Il collettivo svedese messo in piedi da Mats Gustafsson sotto il nome di Fire! Orchestra ha raccolto tra gli appassionati e i critici del jazz consensi e perplessità in eguale misura.
I puristi e i riformatori si sono confrontati duramente, mettendo in campo argomentazioni spesso fuorvianti. Se infatti il jazz non può definirsi un parametro stilistico immutabile (come affermano i puristi), è pur vero che le presunte prerogative avantgarde del gruppo svedese (argomento a favore dei fan del gruppo) si riducono a una succulenta mistura di jazz orchestrale alla Sun Ra e library music.
Nonostante tutto, il senso di meraviglia e di estasi che deriva dalla musica dei Fire! Orchestra è originato da uno dei linguaggi sonori moderni più entusiasmanti e rimarchevoli, frutto di contaminazioni inusitate che vanno dal kraut al prog fino all'elettronica, ibridazioni dettate dal buon gusto e dall'inesauribile curiosità intellettuale dei musicisti coinvolti.
Questo terzo capitolo è caratterizzato da una riduzione dell'ensemble e da una maggiore attenzione al dettaglio; l'urgenza dei precedenti album è stata sostituita da una consapevolezza e da un rigore che in parte smorzano la forza innovativa del loro sound e dall'altra generano i primi germi di una nuova fase creativa.
È facile perdersi nella dissonante sequenza dei cinque capitoli di "Ritual", ardita suite che tenta di mettere in fila le varie anime della big band svedese. Nulla di nuovo per chi ha praticato le estasianti pagine discografiche di Charlie Haden, Mike Westbrook o Chris McGregor.
Con "Ritual" la Fire! Orchestra rimette in campo la componente emotiva di "Exit!", che era stata surclassata dall'impulso sperimentale di "Enter", ed è proprio il primo segmento di "Ritual" il punto nodale di questa nuova identità creativa. Il caos generato dalla sezione fiati e da quella ritmica viene addomesticato dal cantato più pop che si sia mai ascoltato in un disco dell'ensemble di Gustafsson e compagni, un flusso di funk, jazz, rock, soul e free-jazz che rimette in gioco tutta la forza esplosiva dell'esordio rendendola più fruibile e accattivante.
Altrove il caos diventa però un pasticcio, scivolando in ibridazioni soul-free jazz ("Part 2") che servono solo a sottolineare le doti vocali di Mariam e Sofia, il timbro lamentoso e sensuale del sassofono e la catarsi della sezione ritmica, senza che tutta questa meravigliosa urgenza creativa riesca a trovare una collocazione precisa.
L'identità glaciale ed euristica di "Part 3" è ancora più fuorviante e disturbante, l'apparente astrazione creativa di rumori e ronzii che introducono il capitolo più fantasioso e malinconico di "Ritual" è infine affiancato da voci e divagazioni sperimentali che a volte smorzano la tensione, mettendo in parallelo sia l'anima emotiva sia quella cerebrale della Fire! Orchestra.
Che "Ritual" sia il progetto più organico del gruppo svedese è ancor più evidente nelle ultime due parti della suite, le striature rock di "Part 4" sono frutto d'incursioni di feedback, di distorsioni di chitarre e di timbriche più metalliche di percussioni e batteria, col canto e i fiati in sindrome free-jazz in stile Liberation Orchestra.
Il rituale trova infine la sua chiave di volta nel lento e ipnotico blues finale di "Part 5", esemplare perfetto di quello che la Fire! Orchestra potrebbe mettere in campo se solo decidesse di trasmutare la sua essenza sperimentale o abbandonarla in favore di un sound più confortevole; inutile sottolineare che il lunatico e riflessivo mood melodico del brano è uno degli incanti sonori meglio riusciti, perfetta apoteosi di una situazione creativa e artistica dove al caos fa seguito la bellezza, quella pura e intoccabile che si staglia come arcobaleno dopo la tempesta, anche se in questo caso è una tempesta di fuoco e fiamme.
27/06/2016