Musicista e scrittore, il savonese Federico De Caroli è l’autore di una delle carriere soliste più coerenti e radicali della scena sperimentale italiana che ha scelto l’elettronica come strumento per esplorare psiche, paesaggi cosmici, mondi onirici con venature industrial. Nell’arco di una trentennale carriera - iniziata nel 1986 - divisa tra sogno e profondità cosmiche, ha sempre mostrato capacità di cambiamento che culminano con l’abbandono - presumibilmente temporaneo - dell’elettronica, con un unicuum della sua discografia, il nuovo “Isole invisibili”, album per solo piano che mostra la vicinanza di Deca sia alla scena classica romantica sia alla musica colta (o avanguardia) del 900.
Il risultato è sorprendente se ci si ostina a vedere la storia di Deca prettamente come musicista elettronico; stupisce meno invece se si considera Deca come innovatore in perenne evoluzione, che ha mostrato e mostra tuttora capacità di produrre opere basilari dell’underground italiano.
Forse ricordo dei suoi studi giovanili, forse in cerca di riscoperte o di omaggi ai grandi maestri che hanno contribuito alla sua formazione, Deca registra quindici brani per piano solo o per due piani, che evidenziano sfaccettature e sensazioni diverse; questa diversità, accomunata da uno stile pianistico personale e riconoscibile, rende manifesto quanto Deca in “Isole invisibili” abbia parlato di se stesso e dei suoi sentimenti senza nascondersi dietro la ricerca ossessiva della melodia facile. Le impressioni trasmesse vanno dalla speranza al sogno, dalla paura al bisogno di consolazione, dalla malinconia per giorni perduti che permangono in una flebile memoria alla costante ricerca di un qualcosa che è appunto “invisibile” e poco chiaro.
Se a un musicista di ricerca come Deca avessimo chiesto solo un album di piano con evidenti influenze della scuola minimalista, ci saremmo sbagliati, in quanto questo elemento - pur presente - è secondario rispetto a una costante ricerca di emotività e cinematicità che cerca di parlare in modo diretto all’ascoltatore. Se minimalismo c’è, non è una fredda ripetizione di pattern sovrapposti, ma un continuo coniugare melodia, romanticismo classico con ambient pianistico e colonna sonora alla Michael Nyman, una fusione con l’apparente semplicità di alcuni brani per piano di Erik Satie col minimalismo romantico di Wim Mertens.
Tutti gli elementi citati sono presenti ovunque nell’album, nell’iniziale e ipnotica “Isole invisibili”, nei toccanti fraseggi di “Strade diverse” o nella frenetica melodia romantica di “Polvere di fragole”, fino alla quasi-fuga di “Athonik”. Altrove il piano diventa lo strumento per riflessioni tristi e malinconiche (“Riflessi”, Malinconie di settembre”, “Impressioni in mi minore”). Più vicina al minimalismo di Lubomyr Melnik è la cavalcata di note di “Onde allo specchio”.
Album vario ma allo stesso tempo compatto, “Isole invisibili” ci conferma Deca in un ruolo non secondario della scena nazionale, alla perenne ricerca di nuove strade da percorrere.
17/07/2017