Sostituito, dunque, il "rumore" con tutta una serie di eccentricità lisergico-spaziali (bollicine, smerigliature oniriche, sporcizia siderale assortita) l'artista di Athens sposta in maniera netta il baricentro della sua poetica verso un'introspezione dolente e trasognata, anche se non più disposta a rimuovere la speranza dal suo orizzonte (non è un caso che sulla copertina ci sia proprio l'immagine, per quanto "camuffata", di Cox, in bilico tra la forza rivelatrice della luce e quella annichilente del buio; così come non è un caso che uno dei versi di "Nightworks" reciti: "everywhere I look there is a light/and there's no pain"). Eppure, anche se più compatto e "calcolato" (ma, forse, sarebbe meglio dire "accessibile") dei suoi predecessori, "Parallax" non ha dalla sua brani veramente memorabili (mancano, per dire, numeri dello spessore di "Walkabout" o "Quick Canal", giusto per citare due dei momenti migliori di "Logos"), accontentandosi di sfoderare un lirismo dai contorni iridescenti che opera soprattutto mediante un oculato dosaggio di sfumature. Il risultato è un disco sicuramente godibilissimo, racchiuso tra gli umori wave che contendono alle tinte psych-pop le dimensioni del sogno di "The Shakes" e i garagismi obliqui dei primi Deerhunter che scalpitano ancora nella chiusa di "Nightworks".
In mezzo, echi di "Halcyon Digest" che si tingono di policromie decadenti ("My Angel Is Broken"), folk degli spazi cosmici perso dentro labirinti di invocazioni ed echi cristallini ("Terra Incognita") o smarrito dentro code ambientali ("Flagstaff"); e, dunque, il mood acquatico/notturno di "Modern Aquatic Nightsongs", il dream-pop mediato da reminiscenze Merseybeat ("Mona Lisa", con Andrew VanWyndgarden degli MGMT al piano) e la serenata atmosferica di "Doldrums".
Solo sulla versione giapponese, compaiono, invece, le due parti di "Quark", divertissement che sottolineano l'anima più eccentrica del progetto.
(04/11/2011)