere canzoni, decidendo così di entrare nel quintetto di Echols e Crout per esibirsi all’organo in alcuni show scolastici. La strada è ormai segnata e Arthur Lee è convinto: diventerà una stella, famoso come Wilson Pickett.
Capitolo 2 - Folgorato dai Byrds
I primi concerti alla Dorsey High School del quintetto con Lee ed Echols scatenano l’entusiasmo tra gli adolescenti, portando il gruppo a trovarsi un vero nome, Arthur Lee And The LAGs. La neonata band si esibisce in un vicino golf country club nei pressi di Pico Boulevard, iniziando a provare regolarmente nell’appartamento di Arthur. Scottata dalla relazione con il suo primo marito, Agnes è scettica sulla direzione seguita dal figlio, ma decide di non opporsi.
A diciassette anni, Arthur Lee ascolta tonnellate di dischi tra blues e R&B, studiando pose e stili da far confluire nel suo gruppo. Grazie al supporto di un agente di Hollywood, i LAGs entrano nel circuito dei locali notturni della zona, dal Nite Life al California Club, partecipando a diverse feste nell’area di Beverly Hills. Mentre impazza la moda della surf-music, Arthur incontra Adam Ross e Jack Levy, editori alla Ardmore Beechwood Music, spingendoli ad ascoltare alcuni suoi brani. Ross e Levy si convincono facilmente, portando il quintetto a registrare per la prima volta nei Gold Star Studios, famosi per il lavoro di Phil Spector.
Il primo 45 giri prodotto è “The Ninth Wave”, aperto dal ritmo tribale della batteria per snodarsi in un mellifluo ma prevedibile R&B. Come B-side viene scelta “Rumble-Still-Skins”, breve strumentale dalle tonalità più calde ed esotiche. Sarà lo stesso Lee a parlare in seguito di “brani orrendi”, registrati per soldi e concessi come episodi “minori” per non offrire alla Ardmore il meglio del repertorio. Senza un manager, Arthur non si fida di Ross e Levy, che pure sono legati a una grande etichetta, la Capitol Records.
Il singolo “The Ninth Wave” fallisce miseramente, ma questo non ferma affatto Arthur Lee che, anzi, lascia definitivamente la scuola per lanciarsi nel business musicale. L’epifania arriva con l’esibizione dei Beatles durante il famoso programma televisivo The Ed Sullivan Show, il 9 febbraio 1964. Il gruppo di Liverpool guida la cosiddetta British invasion, che di fatto porta l’R&B al nuovo livello, superando la dicotomia tra musica bianca e musica nera. Johnny Echols racconta ad Arthur del concerto al The Hollywood Bowl nell’agosto 1964, dopo aver miracolosamente ottenuto qualche biglietto grazie all’amico Billy Preston, che ha già incontrato Lennon e soci a Londra. L’influenza inglese è enorme, porta Lee a decidere di sciogliere i LAGs per formare un nuovo gruppo, i The American Four, con Echols alla chitarra, John Fleckenstein al basso e John Jacobson alla batteria. È di fatto uno dei primi gruppi interrazziali in zona, formato da due bianchi e due neri con lunghi capelli e voglia frenetica di spaccare il mondo. È in questo momento che Arthur chiede a Johnny di poter suonare la sua chitarra al posto dell’organo, considerato troppo poco cool dopo l’arrivo di Beatles e Rolling Stones. Gli American Four suonano dal vivo praticamente ogni hit possibile, grazie alla gestione dell’agenzia Beverly Bowl che li spinge sul circuito live.
La formazione vede il batterista John Jacobson sostituito da una leggenda locale, Don Conka, che partecipa alle sessioni di registrazione del primo singolo, “Luci Baines”. Parecchio ispirato stilisticamente alla “Twist & Shout” resa popolare dai Beatles, il singolo esce su etichetta Selma (DelFi Records) a metà del 1964, cantato da Arthur che ha anche composto il testo sulla vera Luci Baines, figlia adolescente del presidente Lyndon Johnson. Il lato B del singolo include una delle prime composizioni della coppia Lee-Echols, con il primo a guidare l’organo in un arrangiamento simile a quello di “Green Onions” di Booker T. & The MG’s, altro gruppo molto amato da Arthur.
Anche il secondo singolo fallisce miseramente, penalizzato da un radicale cambiamento nelle sonorità losangeline, trascinato dai Byrds, che uniscono l’approccio folk al British-beat, grazie al jingle-jangle squillante della Rickenbacker di Roger McGuinn. I Byrds sconvolgono il panorama americano con la versione elettrificata di “Mr. Tambourine Man” (Bob Dylan), dimostrando che è possibile fare musica non solo per ballare, ma soprattutto per riflettere. Quando si esibiscono al Ciro’s, sulla Sunset Strip, i Byrds attirano le nuove generazioni di beatnik, mandando improvvisamente in soffitta decine di artisti votati al soul o all’R&B ballabile. Nel giugno 1965 il singolo “Mr. Tambourine Man” arriva al numero uno su etichetta Columbia, sconvolgendo le menti di tantissimi artisti a stelle e strisce. Tra questi c’è Arthur Lee, che non ha ancora registrato alcun disco del cosiddetto folk-rock, pur avendo già scritto diversi brani nella giusta direzione. È la miccia che fa detonare la decisione finale: il biglietto per il successo passa per quelle esatte sonorità.
Capitolo 3 - Arriva Bryan
Nel 1965 il fulcro della scena musicale statunitense si è ormai spostato dalla East alla West Coast. Se a New York restano in piedi le cosiddette major e le principali booking agencies, dal sud della California arriva un nuovo vento di creatività e pulsioni artistiche. Il sound dei Byrds equivale a quello del Golden State, che di fatto inventa il folk-rock con il gruppo di McGuinn. La Strip è ovviamente il cuore di tutto il movimento, con diversi locali - da Ciro’s al Whisky A Go Go - che si gettano a capofitto nel genere musicale che trasforma il formato acustico del Greenwich Village. Arthur Lee stringe amicizia con Elmer Valentine, l’ex-poliziotto che ha aperto il Whisky A Go Go nel 1964, portando il suo gruppo a suonare prima di band come The Doors e Buffalo Springfield. Ispirato dalla penna di Gene Clark, Lee affina le sue composizioni con un taglio più astrattista, provando il nuovo sound dal vivo con gli American Four, ora resident band all’ex-gay bar Brave New World.
In primavera i quattro decidono di cambiare nome, scegliendo The Grass Roots da un disco di Malcom X, accantonando sempre di più il sound R&B. Dal momento che Arthur non è ancora in grado di suonare in scioltezza la chitarra ritmica, il gruppo assolda temporaneamente Bobby “Bummer Bob” Beausoleil, successivamente noto per aver partecipato all’omicidio di Gary Hinman da parte della Family di Charles Manson. Dopo uno dei tanti concerti, Arthur e Johnny incontrano un attraente ragazzo vestito come un surfista, cresciuto nel facoltoso quartiere di Beverly Hills e per un breve periodo roadie dei Byrds. Nato nel settembre 1946, Bryan MacLean ha una vecchia passione per l’opera, essendo cresciuto insieme ad artisti come Liza Minnelli e il compositore Fritz Loew. MacLean è però incapace di leggere la musica ed è passato così a generi più “abbordabili” come il blues e il jazz. In mancanza di una solida figura paterna, Bryan ha avuto diversi disturbi comportamentali, fino a capire di essere afflitto da una sindrome di bipolarismo. Quando incontra Lee ed Echols al ristorante notturno Ben Frank’s, MacLean ha già anni di chitarra alle spalle, essendosi gettato a capofitto nella folk-music. Assiduo frequentatore del Balladeer - dove si vedono spesso anche David Crosby, Gene Clark e McGuinn - MacLean ha però sempre preferito l’erba a una carriera da musicista, dopo aver lasciato gli studi liceali a 17 anni. Inizialmente in combutta con Taj Mahal, è diventato roadie dei Byrds in occasione del loro tour nel Midwest nell’estate 1965. Esperienza molto breve, dal momento che il gruppo più famoso d’America ha poi deciso di lasciarlo a casa prima di imbarcarsi per il Regno Unito.
Con il cuore infranto, Bryan MacLean tenta di entrare invano nei Monkees, fino all’incontro con Arthur e Johnny. I due sono incuriositi dal suo look stravagante, definitivamente tentati dopo averlo sentito suonare qualche brano al ristorante. The Grass Roots hanno già Bummer Bob alla chitarra ritmica, ma decidono di fare all-in su Bryan, che è certamente una personalità arrogante, ma estremamente carismatica e soprattutto conosciuta e seguita negli ambienti losangelini. Quando si esibisce per la prima volta con i Grass Roots al Brave New World, le groupie non si contano, così come nuovi adolescenti che permettono al gruppo di espandere la propria fama. Arriva così il momento di fare sul serio, quando MacLean prende in affitto un loft a sud di Laurel Canyon, invitando Lee ed Echols a trasferirsi per suonare in maniera più assidua. Diversi nuovi brani vengono provati a casa di Buck Ram, manager dei Platters, incaricato dallo stesso Bryan di trovare per i Grass Roots un primo contratto discografico. L’entusiasmo per la band cresce sulla Strip, mentre il Brave New World si riempie a dismisura, con centinaia di auto parcheggiate in maniera selvaggia davanti al locale. Dopo ripetute minacce da parte delle forze dell’ordine, il proprietario è costretto a cacciare il gruppo, ormai troppo famoso per un ex-gay bar. Arriva così il momento di completare un ulteriore step, cambiare ancora una volta nome alla band dopo aver scoperto che i cantautori Phil Sloan e Steve Barri si sono uniti al manager discografico Lou Adler (Dunhill Records) con l’idea di registrare alcuni brani folk-rock con il medesimo nome, The Grass Roots. Arthur viene a saperlo da un amico che gli fa i complimenti per il suo nuovo singolo “Mr. Jones”, ovviamente composto da Sloan e Barri. Lee è furioso, ma consapevole di non avere alcuna protezione legale sul nome, a suo dire rubato senza vergogna. Quando il secondo singolo dei nuovi The Grass Roots, “Where Were You When I Needed You”, diventa una hit, non c’è più nulla da fare. A caccia di nuovo nome per il gruppo, Lee, MacLean ed Echols si imbattono guidando in un cartellone pubblicitario su un nuovo locale chiamato Luv Brassieres. È la scintilla: la band non si chiamerà certo Luv o The Luv, semplicemente Love.
Capitolo 4 - LoveThe Grass Roots diventano Love nell’autunno 1965, trasferitisi in un nuovo folk club chiamato Bido Lito’s, nei pressi dell’Ivar Theatre al 1608 di Cosmo Alley. Gestito dalla famiglia Thompson, il Bido Lito’s è un ex-ristorante da poco trasformato in un locale per ragazzi, avendo una licenza da cabaret club per poter servire solo cibo anche ai minorenni. I Love si esibiscono per la prima volta a ottobre, dando la possibilità di ascoltare il concerto anche a chi è costretto a restare fuori nei pressi dell’auto. Il Bido Lito’s è infatti un locale angusto e cavernoso, simile a quel Cavern Club che ha lanciato i Beatles verso la stratosfera del pop-rock. Il gruppo riesce a tirare a testa fino a 25 dollari a serata, una discreta somma garantita da un pubblico sempre più numeroso.
I Love offrono un set energico, ad altissimo volume, a partire dalla cover di “Smokestack Lightning” (Howlin’ Wolf) per poi virare verso lunghe jam tra beat, rock e jazz, guidate da Lee all’armonica e voce, mentre Echols mostra tutta la bellezza della sua chitarra a due manici. L’aura dei Love è così potente da convincere Jac Holzman, boss della Elektra Records, presente una notte tra il pubblico variegato del Bido Lito’s. Holzman propone alla band un contratto discografico, proprio mentre il bassista, John Fleckenstein, decide di lasciare per darsi a una carriera cinematografica.
