Drowse

Cold Air

2018 (The Flenser)
shoegaze, post-punk
6.5

Esiste una via di fuga definitiva dall’oscurità? Quanto c’è di reale nella paura di perdersi per strada? I nostri castelli di cristallo sono destinati a distruggersi o resisteranno agli urti dei giorni che passano? Domande che Kyle Bates, musicista/producer statunitense e leader dei Drowse, deve aver preso molto sul serio.
Bates da anni combatte contro il fantasma della depressione: nella pagina Bandcamp del suo gruppo è tutto descritto nei minimi particolari, in una sorta di manifesto che quasi vuol mettere in guardia l’ascoltatore su ciò che l’aspetta. Ed è proprio in "Cold Air", secondo album a firma Drowse, che il giovane di Portland ha deciso di riversare in musica le sue inquietudini esistenziali, quasi a volerle esorcizzare. Quello che fuoriesce da "Cold Air" è un suono inquieto e crepuscolare, un flusso di coscienza in cui il muro dello shoegaze diventa musica d’ambiente e contribuisce a plasmare l’ambiente stesso. Un luogo lontano nello spazio e nel tempo, dove gli echi metallici mutano forma e si dilatano nel post-rock, costruendo vere e proprie cattedrali sonore. Canzoni che disegnano scenari spesso diversi tra loro ma che non allentano mai una costante tensione di fondo.

Le chitarre erranti che accompagnano le voci malinconiche e distanti di “Quickening” fanno da contraltare alle vette emozionali di "Klonopin", giocata su un giro di acustica e tappeti spianati di synth e riverberi che affascinano fin dal primo ascolto. Un mood acquatico e trasognato che si conferma in "Knowing", che ricorda da lontano alcuni affreschi di Atlas Sound, mentre "Rain Leak" si fregia di una tromba e di una sezione ritmica importante, facendosi definitivamente carne e sostanza.
Ma è nei quasi nove minuti di "Shower", il pezzo che chiude il disco, che avviene la definitiva catarsi. Un fiume emozionale sospinto da distorsioni espanse che rimandano ai Mogwai, echi spaziali che si stratificano sul finale con chitarre free-folk e derive rumoristiche che conducono per mano alla salvezza (o alla completa follia).
Una nota a parte la meritano i sussurri tra sogno e realtà di "(Body)", "(Bedroom)" e "(Person)" che descrivono con cruda brutalità gli eventi che portano al crollo mentale di Bates e alle successive prescrizioni di farmaci antipsicotici. Sebbene possano rischiare di passare inosservati, come fossero appunto delle piccole parentesi, questi intermezzi hanno un peso importante all’interno del concept stesso dell'album. Mettono a nudo la fragilità di un ragazzo che vuole salvarsi, affidando alla sua musica il compito di guidarne la rinascita.

"Cold Air" non è un disco perfetto. I tanti riferimenti ai giganti dai quali il sound prende spunto finiscono alla lunga per sminuirne la portata. A tratti difetta di consistenza, perdendosi in velleità avanguardistiche free-form ("Death Thought") o in battiti irregolari che frammentano l’ascolto ("Put Me To Sleep"), spesso crogiolandosi nella nebbia slowcore più del dovuto. "Cold Air" può però diventare un porto sicuro per anime inquiete, una via per scrutare i fondali di uno spirito fragile, un interessante prototipo e punto di partenza di una band ancora sconosciuta che va seguita e, se possibile, sostenuta. Ed eccole qui, le ragioni per cui quest’album esiste: curare le ferite, irradiare di luce gli spazi vuoti, ridare speranza e calore dopo il grande freddo.

21/04/2018

Tracklist

  1. Small Sleep
  2. Quickening
  3. (Body)
  4. Rain Leak
  5. Klonopin
  6. (Bedroom)
  7. Death Thought
  8. Two Faces
  9. Put Me to Sleep
  10. Knowing
  11. (Person)
  12. Shower

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