I White Lies sono arrivati alla loro quarta prova. La band è stata capace di costruire un continuum new wave che suona lontano nel tempo cercando di fare rivivere in alta definizione i fasti del passato.
Attiva ormai dalla fine del decennio scorso, la band capitanata da Harry McVeigh ha costruito alcuni dei tratti distintivi del revival new wave, sin dall'esordio, di cui musicalmente un po' si sono perse le tracce. La band ha cercato di ampliare notevolmente la gamma di suoni portando la propria creatura in territori più digitali, riuscendo con l'ultimo "Big Tv" a rendere epico e monumentale un wall of sound che per chi scrive rappresenta l'apice del gruppo fino ad ora.
In posizione intermedia, "Ritual" avvicinava la band a questo tipo di percorso in cui le chitarre - diventate meno spigolose - producevano un suono orientato verso tastiere che dipingevano melodie new wave. Nei White Lies c'è un discorso che prende in blocco alcuni dei più importanti nomi degli anni Ottanta, che rivivono sotto l'egida di suoni dalla grana grossa e dal sentire romantico.
I primi singoli "Take It Out On Me" e "Come On" non brillano certo per originalità, ma soprattutto la prima ha, nelle strofe costruite su un post-punk molto sognante, un richiamo ai Chameleons. Le strutture del disco però ricordano più i mantra sintetici degli Orchestral Manoeuvres in the Dark, benché in chiave contemporanea.
"Hold Back Your Love" e "Don't Want To Feel It All" sono due brani molto radio friendly, anzi quest'ultimo nel ritornello mima le chitarre svolazzanti degli ultimi Coldplay. In "Is My Love Enough?" la propulsione della band si combina con i suoni più artigianali della new wave, soprattutto per la pioggia sintetica, e ne risulta una sorta di "Midnight City" degli M83 con meno hipsterismo.
"Summer Didn't Change A Thing" si apre come potrebbe fare un pezzo dei Journey, riuscendo a mescolare i Police e le muscolose chitarre alternative-rock del ritornello.
"Right Place" dopo un cauto incedere sfonda le casse con i suoi bassi al vetriolo e le sue tastiere eighties.
La conclusiva "Don't Fall" è una canzone pop che ha dei bassi molto cupi e un ritornello invece persuaso da una leggera malinconia.
Questo è il disco più elettronico della band, e magari alcuni potrebbero storcere il naso; è però evidente che la qualità compositiva sia buona e al contrario di altre formazioni contemporanee, i White Lies hanno raggiunto risultati meritevoli a ogni nuova uscita.
Se tornassero anche a vendere, magari ne guadagnerebbero un po' tutti.
14/10/2016