Lee parte in fretta e furia alla ricerca di un nuovo musicista, scegliendo dopo vari tentativi Kenny Forssi, nato nel marzo 1943 a Cleveland, Ohio. Trasferitosi con la famiglia a Sarasota, Florida, all’età di 13 anni, Kenny ha seguito la sua passione per le belle arti iscrivendosi nel 1964 alla Arts Center School di Los Angeles. Divenuto bassista per tirare a campare, Forssi ha già prestato il suo strumento per diversi musicisti legati all’etichetta Capitol Records, entrando poi nei Surfaris per un tour in Estremo Oriente. Tornato in America, Kenny ha fiutato la morte della surf music, proponendosi a Lee e soci dopo aver frequentato assiduamente il Bido Lito’s. Ai Love piace il suo sound più melodico, unito a un approccio quasi ingegneristico all’utilizzo del basso Eko.
Sistemato il ruolo di bassista, il gruppo deve affrontare il problema Don Conka, che spesso si assenta senza preavviso avendo pesanti problemi di droga. Batterista potente e talentuoso - famosi in tutta Los Angeles i suoi interminabili assoli - Conka mina la stabilità dei Love con la sua personalità tormentata. Avendo la necessità di sostituirlo durante un concerto, Lee invita il giovane Michael Stuart, venuto a vedere i Love come spettatore al Bido Lito’s. Già nel gruppo locale The Sons of Adam, Stuart non ha la versatilità di Conka, ma è perfettamente capace di tenere il ritmo desiderato da Arthur. In attesa della riabilitazione di Don, i Love possono contare su due batteristi, avendo inserito anche Alban “Snoopy” Pfisterer nella line-up. La situazione è potenzialmente esplosiva, perché McLean non ama Snoopy, mentre Arthur lo mette sotto la sua ala più protettiva, con Stuart che viene chiamato all’occorrenza e spesso beccato per alcuni errori. Ma la nuova formazione mette d’accordo i fan, attirati dalla vistosa presenza scenica in live sempre più infuocati su tutta la Strip.
Mentre fervono le esibizioni dal vivo, Arthur Lee pensa alla prossima mossa per il gruppo: entrare in studio per registrare l’album del debutto. Se il primo contratto discografico è stato garantito da Jac Holzman - ufficialmente verrà siglato nel gennaio 1966 - ai Love manca ancora un manager quando irrompe sulle scene Ronnie Haran, aspirante attrice arrivata a Los Angeles da New York per lavorare in tv. Inizialmente Ronnie dovrebbe gestire il primo fan club del gruppo, ma le cose cambiano quando incontra Arthur Lee che le chiede senza mezze misure di licenziare il promoter Herbie Cohen e prendere in mano le redini del management. Piccola di statura e dal temperamento esplosivo, Haran continua il lavoro avviato da Cohen per far firmare ai Love il contratto annuale con la Elektra Records, che prevede una possibile estensione a tre anni a discrezione della sola etichetta. Il gruppo dovrà garantire un minimo di quattordici lati all’anno, ma soprattutto sarà Arthur Lee a incassare i proventi per poi distribuirli ai suoi compagni. Una delle tante leggende intorno al frontman vuole che Holzman abbia concesso un anticipo di cinquemila dollari da investire per “l’interesse del gruppo”. Lee avrebbe poi comprato una Mercedes nuova di zecca elargendo soli cento dollari a testa agli altri. Ma l’importante è che tra i Love e la Elektra Records c’è un accordo, firmato a nomi Arthur Lee, Johnny “Eckles”, Bryan MacLean e Ken Forssi, mentre Don “Concha” viene solo nominato come membro. La speranza è infatti quella di vederlo tornare in tempo per registrare l’album, con Snoopy che resterà un rimpiazzo, un sessionman pagato ma mai un membro ufficiale del gruppo.
Con una mossa sorprendentemente audace per i tempi, Lee ottiene il totale controllo sui diritti di pubblicazione dei brani dei Love, affidati alla gestione della Grass Roots Music. Diversi problemi legali verranno fuori in seguito, ma ora c’è grandissimo entusiasmo: il 24 gennaio 1966 la band varca la soglia del complesso di studi Sunset Sound Recorders, a Hollywood, supervisionati da Holzman con il suo produttore di fiducia, Mark Abramson, e l’ingegnere del suono Bruce Botnik. Le aspettative sono altissime.
Capitolo 5 - Firmato D.C.
Ferratissimo in ambito folk, Jac Holzman non ha alcuna esperienza in fatto di rock band. Per lavorare al primo disco dei Love chiama inizialmente lo staff producer Paul Rothchild, già al lavoro con The Lovin’ Spoonful e The Butterfield Blues Band. Ma Rothchild ha diversi problemi tra droga e carcere, e viene sostituito allora da Mark Abramson, produttore e filmmaker da tempo legato alla Elektra. L’intento di Holzman è preservare la potente versatilità live dei Love, assoldando l’esperto ingegnere del suono Bruce Botnick, più volte al lavoro nei Sunset Sound con artisti di musica classica e sinfonica.
Le registrazioni di Love, in uscita a marzo, vengono completate in appena quattro giorni, nonostante il carattere complicato di Arthur Lee che si presenta in studio sempre strafatto di hashish e Lsd. Il disco di debutto è però figlio di anni passati a suonare dal vivo, provando e riprovando brani impregnati dell’originario e poetico rhythm’n’blues, poi trasformato - dopo l’avvento dei Byrds - in armonie elettriche in chiave folk-rock. Dal Brave New World al Bido Lito’s, le esibizioni della band hanno segnato i confini delle quattordici tracce promesse alla Elektra, a partire dal ritmo garage di chitarra, basso e batteria nella versione di “My Little Red Book” (Bacharach/David). La prima composizione della coppia Lee-Echols è “Can't Explain”, guidata dallo scintillante jingle-jangle in stile Byrds, mentre la successiva “A Message To Pretty” ricalca i solchi dylaniani dall’introduzione profonda dell’armonica al canto disperato su architetture soniche luccicanti.
Definiti da alcuni osservatori “i Rolling Stones del folk-rock”, i Love propongono un sound elettrizzante in brani come “My Flash On You”, che aggiungono un tocco beat grazie al basso imponente di Ken Forssi. Il gruppo dimostra di essere a suo agio anche in fase di frenata, quando Bryan MacLean guida la dolce melodia psichedelica “Softly To Me”, ridefinendo il tipico sound californiano con l’eccelsa chitarra jazzy di Echols. Se in alcuni brani appare evidente una traccia forse troppo derivativa - ad esempio, “No Matter What You Do”, “You I'll Be Following” e “Gazing” - che si snodano tra il nuovo stilema jingle-jangle ed echi dylaniani - brevi jam strumentali come “Emotions” brillano tra perizia tecnica e gusto psych.
Il gruppo si diverte con la versione accelerata e psicotica dello standard “Hey Joe” (Billy Roberts) - ancora pregevolissimo il lavoro martellante di Forssi al basso - prima di offrire la sua gemma più luminosa nella successiva “Signed D.C.”. Canzone contro la droga scritta da Lee sulle problematiche del batterista Don Conka, “Signed D.C.” è un magnifico e spettrale gospel di intensità fuori scala, più volte accostato alla cover-capolavoro degli Animals, “The House Of The Rising Sun”. Al di là dell’ovvia ispirazione, il brano mette in mostra tutte le qualità da songwriter di Lee, da solo con chitarra acustica e armonica per atmosfere da brividi. Dopo il folk-rock oscuro di “Colored Balls Falling”, l’altro colpo da novanta sulla seconda facciata è l’eterea e delicata “Mushroom Clouds”, altra composizione firmata da MacLean che si discosta dal tono generale segnato da Lee sul resto dell’album. È un equilibrio molto delicato, quello tra Lee e MacLean, che si comportano come dei fratelli litigiosi, pur trovando incastri scintillanti come sul finale di “And More”.
Terminate le registrazioni di Love, su pressione della Elektra viene scelto come singolo di lancio “My Little Red Book”, cover di un brano di Bacharach. Holzman sceglie l’art director William Harvey per la copertina del disco, che immortala cinque personaggi minacciosi negli ampi spazi naturali di Laurel Canyon. Lo stesso Harvey si incarica del design del logo rosso con le lettere curvate, in pieno stile sixties, mentre la Elektra avvia la campagna promozionale del disco su diverse riviste musicali destinate ai teenager. A giugno, Love raggiunge il 57° posto nella classifica dei migliori album di Billboard, mentre il singolo “My Little Red Book” arriva in posizione 52 in quella dei singoli, il miglior risultato commerciale mai ottenuto dalla casa discografica statunitense. Numerosi disc-jockey radiofonici della zona di Los Angeles piazzano il brano in heavy-rotation, portando il gruppo a spostarsi dal piccolo Bido Lito’s al più celebre Whisky A Go Go, nel cuore della Strip. Ma soprattutto i Love attirano le attenzioni di diversi locali nell’area di San Francisco, primo fra tutti il Fillmore dell’impresario Bill Graham, che assolda la band per garantirle la definitiva conquista di tutta la West Coast.
Capitolo 6 - Il re della Strip
Sull’onda del primo successo, i Love si trasferiscono - con l’eccezione di Snoopy - al 4320 di Cedarhurst Circle, nel quartiere losangelino di Rancho Los Feliz. È una villa anni Venti già usata in diversi set cinematografici, affittata al costo di circa seicento dollari al mese e soprannominata The Castle. Il castello diventa così il quartier generale degli eccessi dei quattro, con frequenti party a cui partecipano altri gruppi come The Doors e Buffalo Springfield. Una sorta di reame urbano governato dal sovrano Arthur Lee, che accoglie la sua gente tra droghe, alcol e groupie. Alla metà di giugno, la band si esibisce per la prima volta in tv, al popolare Dick Clark’s American Bandstand, un sogno realizzato da Lee che è un grande appassionato fin da ragazzino.
Pochi giorni dopo si torna ai Sunset Sound perché bisogna battere il proverbiale ferro: registrare un nuovo singolo da lanciare al più presto. Viene così concepita la furiosa “7 and 7 Is”, che nelle intenzioni originali di Arthur Lee doveva snodarsi in un più morbido folk alla Bob Dylan. Il brano viene invece registrato in studio tra feedback e strumenti distorti, per rendere in musica una sorta di “caos controllato” fino all’esplosione atomica e alla conseguente coda blues presa a prestito dalla “Sleep Walk” di Santo & Johnny. Anticipando il furore punk di una decina d’anni, i Love confezionano un garage potentissimo, trascinato da una sezione ritmica torrenziale. Curiosamente, il lato B scelto per il singolo è la breve sarabanda da jug-band “No. Fourteen”, a smorzare allegramente la rivoluzionaria potenza del lato A.
Pubblicato a luglio, il singolo “7 and 7 Is” arriva al numero trentatré della classifica nazionale di Billboard, spopolando nell’intera costa ovest. Promoter e booking agent hanno messo ormai gli occhi sulla band, tra le più innovative sulla scena californiana, ma la personalità eccentrica di Lee si mette di traverso, rifiutando esibizioni in location più grandi del Fillmore o dell’Hullabaloo. I Love restano una band accessibile alla sola West Coast, suonando notte dopo notte negli stessi locali, evitando categoricamente di intraprendere un primo tour statunitense. Un problema per la Elektra, dal momento che le normali logiche del music business vogliono sempre un tour a supporto di un album, per ampliare i mercati regionali in patria. Ma Arthur Lee non ha alcuna intenzione di perdere mesi in giro tra autobus scomodi e alberghi economici, ovvero abbracciando quel male necessario per ogni band alla ricerca del successo nazionale. In sostanza, perché finire in fondo ai cartelloni in città sconosciute quando tra Los Angeles e San Francisco i Love sono indiscussi headliner?
