Ci sono sensazioni infantili che a volte vorresti rivivere, riassaporarne il gusto proibito e delizioso, come quelle che provavi quando affondavi le dita nella marmellata, ma non quella industriale e neppure quella biologica e certificata, ma quella appena rinchiusa nel barattolo dalla mamma o dalla nonna.
Ascoltare il secondo album di Julien Lonchamp e dei suoi Jack And The' è un’esperienza sensoriale singolare, sapori e prelibatezze ormai rare tornano a rasserenare l’udito, ormai consunto dalla mole sempre più maestosa di uscite discografiche.
Con l'aiuto di tre pianoforti, due archi, una sezione fiati, trombe e percussioni, “Melody Cycle” affonda le mani in uno dei tesori meglio nascosti del baroque-pop, riesumando l’eclettismo della él Records, nonché i suoi intarsi melodici tra armonie solari e malinconici romanticismi d’annata, dando vita a deliziose canzoncine ingannevoli, a volte snob o eccentriche (“A Few Facts”), sempre raffinate e ricche di dettagli.
Sono diciotto frammenti di una fantasiosa sinfonia pop, che omaggia Louis Philippe (“Chicory Salad”) e Piero Piccioni (“Paper Dance #2”), senza dimenticare la leggerezza di Michel Legrand e il tono onirico di Nino Rota (“Le Cygne Aux Yeux Bleus”), canzoni fragili in bilico tra idiosincrasia e fantasiosa spensieratezza (“Melody Cycle #1”), incantevoli miniature sonore dolcemente perverse come i marshmallow sul fuoco.
Julien Lonchamp è un poeta del pop, le sue canzoni sbeffeggiano la malinconia di Nick Drake e del primo Scott Walker, alla maniera di quelle svogliate ibridazioni folk-pop che spesso s’incrociano nei dischi dei Beatles (“Snowy Days”) e dei Kinks (“Saharian Sands”) intrappolate tra gioielli maturi e luminosi, qui invece messe in libertà senza paura di essere chiamate scarti.
“Melody Cycle” è l’ennesimo trionfo della pop-culture, è come la musica del perfetto pivello, il cui canto, grezzo e spesso fuori tono, ha i toni e le sfumature di un quadro naif. E' altresì un calderone vintage, dove scopri residui di nouvelle vague (“I Think I’m Dancing”), citazioni classicheggianti (“Entropy and Me”), scampoli di bossa nova e improbabili escursioni nel jazz di Duke Ellington (“Dinner At The Andersons’”) nonché imberbi languori soul alla Shirelles e ritornelli alla Beach Boys (“The Secret Part Of Town”).
Per tutti gli orfani della breve stagione (meno che quinquennale) della él Records, il secondo disco dei Jack And The' è l’occasione più ghiotta per poter riassaporare quelle pregevoli e intriganti canzoncine, che né Divine Comedy (“Little Things”) né High Llamas (“Talking Loud”) sembrano più capaci di creare, brani dal fascino cristallino nei quali l’amore è come un sospiro inconfessabile e il peccato profuma di latte e miele.
12/05/2016