Il lavoro sul suono è, se possibile, ancora più accurato, come dimostra lo slow-core in tinta shoegaze di "Earthquake" (ritmica secca e incisiva, chitarre diamantine e trasfigurate in svolazzi paradisiaci, oniriche stratificazioni elettroniche, voce effettata). E se, ahimè!, l'ispirazione è soggetta a un paio di cali di tensione purtroppo decisivi ai fini della riuscita dell'opera (veramente indigesti quelli della anemica ballata di "Sailing", accettabili ma comunque fastidiosi quelli della sonnolenta "Basement Scene"), i redivivi Byrds di "Memory Boy", la scorza wave e la grande coda psichedelica di "Desire Lines" (scritta e cantata dal chitarrista Lockett Pundt e memore di "Nothing Ever Happened", oltre che introdotta da una progressione di accordi che richiama la "Rebellion (Lies)" degli Arcade Fire), l'acquatico deliquio dreamy di "Helicopter" e l'ode-ninnananna a Jay Reatard di "He Would Have Laughed" (con simil-clavicembalo in tensione dissonante sullo sfondo e finale commovente: "Where did my friends go?") sono tra i momenti migliori del catalogo Deerhunter.
Altrove, spunta anche un sax rigoglioso (la ballabile "Coronado"), il garage-rock agita fantasmi psych-pop ("Don't Cry") e filigrane folk in upbeat solleticano rimembranze Rem ("Revival").
Poi, andate di repeat (senza limiti) e, se continua a piacervi, interrogatevi sul mistero della felicità. Così, anche per scherzo.
(22/09/2010)