Lee ama particolarmente starsene a casa, al The Castle, tra uccelli esotici, cani e droghe leggere. Dal momento che nessun negozio di dischi al di fuori della California ha mai sentito parlare dei Love, perché scomodarsi? Ecco che i rapporti con la Elektra iniziano a diventare difficili, perché l’etichetta di Jac Holzman non ha mai avuto esperienza con una rock band. Prima di fare il botto con The Doors, la casa discografica entra in un circolo vizioso: non potendo portare fuori i Love, non riesce nemmeno a capire come fare a promuoverli al di fuori dei circuiti di casa. Sarà lo stesso Lee ad ammettere in seguito di aver avuto paura di spostarsi in luoghi sconosciuti, dal momento che un gruppo interrazziale come i Love non era particolarmente acclamato tra Midwest e stati del Sud. La band sarebbe molto più disposta a intraprendere un tour nella più illuminata Europa, ma Holzman non ha alcuna idea per organizzare un simile giro. Su tutto, comunque, c’è il carattere complicato del lider maximo, che pretende sempre che i Love restino primi in cartellone, al di sopra di band come Doors, Grateful Dead, Iron Butterfly.
A smuovere le acque pensa la vulcanica Ronnie Haran, che organizza un concerto a Dallas, Texas, non di certo uno degli stati più progressisti in America. Haran scopre che l’aeroporto di Dallas è anche soprannominato Love Fields, dunque perfetta location per un concerto dei suoi assistiti. Viene montata la macchina pubblicitaria, contattando tutte le stazioni radio della zona e i diversi negozi di dischi. I Love vengono accolti in maniera trionfale, con il sindaco a consegnare a Lee e soci le chiavi della città, addirittura. Tutti sono entusiasti, perché si pensa che l’evento convincerà Lee a suonare di più in giro per gli States, ma sull’aereo di ritorno a Los Angeles, mentre Haran divide i proventi tra i membri del gruppo, Bryan MacLean le dice: “Stai prendendo la stessa cifra che prendo io?”. Per la giovane manager è un colpo al cuore, dopo tutti gli sbattimenti senza nemmeno ricevere un compenso fisso. Inizia così a guardarsi intorno, tradita soprattutto dall’amico Bryan, per finire in un gruppo che proprio Arthur Lee ha segnalato alla Elektra e che - ironia della sorte - sarà a breve la causa di un divorzio bruciante: i Doors. Sia Ray Manzarek che Jim Morrison sono fan scatenati dei Love, apprezzandone la versatilità dal vivo e le lunghe jam infuocate guidate dal signore oscuro Arthur Lee. Quando Ronnie Haran porta Jac Holzman a vedere i Doors dal vivo al Whisky A Go Go, l’Elektra non è convinta, ma basterà qualche altro spettacolo per un primo approccio contrattuale, spinto anche dallo stesso Lee. Per Manzarek e Morrison è un sogno che diventa realtà: essere scritturati dalla stessa etichetta dei Love, la band che regna incontrastata in California nel 1966. Jac Holzman trova nei Doors un gruppo molto diverso dai Love, decisamente più propenso a fare tutti i sacrifici del caso per ottenere il successo planetario. Ronnie Haran diventa manager della band dopo il contratto con la Elektra, apprezzando una organizzazione molto più democratica di quella interna ai Love, praticamente basata sul comando di Arthur Lee.
Capitolo 7 - Da Capo
Nel novembre 1966 la Elektra Records pubblica sul mercato statunitense Da Capo, secondo album dei Love a pochi mesi di distanza dall’omonimo esordio. Nel linguaggio musicale, il termine “da capo” indica al performer di ripetere la stessa linea strumentale dall’inizio. Apparentemente, il nuovo titolo scelto da Arthur Lee evoca un concetto di ripetizione sonica, visto lo scarso lasso di tempo tra un album e l’altro. In accordo con il rispettato socio Johnny Echols, Lee vuole tornare al tempo dei The Grass Roots, prima di Hollywood, quando la stella polare era un sound nello stile di Booker T. and the M.G.’s. In realtà, Da Capo porta i Love anni luce più avanti, dando sfogo a quella che gli stessi membri definiscono “musica libera”, o - volendo trovare una etichetta - un effervescente mix di jazz e rock. Per produrre il disco è finalmente disponibile Paul Rothchild, uscito di prigione e già al lavoro sull’album di debutto dei Doors.
Le sessioni di registrazione iniziano agli Hollywood Studios della Rca, al 6363 di Sunset Boulevard, con l’ingegnere del suono Dave Hassinger. Il nuovo produttore è capace di tenere testa ad Arthur Lee, rispettato da tutta la band per il suo tormentato passato legale. Perfezionista e amante delle regole, Rothchild fa funzionare la macchina Love come un orologio svizzero, assecondando la richiesta di Lee di ottenere un sound in stile Rolling Stones, sfruttando Hassinger che ha lavorato sul singolo “Satisfaction”. In aggiunta, Arthur ha in mente un preciso cambio di direzione verso atmosfere più jazz, così decide di accantonare Snoopy per inserire Michael Stuart, già approcciato al Bido Lito’s quando era nei Sons of Adam. Stuart non è però così convinto, in parte per l’uso massiccio di droghe tra i membri dei Love, infine per il nuovo approccio musicale ritenuto molto poco commerciale.
Mentre Snoopy viene spostato temporaneamente alle tastiere, Lee assolda un ulteriore elemento nella band, il sassofonista e flautista Tjay Cantrelli - vero nome, John Barbieri - esperto di jazz in chiave free-form. Trasformata così la line-up, Arthur si presenta minaccioso negli uffici della Elektra, chiedendo all’etichetta di rescindere il contratto a causa di uno scarso impegno nelle attività promozionali del gruppo. Ma la casa discografica non ha alcuna intenzione di mollare i suoi termini legali, che prevede il rilascio di altri tre album. Malvolentieri, i Love pubblicano Da Capo ancora con Jac Holzman, dimostrando a tutto il panorama musicale californiano una maturazione artistica impressionante.
Il giro di valzer per clavicembali che apre “Stephanie Knows Who” è un manifesto del nuovo corso, che amplia lo spettro del R&B urlato con futuristici intermezzi free-jazz. Il cambiamento repentino del ritmo, che da 3/4 passa a 5/8 con una naturalezza disarmante, è la firma del gruppo con la sua voglia di stupire al di là dei classici stilemi del rock'n'roll. Pur mantenendo in larga parte un formato canzone breve, Da Capo abbraccia la psichedelia trasformandola, come in “Orange Skies”, capolavoro di Bryan MacLean. Riflessione malinconica sull’innamorarsi, il brano centralizza il flauto di Cantrelli, espandendosi con una struttura latin-jazz in anticipo di anni sul Mor marca seventies. Lee osa ancora di più nella mirabolante “¡Que Vida!”, adottando un insolito tono vocale mellifluo su una piccola orchestra di campanelli, caroselli da giostra che arricchiscono una base jazz-pop dal sapore estivo. Una direzione sorprendente se comparata con la successiva furia hard-garage-punk di “7 and 7 Is”, già anticipato come singolo sul mercato californiano. Mentre il talento di Johnny Echols troneggia in “The Castle” - il tono chitarristico che dagli inizi tipicamente country si trasforma in un flamenco sotto acidi - quello di Arthur Lee colora il pop barocco di “She Comes In Colors”, che si dipana tra linee funk e fiati da fiaba moderna.
L’organetto psichedelico di stampo viennese chiude la parte più melodica del songwriting di Lee, prima dell’incendiario finale affidato ai quasi venti minuti di “Revelation”. La suite occupa l’intero lato B del disco, aperta dalla frenesia del clavicembalo per lanciarsi in un R&B sincopato guidato dall’armonica a bocca, tra jam libere su ritmi raga-boogie e gargarismi vocali pruriginosi. “Revelation” è il capolavoro dentro al capolavoro, figlia delle jam torrenziali provate dal vivo fin dai tempi del Brave New World, quando il gruppo metteva in mostra tutto il proprio talento strumentale su cover come “Smokestack Lightning” e “Gloria”. Il finale circolare della suite, ispirata alla fuga di Bach al clavicembalo, viene maneggiato da Botnik per chiudere a quasi diciannove minuti, considerati gli iniziali quarantacinque impossibili da replicare su disco.
Quando esce sul mercato statunitense, Da Capo confonde i fan e gli addetti ai lavori, avendo completamente stravolto in pochi mesi il sound del primo disco. “Revelation” entra in heavy-rotation solo nei programmi notturni, amatissima dai disc-jockey per la sua lunghezza, così da poter avere un’ottima scusa per assentarsi dalla postazione. Il disco si ferma mestamente al numero ottanta nella classifica di Billboard, mentre il singolo “She Comes In Colors”/ “Orange Skies” nemmeno entra nella Hot 100. Arthur Lee è furioso con la Elektra per il pessimo risultato, e ovviamente la Elektra addossa la colpa su Lee e i suoi continui rifiuti verso i tour promozionali. La verità è che le ambizioni visionarie del frontman dei Love superano di gran lunga i gusti del suo stesso pubblico, ancora legati ai ritmi beat del disco d’esordio. Ma la reputazione ottenuta dalla band sul palcoscenico rimane assolutamente integra, nonostante il cambio repentino di sound che dal folk-rock in stile The Byrds passa a una patchanka avanguardista. L’innesto dei fiati di Tjay Cantrelli scuote gli spettatori e infiamma la critica, quando il Los Angeles Timesammette di non ricordare un equilibrio così perfetto tra strumenti e ruoli all’interno di un gruppo. Si inizia così a parlare di jazz-rock, come se “John Coltrane suonasse con insistenza”, portando i Love sulla bocca di tutti i critici musicali della West Coast.
All’inizio di dicembre il gruppo si esibisce in tre serate consecutive al Fillmore di San Francisco, prima di tornare a Los Angeles come headliner al Civic Auditorium di Santa Monica, in compagnia di Turtles e Gene Clark, alle sue apparizioni da solista dopo aver lasciato i Byrds. Il concerto viene però bloccato da un guasto all’impianto elettrico, scatenando la furia di Lee che decide di abbandonare il palco e non proseguire dopo la correzione dei problemi tecnici. È un periodo non facile per la scena notturna losangelina, fiaccata da un coprifuoco durissimo imposto dalla polizia locale a tutti i minorenni, dalle 10 di sera. Gli adolescenti californiani attuano una rivolta, scagliandosi contro gli agenti davanti alla coffee house Pandora’s Box, nel cuore di Sunset Boulevard. Il pugno si fa così più duro, prendendo di mira tutti i locali sulla Strip. Le proteste aumentano e vengono eseguiti oltre trecento arresti, ispirando Stephen Stills nella creazione dell’anthem ribelle “For What It’s Worth”. La temporanea chiusura dei più celebri live club porta la Elektra a tornare alla carica per trascinare i Love in altri stati, con Jac Holzman che porta fisicamente Lee a New York per mostrargli la situazione nella fervente East Coast. Vengono pianificate alcune interviste, ma Arthur non si presenta, avvisando subito Holzman che se ne tornerà a casa a brevissimo. Nemmeno il polso fermo di Mike Gruber, nuovo manager della band dopo l’addio di Haran, riesce a farci nulla: i Love non sono e non saranno mai una tour band.
Capitolo 8 - Definire la posizioneIn mancanza di date dal vivo e proventi commerciali dalla vendita dei due dischi, Arthur Lee decide di tornare al formato a cinque tagliando Snoopy e Cantrelli alla fine del 1966. Nelle intenzioni del leader, il jazz-rock di Da Capo verrà presto accantonato, in favore di arrangiamenti più orchestrali. La scelta di Lee non viene apprezzata dai critici, in particolare dal Los Angeles Timesche boccia l’esibizione al Pasadena Rock-Folk Festival. Quando la Elektra pubblica l’omonimo album di debutto dei Doors, con tanto di enorme cartellone pubblicitario sulla Strip, Arthur Lee è su tutte le furie e se la prende ancora con Holzman per aver preferito il gruppo di Morrison. Ma i Doors sono effettivamente molto più affamati dei Love, trascinati dal singolo “Light My Fire” che nel giugno 1967 arriverà al primo posto nella Billboard Chart.
C'è però un’altra sostanziale differenza tra le due band: mentre Manzarek e soci sono in grado di gestire i comportamenti di Morrison, la dittatura di Lee regna incontrastata senza diritto d’appello. A provarci è anche la fidanzata di Arthur, Gaye Blair, facendogli notare il successo di Morrison dal vivo. Ma Lee è inamovibile, non vuole suonare in giro per l’America, né volare o lasciare le comodità di casa a lungo.
Inizio 1967. L’escalation del conflitto in Vietnam aleggia sulle spalle di tutti i maggiorenni americani, a rischio arruolamento in mancanza di un certificato di rinvio. Lo spettro della guerra rovina parzialmente l’entusiasmo nella cosiddetta Summer of love, che tra l’altro è caratterizzata proprio da un esteso sentimento anti-militare. Il tremendo sorteggio istituito dal governo statunitense mette paura in particolare agli adulti di colore, “stranamente” scelti in maggior numero rispetto ai bianchi. Infatti, sia Echols che Lee vengono chiamati per l’addestramento, ma riescono a farla franca fingendo di essere inabili e dalle forti tendenze omosessuali.
Le manifestazioni contro la guerra in Vietnam fanno sembrare quelle contro il coprifuoco a Los Angeles una barzelletta, portando la penna di Lee a maturare nuove idee creative. La mente di Arthur è ora concentrata sul lato oscuro della società americana, tra l’amore libero dei figli dei fiori e la stretta sociale di Lyndon Baines Johnson.
Tra i più importanti album dell’intero decennio, Forever Changes (1967) viene partorito come se fosse l’opera ultima, estremo sforzo in un mondo senza alcuna speranza. Lee riflette sulla sua stessa vita, sulle amicizie, sul senso insito nella società in cui sta vivendo. È il disco in cui diventa più evidente la frattura in seno ai Love, in particolare tra le personalità ingombranti di Arthur e Bryan, mentre il consumo generale di Lsd e marijuana si sposta pericolosamente verso droghe più pesanti. Dopo sporadiche esibizioni in primavera - dal First Annual Love Circus a sei serate consecutive al piccolo ma amatissimo Bido Lito’s - i Love iniziano a lavorare sul primo materiale scritto da Lee, che per una volta ringrazia Holzman dopo il suggerimento di introdurre un sound più acustico rispetto alla furia atomica di “7 And 7 Is”. Arriva così il momento di portare i nuovi brani ai Sunset Sound Recorders, con Bruce Botnick promosso a produttore.
Le sessioni di registrazione di Forever Changes sono minate dal nuovo scontro legale tra Lee e la Elektra, che ricorre ancora una volta ai suoi avvocati per obbligare la band a produrre un terzo disco. Viene però trovato un accordo più favorevole ai Love, che sono sì obbligati a registrare altre 12 tracce, ma potranno contare sulla possibilità di rescindere il contratto nel caso in cui l’etichetta discografica non riuscirà a pubblicare e promuovere il nuovo lavoro in studio entro quattro mesi. Includendo anche Michael Stuart, il gruppo firma il nuovo accordo, che all’articolo due assicura la possibilità di intascarsi un eventuale risparmio sul totale di 25mila dollari messi a budget per l’intero progetto discografico. Volendo puntare su nuovi arrangiamenti per archi e fiati, Botnick suggerisce a Lee di assoldare il giovane compositore David Angel, già al lavoro a Hollywood su colonne sonore per show televisivi come “Bonanza” e “Lassie”. Angel non ha mai sentito parlare dei Love - la sua è la tipica carriera da arrangiatore classico o al massimo jazz - ma accetta con entusiasmo di lavorare al disco, nonostante Lee sia già pronto a dirgli cosa fare. Lo stesso David dirà poi di aver lasciato carta bianca a Lee come “arrangiatore principale”, alimentando il successivo mito che vede Forever Changes ideato, composto e interamente suonato dal solo Arthur. Ma sicuramente il nuovo disco dei Love è qualcosa di eccezionale nell’idea di stravolgere la prassi comune degli album di rock orchestrale, dove le parti sinfoniche vengono aggiunte successivamente in fase di overdubbing. Il genio dirompente di Lee vuole che la band suoni esattamente dentro l’orchestra, come a creare un unico corpo sonico.
Inizialmente concepito come un doppio album, Forever Changes è il “Pet Sounds” dei Love, dominato dalle nuove idee psichedeliche di Arthur Lee. È qui che il leader allestisce la sua scena, sempre più esasperato dai suoi stessi compagni di band. La realizzazione del disco è di fatto una corsa contro il tempo - articolo due del contratto con la Elektra - portando a una decisione estrema: aggiungere altri musicisti per rimpiazzare Echols e soci. “Sbagliavano accordi, erano costantemente sotto droghe, non erano concentrati su quello che stavamo facendo”, dirà Lee in seguito. Viene così brutalmente assoldata la cosiddetta The Wrecking Crew, un gruppo di sessionmen che vede Hal Blaine alla batteria, Carol Kaye al basso, Billy Strange alla chitarra solista e Don Randi alle tastiere. La scelta puzza, perché i Wrecking Crew, stimati musicisti dell’area losangelina, costano molto di più dei Love, mandando in fumo il proposito di risparmiare. È evidente che Lee vuole mandare un segnale forte e chiaro agli altri, praticamente rimpiazzati in toto su tre brani in lavorazione.
Ma dal caos, spesso, nascono le gemme più preziose: Forever Changes è il disco più arioso dei Love, aperto dal leggiadro acquerello acustico di “Alone Again Or” (MacLean), a metà tra arrangiamenti in stile Prokofiev e fiati spagnoleggianti. Nel saliscendi psichedelico di “A House Is Not A Motel” entra in gioco il songwriting brutale e oscuro di Lee sul conflitto in Vietnam, che tira fuori una straordinaria performance vocale tra leccate folk-rock e scompensi elettrici. Tra i brani registrati con i Wrecking Crew, “Andmoreagain” vira verso un ritmo a metà tra Burt Bacharach e Neil Young, condotto dalla voce da crooner di Lee su un intenso madrigale psichedelico.
Il basso pulsante di Carol Kaye trascina il groove di “The Daily Planet”, altra gemma acida tra folk squillante e tenebrose trame dal sapore country-western. “Old Man” è la seconda firma di MacLean sul disco, tenera e ipnotica folk-ballad ricamata dagli archi condotti da Angel, secondo alcuni ancora una volta ispirati dal movimento Troika nella “Lieutenant Kijé Suite” di Prokofiev. Mentre Lee apporta le purissime sperimentazioni barrettiane con il clavicembalo mistico di “The Red Telephone”, la meravigliosa “Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale” apre un arcobaleno fusion tra jazz-rock, psichedelia e sound latini, dai gruppi mariachi alla bossa nova. Una raffinatezza oscura assolutamente innovativa nel contesto del flower-power alla fine dei Sixties, frutto di uno stato creativo clamoroso e soprattutto di una fervida fantasia strumentale, come nel dialogo tra l’arrangiamento barocco e gli squillanti effetti di chitarra di “Live And Let Live”. I Love sono così capaci di confezionare melodie di estrema bellezza e ariosità, dallo strambo pizzicato malinconico di “The Good Humor Man He Sees Everything Like This” al proto-progressive della marcia sinfonica “You Set The Scene”. Nel mezzo, tutta l’irriverenza stilistica di Arthur Lee, a guidare il country schizoide di “Bummer In The Summer”, tra ritmiche à-la Bo Diddley e visioni rap.
Se Da Capo aveva dimostrato che i Love non erano solo un gruppo beat, Forever Changes li lancia nella stratosfera del genio.
Capitolo 9 - Disbanded
Nonostante l’accordo con la Elektra preveda inizialmente di terminare i lavori di registrazione entro la metà di giugno, la produzione di Forever Changes finisce nel settembre 1967. Tutto sommato, una dimostrazione di affetto mostrata da Holzman verso Arthur Lee, che continua però a rifiutare qualsiasi forma di espansione dal vivo. Viene incredibilmente rifiutata anche l’offerta del Monterey International Pop Festival, in programma tra il 16 e il 18 giugno, pur trattandosi di una esibizione nel recinto californiano. Tra gli eventi più importanti nella storia del rock, il festival organizzato nella contea di Monterey Fairgrounds invita i Love e non i Doors, un segno inequivocabile di rispetto artistico. Ma è gestito in prima persona da Lou Adler, che già ha militato in quei The Grass Roots accusati di furto d’identità musicale proprio da Lee, che rifiuta categoricamente di esibirsi, oltretutto in un evento no-profit.
L’ennesima presa di posizione è pesantissima, perché di fatto lascia i Love nell’anonimato nazionale e internazionale, con un capolavoro in uscita che resta praticamente nell’ombra. Forever Changes viene pubblicato a novembre ed è un totale fiasco commerciale: fermo in posizione 154 nella classifica di Billboard. Andrà decisamente meglio nel Regno Unito - dove si posizionerà al 24° posto nell’anno successivo - ma negli States i Love sono un gruppo praticamente sconosciuto, nemmeno il singolo “Alone Again Or” riesce a centrare la già estesa Top 100. Holzman probabilmente sbaglia il tempo dell’uscita a ridosso delle festività natalizie, ma è chiaro che i continui rifiuti nei confronti degli show dal vivo pesano come un macigno. Il disco è però osannato dalla critica, che paragona Lee ai grandi songwriter come Bob Dylan e John Lennon.
Complimenti a parte, il mood di Arthur Lee all’inizio del 1968 è ai limiti dell’accettabile, abbattuto dalla generale indifferenza con cui il (già scarso) pubblico americano ha accolto Forever Changes. In continua evoluzione, il sound psichedelico del 1967 sta mutando verso un approccio più aggressivo, con il recupero del blues in salsa hard & heavy. Come faranno i Love ad affrontare questa rivoluzione sonica? Le date dal vivo sono, ovviamente, pochissime: tre serate al nuovo Blue Law Club di Torrance, seguite dal ritorno al Whisky. Il repertorio è un mix di vecchio e nuovo materiale, dalla resa live impossibile, visti gli ultimi, enormi arrangiamenti orchestrali.
A gennaio viene firmato un ulteriore accordo tra la band e la Elektra, in cui vengono trasferite tutte le royalties nelle mani di Lee, per poi essere distribuite tramite i suoi avvocati agli altri membri. Entro la fine del mese i Love sono nuovamente in studio con il nuovo ingegnere del suono John Haeny - il rapporto con Botnick è stato infatti interrotto dopo i litigi su Forever Changes - nel tentativo di smuovere le acque della classifica nazionale con un singolo più in linea con i tempi. “Your Mind And We Belong Together” abbandona gli arrangiamenti orchestrali per un suono più diretto ed elettrico, affidato al robusto e ossessivo riff di Echols con la conduzione vocale da crooner di Lee. La base folk del brano viene accelerata e squarciata all’improvviso da un intensissimo assolo hard-blues, segno inequivocabile di una sterzata rispetto all’ultimo album. Come B-side del singolo viene scelta “Laughing Stock”, avviata da uno stornello acustico sul canto macabro prima di esplodere su un ritmo sferragliante di stampo beat.
Le due canzoni dovrebbero essere incluse in un nuovo progetto dal titolo “Gethsemane”, una critica verso la Elektra che è accusata dal gruppo di tradimento dopo aver promesso Forever Changes come doppio album. In realtà, il singolo è il primo canto del cigno dei Love, fermati da Lee nei primi mesi del 1968. I già pochi concerti del gruppo diventano ancora più sporadici, mentre Arthur vive la sua comoda vita casalinga con i proventi delle royalties ottenuti nel nuovo accordo con la Elektra. Echols e soci mugugnano, costretti all’inattività, in uno stallo alla messicana. Tutti vogliono continuare a lavorare, tranne il leader supremo, che rifiuta di esibirsi dal vivo e registrare nuovo materiale in studio. Inizia così ad aumentare il consumo di eroina, mentre i rapporti tra Lee e MacLean, già fortemente in bilico dopo la scelta di pubblicare “Alone Again Or” come singolo di lancio di Forever Changes, scendono ai minimi storici.
Ad aprire uno spiraglio è Mike Gruber, che convince Lee a intraprendere un breve tour nella East Coast, a partire da due date al New Generation Club di New York nel mese di maggio. La data prevista al Miami Pop Festival viene però annullata, perché Arthur se ne torna in fretta e furia a Los Angeles per “questioni di business urgenti”. In realtà, è diventato ansioso nei confronti della fidanzata Suzanne Hausner, rimasta a casa in compagnia di amici non proprio fidati. Ormai dipendente dalla cocaina, Lee è spesso in preda di pensieri paranoici: annuncia così al resto del gruppo che il concerto di Miami non si farà perché i Love non sono stati inseriti come headliner.
La situazione peggiora ulteriormente con la morte del nuovo road manager Neil Rappaport, a causa di una fatale overdose di eroina. Il gruppo è ormai allo sbando, psicologicamente e fisicamente devastato dall’uso di droghe pesanti. Limita al minimo le esibizioni, nel sud della California e a Salt Lake City, Utah, nel luglio 1968. Nessuno parla apertamente della fine dei Love, semplicemente Lee non vuole saperne di suonare o registrare, mentre gli altri sono strafatti e MacLean pensa a un disco da solista con la Elektra, di fatto ormai fuori dal progetto.
Capitolo 10 - Nuovo amore
La line-up dei Love è ormai a pezzi. Bryan MacLean, pericolosamente imbottito di eroina, prova a convincere la Elektra con il suo materiale scartato nelle sessioni di Forever Changes. L’etichetta di Holzman non è impressionata, spingendolo verso New York dove proverà negli anni 70 a incidere per la Capitol. Uscito dal tunnel delle droghe pesanti, Bryan diventerà dipendente dagli alcolici, fino all’addio definitivo all’industria musicale nel 1979. Diventerà un cristiano rinato negli anni 80 prima di morire d’infarto il giorno di natale del 1998.
Michael Stuart inizia a lavorare con artisti come Neil Diamond, prima di abbandonare anche lui il mondo della musica e trasferirsi nei dintorni di South Lake Tahoe per costruirsi una famiglia. Ingaggerà una battaglia legale in solitaria contro Arthur Lee nel 1971 per ottenere le sue giuste royalties, vincendola con un compenso di diecimila dollari circa. Sicuramente peggiore è la sorte che attende Ken Forssi e Johnny Echols, arrestati dalla polizia californiana per un presunto - mai confermato dai due - furto in un negozio di ciambelle. Devastato dall’eroina, Echols proverà a rifarsi una vita tra New York e l’Arizona, lavorando a tratti come insegnante di musica e sporadicamente come sessionman. Se Johnny alla fine riuscirà a ripulirsi con la sola forza di volontà, Forssi finirà negli anni 70 al California Rehabilitation Center di Corona, per poi rifiutare categoricamente ogni proposta di reunion di Lee, accusato di non avergli lasciato nulla. Morirà di tumore al cervello a Tallahassee, Florida, all’inizio del 1998.
Dall’estate del 1968 la storia dei Love diventa quindi quella di Arthur Lee, che svela alla California la sua nuova line-up in alcuni concerti al Whisky A Go Go tra agosto e settembre. I nuovi musicisti vengono assoldati al club noto come Brass Ring in Ventura Boulevard (Sherman Oaks), una zona non proprio ben frequentata. Lee ha assistito a uno show dei Nooney Rickett IV, gruppo rock'n'roll guidato dal cantante e attore Nooney Rickett. Arthur conosce già il bassista Frank Fayad e prova a convincere anche il batterista del gruppo, George Suranovich. Alla chitarra solista il prescelto è Jay Donnellan, apprezzato da Lee perché versatile proprio come il vecchio e tormentato socio Johnny Echols. Formata la nuova line-up dei Love, Lee è ora libero da qualsiasi intralcio e può assumere il controllo totale della band, diventandone anche il manager al posto di Gruber. Ha già iniziato a comporre nuovo materiale, lontano anni luce dal sound psichedelico e barocco di Forever Changes. Ora la direzione da seguire è l’hard-rock, nello stile di Jimi Hendrix o dei Cream, salito prepotentemente alla ribalta alla fine dei Sixties.
Gli accordi iniziali con la Elektra prevedono un ultimo disco, mentre Lee inizia a guardarsi intorno per trovare un nuovo contratto discografico. La ricerca non è semplice, perché Arthur non ha una buona reputazione tra i discografici e non può certo contare su vendite fantasmagoriche nel suo curriculum. L’unica che dimostra un certo interesse è la neonata Blue Thumb, fondata da Bob Krasnow (ex-Warner Brothers), che garantisce un contratto ai nuovi Love agli inizi del 1969. Holzman viene a saperlo, essendo amico di Krasnow, ma ovviamente non fa nulla per impedire il passaggio di consegne, convinto di aver avuto il meglio da Arthur Lee.
Nel frattempo la nuova band avvia una vera e propria maratona per registrare il quarto album, Four Sail, mettendoci dentro diverso materiale aggiuntivo che verrà poi utilizzato in seguito. Con la solita mossa anticonformista, Lee decide di non usare gli studi della Elektra, registrando nella sua stessa casa, in garage, con una minimale strumentazione presa in affitto ai Wally Heider Studios di Hollywood per otto dollari l’ora. Si cerca un sound potente e grezzo, per distruggere il passato, senza utilizzare effetti in mixing e overdubbing nell’autunno del 1968. I nuovi brani spiazzano i critici accorsi a vedere la band dal vivo in diversi concerti californiani tra la primavera e l’estate dell’anno successivo, prima dell’uscita ufficiale del disco ad agosto. Anche con il nuovo corso, Lee non ha alcuna intenzione di stravolgere le sue abitudini in tour, arrivando a rifiutare “una sola esibizione a New York”: il festival di Woodstock.
Sin dai primissimi minuti di ascolto, Four Sails mette in chiaro il nuovo intento sonico di Lee, che si sviluppa su un mix in chiaroscuro tra improvvisazione jazz e chitarre hard-rock ai limiti dello schizoide. “August” è il brano che sconvolge fan e addetti ai lavori, così come l’intero album che viene pubblicato nell’agosto 1969. La vecchia verve psichedelica viene notevolmente asciugata senza l’utilizzo di parti orchestrali, come nella successiva filastrocca “Your Friend And Mine - Neil's Song”, guidata in stile marcetta su uno squillante ritmo country-blues. L’alchimia trovata da Lee con i nuovi compagni di band è notevole, come nell’esotico jazz-rock “I'm With You” o in “Good Times”, che sfodera un pregevole assolo di chitarra di Donnellan sull’ossessivo finale corale.
Se i fan della prima era potrebbero storcere il naso, Four Sails mostra una forse inattesa maturità, nonostante le tecniche approssimative di registrazione messe in piedi da Lee per contrastare la Elektra. Tra i pezzi migliori del lotto, la psicotica ballata elettrica “Singing Cowboy”, scandita dalla batteria impazzita di Suranovich e sapientemente squarciata dalla chitarra hendrixiana sui coretti schizoidi di Lee.
Il secondo lato dell’album è aperto dal country-rock mellifluo di “Dream”, prima delle atmosfere à-la Neil Young di “Robert Montgomery”. Sono i brani che mostrano una leggera flessione verso il citazionismo, mentre “Nothing” vira verso un pregevole tecnicismo ritmico tra pop, psichedelia e jazz. Ma il genio di Arthur Lee è sempre dietro l’angolo, sfoderando la surreale e zappiana “Talking In My Sleep” e poi concludendo con un ritorno alle atmosfere orchestrali di Forever Changes in “Always See Your Face”.
Uscito nell’estate 1969, Four Sails subisce il peso del suo predecessore, venendo rivalutato solo successivamente dalla critica. Ad agosto, arrivata a Oakland per uno show all’aperto, la band si trova incastrata in problemi organizzativi che dovrebbero portarla a suonare solo dopo i Blood, Sweat & Tears. Lee esplode e ordina al gruppo di tornarsene a Los Angeles, scatenando la reazione di Jay Donnellan che vorrebbe salire sul palco. Il giorno successivo, quando si presenta in studio, il chitarrista trova la porta lucchettata, prima di ricevere un telegramma dove gli viene notificata la fuoriuscita dai Love. Al suo posto arriva Gary Rowles, che ha già suonato con Fayad e Suranovich, invitato inizialmente da Lee a suonare solo pochi assoli per completare le registrazioni del successivo Out Here, praticamente lavorato nello stesso periodo (e allo stesso modo) di Four Sails. L’album esce a dicembre sulla nuova etichetta Blue Thumb, che lo distribuisce anche nel Regno Unito grazie alla Harvest.
Pubblicato come doppio album, Out Here è la testimonianza di un Lee sempre più diviso tra vecchie reminiscenze acustiche e nuove sonorità aggressive. Il primo disco è aperto dall’honky-tonk psichedelico “I’ll Pray For You”, seguito dal breve stornello country “Abalony”. Lee - o Arthurly, come ora si fa chiamare nei credits - riscrive in chiave elettrica la sua vecchia gemma “Signed D.C.”, sfoderando una disperata prova tra voce e armonica.
Se brani come “Listen To My Song” fanno pensare alla necessità di riempire un doppio album con semplici melodie acustiche, il boogie-blues “I'm Down” restituisce all’ascoltatore una pregevole prova corale. La chitarra di Donnellan sgasa in wah-wah sull’hendrixiana “Stand Out”, seguita dalla marcetta stralunata “Discharged” e soprattutto dalla lunga suite “Doggone”, che in dodici minuti esatti mescola un valzer psichedelico con improvvisazioni free-jazz guidate dalla batteria di Suranovich.
Il secondo disco di Out Here è aperto dal folk elettrico di “I Still Wonder”, prima dell’altra maratona di oltre dieci minuti, il rock psichedelico “Love Is More Than Words Or Better Late Than Never”. Mentre “Nice To Be” e “Car Lights On In The Daytime Blues” sono altri riempitivi frutto delle sessioni fiume negli spazi affittati da Lee, brani come “Run To The Top” e “Willow Willow” spaziano con garbo nei territori del pop-jazz dal gusto beatlesiano. Efficace il groove rumoroso di “Instra-Mental”, in contrasto con il finale melodico di “Gather 'Round”.
Capitolo 11 - Falsa (ri)partenzaIl fallimento commerciale di Four Sails, ultimo disco su etichetta Elektra, mette in apprensione il boss della Blue Thumb, Bob Krasnow, in vista dell’uscita di Out Here nell’estate 1969. Krasnow convince così Arthur a richiamare i suoi vecchi compagni di band, nel tentativo di generare nuovo hype sui Love, per un concerto al Santa Monica Civic Center. Lee accetta a condizione di escludere MacLean, mentre un aereo privato sorvola la città per sbandierare l’annuncio: “LOVE at the Santa Monica Civic tonight”.
La band riunita attacca il concerto con l’iconica “7 & 7 Is”, ma il lavoro alla chitarra di Echols manda su tutte le furie Lee, che lo giudica troppo morbido. In realtà, Johnny è ancora alle prese con gravi problemi di dipendenza, non è affatto presentabile ai livelli che ovviamente cerca Lee. La Blue Thumb ha già organizzato un tour inglese per la fine del 1969, ma lo stato di forma dei vecchi compari è pessimo e porta Lee a continuare con la nuova line-up. Nel frattempo, Out Here è un altro insuccesso, questa volta motivato da materiale troppo approssimativo, a parte alcuni ottimi spunti. Andrà decisamente meglio nel Regno Unito, dove arriverà a un miracoloso 29° posto grazie alla distribuzione della Harvest.
Finalmente propenso a volare oltreoceano, Lee porta i nuovi Love a esibirsi a Londra, allo Speakeasy, poi Birmingham prima di passare tra Copenhagen e Stoccolma. Il tour nella primavera del 1970 solidifica la fanbase europea, mentre il seguito negli Stati Uniti è ormai già dissolto nel nulla.
Durante la visita nel Regno Unito, i Love entrano negli Olympic Studios nell’area di Barnes, a sud-ovest di Londra, per registrare una jam d’eccezione con Jimi Hendrix. Il nuovo chitarrista Gary Rowles rimane di sasso quando vede Hendrix varcare la soglia degli studi londinesi, chiamato da Lee in nome di una amicizia che dura da oltre dieci anni. Jimi ha infatti accettato di lavorare su un nuovo brano di Lee, “The Everlasting First”, prima creazione sonica in vista del prossimo album con la Blue Thumb.
Le sessioni di False Start continuano a giugno ai Record Plant di Los Angeles, mentre Krasnow è galvanizzato dalla comparsata londinese di Hendrix che potrebbe spingere il disco in classifica. L’album viene pubblicato nel dicembre 1970, aperto proprio dal wah-wah incendiario di Jimi nel singolo “The Everlasting First” che, disattendendo le speranze della Blue Thumb, fallisce nelle chart, ancora una volta. Il brano è in effetti poco più di una breve jam, che sfuma nel gradevole ma banale R&B “Flying”. Dal classico rock psichedelico “Gimi A Little Break” - ospite fisso di quasi tutto il disco è l’amico Nooney Rickett, chitarra ritmica e cori - alla versione live della già incisa “Stand Out”, False Start racconta di una band al suo canto del cigno, divisa tra una sempre efficace perizia tecnica e un progressivo svuotamento creativo.
Schiacciato dal suo passato e da un disco inimitabile, Arthur Lee ha provato a reinventarsi con grande foga e voglia di andare avanti, ma il mellifluo ritmo barrelhouse di “Keep On Shining” tradisce una certa stanchezza. Più fresco è invece il ritmo soul della squillante “Anytime”, mentre il country-western di “Slick Dick” vira improvvisamente verso uno spiazzante funky-rock.
L’album è chiuso dalla beatlesiana “Feel Daddy Feel Good” prima della deriva cosmica di “Ride That Vibration”. Nonostante più di un passo falso, False Start attira l’attenzione degli addetti ai lavori per la prova di Jimi Hendrix, a pochi mesi dalla sua tragica morte nel sonno, il 18 settembre. Ma le speranze della Blue Thumb sono tragicamente disattese, dal momento che il disco non supera la posizione 184 nella classifica americana.
La disfatta commerciale di False Start, pur includendo la collaborazione con una icona scomparsa da pochi mesi, porta Krasnow a salutare Arthur Lee. Il contratto con la Blue Thumb, in mancanza di hit, viene stracciato, confermando la previsione della Elektra: i Love hanno già dato il meglio. La situazione interna alla band californiana precipita ulteriormente con l’addio di Suranovich, sempre per questioni legate ai pagamenti gestiti in prima persona da Lee. Viene così assoldato Don Poncher per suonare in due date al Fillmore East a inizio dicembre, mentre il chitarrista Gary Rowles lascia il gruppo nel 1971, stanco delle bizze di un frontman sempre più in preda di allucinazioni e paranoia.
Lee sceglie Craig Tarwater per la sua chitarra solista, in procinto di partire per un nuovo mini-tour tra Canada e Stati Uniti. I Love si esibiscono alla Cobo Hall di Detroit con Stooges e Alice Cooper, poi in apertura ai Grand Funk Railroad alla Milwaukee Arena davanti a diecimila persone. Lee però si rifiuta categoricamente di suonare i brani richiesti dal pubblico a gran voce, ovviamente dai primi tre album della line-up originale. Diventato convinto vegetariano, Arthur strappa un nuovo contratto da solista con la Cbs, iniziando a lavorare su nuovo materiale nella primavera del 1971 agli studi in Sunset Boulevard.
Le sessioni sono infinite, ben 13 sedute che girano a vuoto, costringendo i responsabili della nuova etichetta a staccargli la spina a luglio. Continuamente sotto effetto di droghe, Lee non ha più nulla da dire a livello musicale e si limita a registrare versioni demo sotto lo sguardo furioso dei dirigenti della Cbs. L’abuso di cocaina ed eroina diviene fuori controllo, portandolo a finire quasi ammazzato quando si lancia dal tetto di casa in preda ad allucinazioni da acidi. Il tour europeo in programma alla fine dell’anno viene cancellato, rimpiazzato da un paio di date al comodo Whiskey A Go Go nel gennaio 1972. Nel locale losangelino viene approcciato da Allan McDougall, responsabile A&R della A&M Records, etichetta in vistosa crescita grazie ad artisti come Joe Cocker e Humble Pie. McDougall è sorpreso quando apprende che il grande Arthur Lee è senza contratto, così gli offre l’opportunità di incidere un disco da solista.
Con il solo Poncher alla batteria, Lee chiama due giovani musicisti della East Coast, Charles Karp (chitarra) e David Hull (basso), già con Buddy Miles e la Band of Gypsys. Nella primavera del 1972 iniziano così le sessioni di registrazione di Vindicator, questa volta brevissime, essendovi già materiale provato nella fallimentare esperienza alla Cbs. Gli stessi musicisti - indicati nei credits come Band Aid - sono stupiti dalla velocità in studio, con Arthur in difficoltà alla chitarra ritmica a causa dell’abuso di sostanze.
Aperto dal robusto rock-blues “Sad Song”, Vindicator è decisamente ispirato dalle recenti jam con Jimi Hendrix, sorretto dalla chitarra muscolare del nuovo innesto Charlie Karp. Brani come “Love Jumped Through My Window” spingono via per sempre il passato tanto celebrato da fan e critici musicali, trovando nuova linfa in arrangiamenti senza troppi fronzoli. Dalle sgasate elettriche di “Find Somebody” al sound Chicago-style di “He Said He Said”, è un album che scorre gradevole, focalizzato nonostante le condizioni di Lee e la velocità con cui è stato registrato.
La poderosa “Every Time I Look Up I'm Down Or White Dog (I Don't Know What That Means!)” vira verso i lidi dell’hard-rock, mentre “Everybody’s Gotta Live” risplende con un’armonia pop-soul interpretata con uno stile da antichi fasti. Al netto di esperimenti fin troppo hendrixiani come “You Want Change For Your Re-Run”, il disco riporta il songwriting di Lee su livelli di primo piano, ad esempio nel rock'n'roll rallentato di “He Knows A Lot Of Good Women (Or Scotty's Song)”. Ottima la chiusura sul ritmo incalzante e oscuro di “Hamburger Breath Stinkfinger”, prima di “Busted Feet”, blues-rock siderale composto in coppia con Karp.
Capitolo 12 - Singing Cowboy
Uscito nell’estate del 1972, Vindicator non ottiene grandi consensi da parte degli addetti ai lavori, che criticano uno stile troppo simile a quello di Hendrix. Interviene anche Jac Holzman, dichiarando di non capire come la A&M possa aver autorizzato la pubblicazione dell’album. Se Vindicator sarà rivalutato in futuro, le nuove ambizioni di Arthur Lee sono spezzate dal suo stesso comportamento dal vivo. È infatti incapace di suonare, costantemente in preda a sostanze e abbandona anche i suoi ultimi musicisti per viaggiare tra un locale e l’altro come una scheggia impazzita.
Alla metà del 1973 si presenta una nuova occasione, grazie all’etichetta indipendente Buffalo Records che è stata avviata di recente dall’impresario Michael Butler, già produttore del musical “Hair”. Lee mette così in piedi una nuova band con l’amico bassista Robert Rozelle, che a sua volta chiama il chitarrista Melvan Whittington e il batterista Joe Blocker. La nuova formazione fa il rodaggio al KROC Concert al Coliseum, prima di iniziare le sessioni di registrazione del nuovo album “Black Beauty” agli studi Wally Heider’s di Los Angeles, sotto la guida dell’ex-Paul Rotchild. Lee ha ancora brani da completare dalle sessioni fiume alla Cbs, ma il disco non vede la luce perché la Buffalo Records dichiara bancarotta dopo la primavera. Bisogna così iniziare da capo, ma in soccorso di Arthur arrivano fan d’eccezione come Eric Clapton e Robert Plant, che fanno pressione su Robert Stigwood, boss della Rso Records. L’idea è di affidare Lee alle mani sapienti del produttore Skip Taylor, già al lavoro con Canned Heat e John Lee Hooker. La Rso azzarda la scommessa, puntando un budget di 100mila dollari per un nuovo disco di Arthur Lee, spiegandogli in maniera chiara che si tratta dell’ultima chance. Sorpreso dai soldi in palio, Lee propone di registrare con soli diecimila e di dividersi il rimanente, ma Stigwood lo riprende dicendogli che il disco si farà con quel budget perché dovrà essere eccellente. La Rso ha inoltre intenzione di metterlo fisso in apertura nel prossimo tour mondiale di Eric Clapton, confermando di voler davvero rilanciare la figura del frontman.
Con un budget mai visto prima, Arthur Lee decide di riappropriarsi sia del nome Love che delle sue radici black, abbandonando la sola musica dura per un patchwork degli stili che lo hanno formato sin dall’adolescenza. Uscito tra grandi clamori pubblicitari nel dicembre 1974, Reel To Real vede alternarsi tantissimi ospiti - come Harvey Mandel dei Canned Heat o Howard "Buzz" Feiten II dalla Paul Butterfield Blues Band - e soprattutto il ritorno di cori e sezione fiati. L’apertura del disco è in effetti sorprendente, con il ritmo funky di “Time Is Like A River” adornato di scatenati cori soul, seguito a ruota dall’ondeggiante rhythm & blues “Stop The Music”, impreziosito dal fraseggio di armonica sulla imponente base fiati.
Per il suo rilancio Lee decide di affidarsi al funk di “Who Are You”, a metà tra la psichedelia e la disco-music, mentre “Good Old Fashion Dream” ha un vago sapore tra gospel e soul. Dal country-blues scheletrico “Which Witch Is Which?” alle reminiscenze in stile Delta di “With A Little Energy”, Reel To Real è un disco quasi vintage, un cassetto di memorie per un artista da sempre in lotta con una generale sottovalutazione artistica.
Ecco che Lee, nella solita mossa anticonformista, apre il secondo lato dell’album con una rilettura velocizzata della sua “Singing Cowboy”, mentre “Be Thankful For What You Got” è una cover del recente successo funky-soul di William DeVaughn. Considerato il budget a disposizione, stupiscono l’approccio lo-fi di “You Said You Would”, ma soprattutto ben due riletture di brani già pubblicati, “Busted Feet” e la pur bella “Everybody's Gotta Live” in versione acustica. Forse troppo poco per un disco annunciato con così grande clamore, che dovrebbe segnare la rinascita artistica dei Love.
Quando inizia il tour di Eric Clapton, Arthur Lee viene accolto da un’ovazione sin dalla prima tappa britannica. Ci sono tantissime date da fare e tutto sembra apparecchiato per il successo, ma al microfono esclama: “Sì, sono tornato. Ma le cose non sono così diverse da come stavano. Ora sono solo lo schiavo del nuovo padrone, Robert Stigwood”. Il boss della Rso non ci crede, dopo tutti i soldi e gli sforzi profusi. Stringe il braccio del produttore Skip Taylor e gli ordina di andare subito nel backstage: “Vi daremo gli ultimi soldi e siete fuori, non voglio più vedere quell’uomo”. Taylor è furioso con Lee, gli ordina di scusarsi, ma Arthur dice semplicemente. “È quello che sento, non chiamerò quel figlio di puttana”. È di fatto la pietra tombale sulla sua carriera.
Dalla metà degli anni 70 le apparizioni live si contano sulle dita di una mano, mentre Lee si chiude in se stesso nella sua abitazione losangelina, sempre più isolato e zeppo di droga. Si allontana da molti amici, lasciando perdere qualsiasi ambizione e consumando la sua piccola fortuna in sostanze stupefacenti. Nel 1975 si trasferisce al 14818 di Round Valley Drive, a Sherman Oaks, una casa decisamente più piccola, dopo aver venduto la villa in Avenida del Sol per trovare soldi facili. Tre anni dopo sorprende i vecchi fan esibendosi al Whisky con l’amato e odiato Bryan MacLean, ma i due show nell’ottobre 1978 segnano un’altra rottura tra i due, visto che quest’ultimo non viene pagato ed è relegato sul palco in un ruolo di secondo piano.
Nel 1980 la Rhino Records tenta di riportare i Love sul mercato discografico con la compilation di 16 brani The Best Of Love, un sincero tentativo di far ascoltare la musica della band alle nuove generazioni di ascoltatori. Harold Bronson, co-fondatore della Rhino Records, è un vero fan dei Love, così contatta Lee per ricevere alcune dichiarazioni da inserire nel libretto del disco. Arthur torna a parlare dopo diverso tempo, spiegando i suoi stessi brani, ammettendo di essere felice per l’operazione di Bronson. Salvo poi minacciarlo legalmente dopo l’uscita di Love Live nel 1982, sostenendo di non avergli mai concesso un permesso di pubblicazione. Bronson ha però in mano un contratto firmato, oltre a un anticipo in denaro effettivamente versato.
Mentre la carriera di Arthur Lee è bloccata in un limbo, il giovane agente David Fairweather tenta di rilanciarlo con alcune date dal vivo nell’area di Los Angeles. Nessuna etichetta ha intenzione di metterlo sotto contratto dopo l’esperienza con la Rso, a parte la stessa Rhino Records di Harold Bronson, che stanzia un budget ridotto all’osso per registrare Arthur Lee.
Il secondo album da solista esce nel 1981, con momenti rilassati tra jazz e funk - “I Do Wonder”, “Just Us” e “Happy You” - ma anche nuove direzioni reggae come in “One And One” e “Mr. Lee”, composte sotto la pesante influenza di Bob Marley. Il disco passa però completamente inosservato, non offrendo alcun particolare picco degno di nota.
Capitolo 13 - Ho combattuto la legge, la legge ha vinto
Fine 1983. Dopo la separazione dalla compagna Diane, Lee viene arrestato e multato per incendio doloso, causato in realtà da un suo compagno di serate per costringere un’amica comune ad aprire la porta del suo appartamento. Arthur resta per un tempo limitato in carcere, nella prigione di Chino, prima di lasciare la California per evitare ulteriori guai legali. Torna così nella natia Memphis, dove la madre Agnes si è già trasferita in compagnia della sorella Edwinor Porter. Lee passa alcuni anni tranquillo, scrivendo canzoni sotto gli alberi, per poi fare ritorno a Los Angeles nel 1988. Ma i problemi con la legge non finiscono, perché dopo un concerto all'Universal Amphitheatre viene accusato da una fan di averle rubato l’auto, pare noleggiata dal cugino di Lee e poi sparita nel nulla. Entrambi gli arresti non vengono coperti dai media, che di fatto gli risparmiano la gogna pubblica, ma il suo nome è ormai inviso anche ai proprietari di locali della zona, con l'effetto di limitare ancora di più le sue uscite dal vivo.
Alla fine del 1989, dopo essersi ricongiunto con Diane, Lee decide che è arrivato il momento di rimettere in piedi i veri Love, ma Forssi non gli risponde nemmeno al telefono, mentre MacLean ci ha già provato pentendosi. La situazione è ai limiti della disperazione, con il grande Arthur Lee costretto ad aprire una tribute band dei Doors per guadagnare giusto qualche carta da cento dollari. È così costretto nel 1991 a vendere il 50% dei diritti di pubblicazione sulle sue canzoni alla Leiber & Stoller’s Trio Music, ingabbiato da un agente poco pulito. Nel frattempo incontra Mark Linn e gli fa ascoltare alcuni brani che ha composto nel periodo a Memphis. Linn lavora nel music business da poco, lo vuole portare in tour nella East Coast con dei musicisti del posto, ansiosi di lavorare con il grande Lee. Ma soprattutto vuole fargli registrare un nuovo album, con l’aiuto del francese Patrick Mathé che gestisce a Parigi l’etichetta New Rose.
Linn strappa a Mathé un accordo impensabile da quarantamila dollari, che Lee investe subito in una nuova auto, oltre che in nuovi carichi personali di droga. Il disco promesso alla New Rose viene registrato con un budget molto ridotto ed esce nell’aprile 1992 sul solo mercato transalpino, visto che le offerte per la distribuzione negli Stati Uniti vengono giudicate irrisorie. Arthur Lee And Love è aperto dalla nuova ballad “Five String Serenade”, che mostra il suo lato più malinconico, tra effetti di pioggia scrosciante e arrangiamenti minimali. L’inizio del disco è molto promettente, impreziosito dal brillante ritmo country-folk “Somebody's Watchin' You”, mentre la successiva “Twenty On My Way” vira verso un punk'n'roll dal gusto circense. Se “You're The Prettiest Song” ammorbidisce troppo con il pop orchestrale, “I Believe In You” è un numero ballabile decisamente trascurabile.
La sensazione è che Arthur Lee non sia più in grado di scrivere album interi, limitandosi a spaziare tra i generi, come nel jazz da banda “Ninety Miles Away” o nel vecchio beat sixties “Seventeen”. Ma l’album per la New Rose include alcune tra le composizioni più interessanti dell’ultimo corso, come il blues spettrale “Love Saga” o l’hendrixiana “Passing By”.
Dopo l’uscita del disco Linn prova a rilanciare Lee in Europa con una serie di date che lo vedono supportato dal quartetto di Liverpool Shack. Arthur è entusiasta dei giovani musicisti assoldati da Mark, grandi fan dei Love, anche se poco più che ventenni. Il tour questa volta viene concluso senza particolari intoppi, facendogli tornare la voglia di trovarsi una nuova band anche in America. Nell’aprile 1993 si esibisce al Troubadour di Los Angeles, in un set aperto da un giovanissimo gruppo fondato dai chitarristi Mike Randle e David Ramsay, i Baby Lemonade. Impiegati in un negozio di dischi usati, il Moby Disk, i due si sono uniti al batterista David “Daddyo” Green e al bassista Henry Liu, prima di incontrare il nuovo booking agent di Lee, Tom Sweeney. La band viene chiamata in sostituzione di un’altra per il concerto al Troubadour, invitata dallo stesso Lee a provare alcuni pezzi insieme. Arthur decide che i quattro sono perfetti per lui, così li prenota per una prima esibizione ufficiale al Raji’s di Hollywood, il 2 giugno. Il concerto fila liscissimo, dato che i Baby Lemonade sanno suonare benissimo i suoi brani, con il giusto rispetto e soprattutto senza eccessi personali. Eppure, appena un anno dopo, il bassista Henry Liu è costretto ad andarsene a causa di un violento alterco con Lee, che davanti ai suoi parenti lo definisce un chinaman. Viene sostituito da Dave Chapple nel 1994, prima di due concerti memorabili al Tramps di New York seguiti dal ritorno nel Regno Unito, al Garage di Londra. È in particolare nel Regno Unito che la figura di Lee ha maturato i connotati della leggenda, grazie a schiere di nuovi idoli che lo omaggiano, come i Primal Scream e gli Oasis.
Alla fine del 1994 ci riprova l’etichetta indipendente statunitense Distortion Records, convinta dalla nuova fama guadagnata. Con il nome Arthur Lee And Love, pur suonando i Baby Lemonade, esce il singolo “Girl On Fire”, violenta scarica punk'n'roll. Accompagnato dalle asperità hard-blues di “Midnight Sun”, il singolo passa completamente inosservato, a definitiva testimonianza che il mondo della musica è rimasto interessato solo al materiale di quasi trent’anni prima.
La vita di Arthur precipita con la morte dell’amico e consigliere George St. John, nell’ottobre 1994. Dopo la cremazione, a Lee viene affidata una scatola contenente un computer e una .44 Magnum con 500 proiettili, un dono pericoloso, visti i suoi trascorsi con la giustizia. Anziché buttare via tutto, Lee conserva la pistola, brandendola spesso tra le mura domestiche. La sera del 10 giugno 1995, Arthur e la nuova fidanzata Susan stanno intrattenendo alcuni ospiti neozelandesi nell’appartamento in Kester Street, quando Lee gira in balcone con l’arma in pugno. Un passante lo nota e chiama la polizia, che arriva in un baleno e arresta Arthur per possesso illecito di arma da fuoco. Doug Thomas, uomo d’affari nel campo dell’elettronica e presente a casa di Lee nella notte del 10 giugno, proverà in tutti i modi a scagionarlo dalle accuse durante il processo, sostenendo di aver fatto partire lui il colpo dal balcone. Ma c’è qualcosa di strano, perché Lee viene investito da diversi capi d’accusa, tra cui sospetto terrorismo, detenzione di cocaina - questo capo cadrà successivamente - e sospetto assassinio di poliziotti. Viene rilasciato dietro pagamento di una cauzione fissata a 50mila dollari, prima di presentarsi davanti al giudice Michael Hoff nel giugno dell’anno successivo. È talmente pericoloso che lo autorizzano a volare oltreoceano per un tour di nove date in partenza a Odense, in Danimarca, nel maggio 1996.
Poco prima del tour europeo, la Rhino Records pubblica Love Story, ricca compilation in due album dal periodo Elektra. La raccolta vende benissimo, portando l’etichetta a organizzare un evento di lancio al Coconut Teazser di Los Angeles, ma Lee non si presenta quando i Baby Lemonade sono già sul palco. Arthur non ha detto una parola sui suoi guai giudiziari, tenendo all’oscuro collaboratori e musicisti. Sottovalutando la gravità della situazione, rifiuta la proposta di patteggiamento, dicendo alla corte californiana: “Solo Dio è il mio giudice”. Il 27 giugno 1996 Arthur Lee viene dichiarato colpevole di tre capi d’accusa e condannato a 12 anni e 4 mesi di carcere.
Capitolo 14 - “I went from the cage to the stage”
Dopo aver rifiutato il patteggiamento per una pena di un anno e mezzo, Arthur Lee si ritrova condannato a oltre dodici anni da scontare al Pleasant Valley State Penitentiary di Coalinga, California. Il tormentato frontman è sotto shock, ribolle di rabbia a causa di un reato mai commesso, non avendo sparato direttamente. Lee se la prende con la giustizia razzista, sottolineando come i test sui suoi vestiti per rilevare tracce di polvere da sparo abbiano dato esito negativo. Nei primi anni di detenzione - mentre David Fairweather si organizza per l’appello con i migliori servizi legali - Lee si tiene lontano da tutti, rifiutando visite e persino la sua chitarra. Vuole ripulirsi, liberarsi dai demoni che lo hanno portato fino a questo punto, un’occasione quasi salvifica, dati i trascorsi. Ne approfitta per tornare in contatto tramite lettere con le più vecchie conoscenze, come Jac Holzman e Brayn MacLean. Fino alla dolorosa morte della madre, Agnes, all’inizio del 1999, che segue quella di Ken Forssi e dello stesso MacLean. Lee resta in carcere fino all’appello, fissato il 10 dicembre 2001, quando ottiene la libertà su cauzione per essere rilasciato tre giorni dopo. I legali assoldati da Fairweather sono infatti riusciti a dimostrare la cattiva condotta dell’accusa, che dunque avrebbero negato all’imputato un processo equo.
Finalmente libero, Arthur Lee ha sicuramente bisogno di una mano per tornare in pista. Gene Kraut, tra i promoter che non hanno mai smesso di credere in lui, sta pensando da tempo a un tour di Forever Changes, con il coinvolgimento di archi e fiati. Lee ha sempre rifiutato l’idea di tornare sui vecchi brani, sostenendo ora di avere centinaia di nuove canzoni in testa. Ma alla fine capisce che è arrivato il momento di celebrare il suo passato, soprattutto dopo aver speso circa centomila dollari per il suo appello. Così rimette in piedi i Baby Lemonade - nel frattempo tornati a lavorare nel negozio di dischi - per tornare prima in piccoli club californiani, poi in Europa con un grande tour a nome Arthur Lee and Love.
Ripulitosi in carcere, Arthur sembra ora un uomo rinato, pronto a riprendere in mano la sua vita imparando nuovamente a memoria le canzoni del suo capolavoro. All’altro capo dell’oceano, il compositore e conduttore svedese Gunnar Norden sta lavorando a Stoccolma sugli arrangiamenti di Forever Changes, di fatto mai provati dal vivo nella loro interezza. Il 21 maggio 2002 c’è la prima apparizione al Södra Teatern, un trionfo di applausi dopo tanto nervosismo. Lee è ora accolto come una leggenda, ospitato e omaggiato persino alla British House of Commons, con il sindaco di Londra Ken Livingstone a parlare del “più grande disco mai registrato”.
Il tour di Forever Changes è sicuramente il più lungo e impegnativo, con due leg europee inframezzate da un giro di concerti negli Stati Uniti. La critica lo riempie di elogi, così come il pubblico, accorso in massa per ascoltare finalmente il disco più amato. La serata alla Royal Festival Hall, il 15 gennaio 2003, viene registrata in vista di un album live su etichetta Snapper Records, pubblicato alla fine dell’anno. Dai teneri accordi acustici di “Alone Again Or” a una strepitosa versione allungata di “The Red Telephone”, Lee guida i Baby Lemonade verso un viaggio nel tempo che fu.
The Forever Changes Concert è un colpo al cuore di tutti i fan dei Love, regalato da un artista rigenerato dopo anni di eccessi. In bandana americana e cappello da cowboy, Arthur ritrova la brillantezza nelle armonie purissime di brani come “Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale” e “The Good Humor Man He Sees Everything Like This”. L’album offre diverse bonus track interessanti per ripercorrere la carriera dei Love e di Arthur Lee, dalla furia di “7 and 7 Is” alla dolcezza di “Orange Skies”.
Durante il tour a cavallo tra il 2002 ed il 2003 viene presentato anche il nuovo singolo scritto da Lee, una lettera d’amore e odio verso gli Stati Uniti. “My Anthem” è a metà tra l’inno nazionale e la giga irlandese, suonata sul palco con la cornamusa. Il giro di concerti si sposta dall’Europa all’Australia, per fare poi ritorno negli Usa a maggio. C’è grande attesa per la data alla prestigiosa Royce Hall di Los Angeles, ma quando sale sul palco, Lee sembra in pessima forma, confuso e barcollante. Ha preso alcune sostanze combinate con i medicinali che è costretto ad assumere per via di un principio del morbo di Parkinson: è visibilmente disorientato quando non riconosce nemmeno il vecchio socio Johnny Echols, tornato sul palco come special guest su “7 & 7 Is”.
Dopo un periodo di disintossicazione da alcol e droghe, Lee è tornato alle vecchie abitudini nonostante gli evidenti problemi di salute. Nell’estate del 2003 si esibisce al Festival di Glastonbury, anticipazione di un nuovo tour europeo nel 2004. Se la stampa di settore continua a idolatrarlo come leggenda musicale vivente, le sue condizioni di salute sono ormai pessime, tanto che diversi concerti vengono annullati. Scopre più tardi una forma di leucemia che lo rende sempre più debole, ma continua a esibirsi nella prima parte del 2005, sempre in Europa. La sua fine è tormentata, in bancarotta e gonfia di tossine, mentre insulta senza motivo i suoi stessi musicisti durante uno show a San Francisco.
Contattato dalla Start Productions per un film-documentario - presentato in anteprima al 50° London Film Festival nell'ottobre 2006 - Lee passa l’ultimo periodo della sua vita a ripercorrere le tappe di una irriverente carriera. Un secondo tour inglese dovrebbe partire in estate, ma Arthur non si presenta in aeroporto, lasciando soli i Baby Lemonade che decidono di esibirsi senza di lui. Al pubblico viene detto che Lee si aggregherà nelle date successive, offrendo ovviamente un rimborso parziale per la sua mancanza. Arthur lo vede come un colpo di stato, rompendo definitivamente con la sua band. A settembre decide di tornare a Memphis e di stabilirsi nella casa materna lasciata libera, mentre pensa ad assoldare un giovane gruppo locale, The Reigning Sound. Alcune prove vengono organizzate a livello amatoriale, con il nuovo nome The Memphis Love, in vista di un possibile tour europeo.
Ma all’inizio del 2006 il suo peso corporeo precipita e in seguito a una brutta polmonite viene ricoverato al Methodist Hospital. Sposa la fidanzata Diane a fine marzo, mentre viene bombardato dalla chemioterapia, prima di un trattamento sperimentale che sfrutta le cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale offerto da un donatore. La Rhino Records gli garantisce più di settantamila dollari per le costosissime cure, al resto ci pensa Steve Weitzman della Sw Productions, che organizza un concerto tributo al Beacon Theatre di New York per raccogliere fondi. La serata vede ospiti d’eccezione, come Robert Plant, Ian Hunter e Ryan Adams, oltre al vecchio amico e socio Johnny Echols. Segue un altro show al Whisky A Go Go chiamato “A Labor Of Love”, organizzato dai Baby Lemonade il 28 giugno. I soldi raccolti non serviranno a molto: Arthur Lee muore il 3 agosto 2006 nell’ospedale metodista di Memphis.
Outro - Black Beauty
Dopo la morte, Arthur Lee viene celebrato da prestigiosi quotidiani e riviste di settore, mentre Forever Changes guadagna un posto nella Grammy Hall of Fame a metà 2008. Nell’anno successivo la Sundazed Music pubblica Love Lost, che raccoglie diverso materiale inedito dalle registrazioni fiume negli studi Cbs all’inizio degli anni 70. Dal vibrante soul-rock “I Can't Find It” alla jam schizoide “Product Of the Times”, l’album restituisce ai fan le sessioni che hanno fatto infuriare i dirigenti della Columbia, esasperati da ben tredici appuntamenti in studio. Tra i brani inediti compaiono numeri efficaci di blues elettrico come “Good & Evil” e “Looking Glass”, fino al medley “Trippin’ & Slippin’/ Ezy Rider”, tra schitarrate hard-rock e svisate hendrixiane.
Nel 2012 vede poi la luce Black Beauty, album mai pubblicato nello stesso turbolento periodo. In formazione con Joe Blocker alla batteria e Robert Rozelle al basso, è il disco previsto per la Buffalo Records, che avrebbe dovuto rilanciare la carriera di Lee dopo Vindicator. Con la produzione affidata all’esperto Paul Rotchild, Black Beauty segnava la svolta funky e un più esteso ritorno a un sound tipicamente roots. Aperto dal blues elettrico “Young & Able (Good & Evil)”, il disco può essere ora ascoltato nella sua interezza, pur restando parzialmente un lavoro di assemblaggio. Vengono infatti riproposti brani già pubblicati come la hendrixiana “Midnight Sun” e la melodica ballad “Can't Find It”, alternati a novità come la “Walk Right In” incisa dal bluesman del Mississippi Gus Cannon.
L’album non aggiunge particolare enfasi alla carriera di Lee, a sei anni dalla dipartita. “Skid” è un soul-jazz mellifluo, mentre “Beep Beep” è poco più di un gioco in salsa reggae. Meglio il rock psichedelico “Lonely Pigs”, così come la cavalcata hard-rock “Product Of The Times”.
Nel 2015 esce su etichetta Rockbeat il mastodontico Coming Through To You: The Live Recordings (1970 - 2004), che raccoglie in ben quattro dischi tantissimo materiale live. Il primo copre gli anni 70, da diverse esibizioni a Londra e New York. Si parte con l’energia beat degli esordi (“My Little Red Book”) per arrivare alle jam blues hendrixiane come “Find Somebody”. Il secondo disco copre gli anni 90, includendo alcune chicche acustiche suonate al Richard Skinner Show nei Bbc Studios di Londra. Ci sono la meraviglia malinconica “Five String Serenade” e il medley disperato “Passing By/ Hoochie Coochie Man”, ma anche una versione da brividi di “Signed D.C.” eseguita al Rytmeposten Club di Odense nel 1996. Il terzo album include invece il meglio degli anni 2000, dalla classica “Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale” alla cover della lennoniana “Instant Karma”.
L’ultimo album è intitolato “A Fan's View”e raccoglie materiale registrato in varie decadi, tra cui una versione lunghissima di “Singing Cowboy” allo Shepherds Bush di Londra.
Il lavoro di recupero della Rockbeat continua due anni dopo, nel 2017, con Complete "Forever Changes" Live che riprende la prestigiosa data del Festival di Glastonbury del 28 giugno 2003.
LOVE | ||
Love (Elektra Records, 1966) | 7 | |
Da Capo (Elektra Records, 1966) | 8 | |
Forever Changes (Elektra Records, 1967) | 9 | |
Four Sails (Elektra Records, 1969) | 7 | |
Out Here (Blue Thumb, 1969) | 6.5 | |
False Start (Blue Thumb, 1970) | 6 | |
Reel To Real (RSO, 1974) | 6 | |
The Best Of Love (antologia, Rhino, 1980) | ||
Love Live (Rhino, 1982) | ||
Arthur Lee And Love (New Rose, 1992) | 6 | |
Love Story (Rhino, 1996) | ||
The Forever Changes Concert (live, Snapper Music, 2003) | 7.5 | |
Love Lost (Sundazed Music, 2009) | 6.5 | |
Arthur Lee And Love - Live In Paris 1992 (live, MAY, 2010) | ||
Black Beauty (High Moon Records, 2012) | 5.5 | |
Coming Through To You: The Live Recordings 1970 - 2004 (live, Rockbeat, 2015) | 8 | |
Complete "Forever Changes" Live (live, Rockbeat, 2017) | 7 | |
ARTHUR LEE | ||
Vindicator (A&M, 1972) | 7 | |
Arthur Lee (Rhino, 1981) | 5 |
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