Talento logorroico e intermittente quanto luminoso e raro, quello di Bradford Cox, mente di una delle band più significative degli ultimi cinque anni, i Deerhunter, dai quali questa volta, immaginiamo, dovrà prendere un periodo di ferie, vista la bellezza di "Logos", disco che, probabilmente, lo porterà lontano.
Scopriamo subito le carte, quindi: questa seconda fatica rappresenta, in assoluto, il momento più alto della carriera di questo strano personaggio, tanto esile nel fisico quanto acuto nel dar forma alle sue intuizioni e ispirazioni. Dotato di una sensibilità obliqua per la melodia, l'Atlas Sound di "Logos" è un fiume in piena che non concede più momenti di noia, come nel precedente "Let The Blind Lead Those Who Can See But Cannot Feel", regalandoci canzoni che amoreggiano con il Pop (P maiuscola non casuale) vestendosi di suoni di una psichedelia che fu.
Sentirlo duettare con Noah Lennox, per gli amici Panda Bear, è commovente, visto il risultato. "Walkabout" è una gemma pop in odor di Beach Boys in hangover tardo-estivo, immediata perché semplicemente perfetta. Una canzone che priva le nostre parole per descriverla di qualsiasi senso: ascoltarla è comprenderla, è capirla. Amarla. Fosse tutto su questi livelli, questo disco sarebbe pietra angolare del pop moderno.
Altra ospite di Bradford Cox è Laetitia Sadier, suadente voce degli Stereolab, protagonista della cavalcata dream-kraut-pop "Quick Canal", dove le strutture spariscono per lasciar posto a una circolare perdita dei sensi della durata di otto minuti.
Sono molti i momenti in cui le canzoni di Atlas Sound fanno perdere le coordinate spazio-temporali, sospese come sono tra melodie fuori dal tempo e suoni immersi in un riverberato amarcord nei dischi della sua vita: qui dentro ci sono i benevoli fantasmi dei Velvet Underground (un po' dappertutto in mezzo ai solchi di "Logos") e degli Spacemen 3, degli Stereolab e dei Talk Talk, dei My Bloody Valentine e dei Neu!. E ancora, i già citati Beach Boys e tutta la 4AD in blocco.
In pratica, si parte sempre da una melodia pop molto semplice per arrivare a un altrove che, di volta in volta, cambia. Eppure, nel complesso, il disco suona coerente e totalmente personale. È una strana sensazione, perché i rimandi sono davvero tanti. Ciò che viene fuori, ed è questa la potenza di questo disco, è la personalità di Bradford Cox, la sua irruente ispirazione che non conosce riposo, il suo riuscire a vivere i suoni come qualcosa in continuo mutamento e movimento, qualcosa che sia alle dipendenze della canzoni, del loro mood, delle loro parole.
Anche quando, in passato, Atlas Sound spesso sembrava non saper concludere, creava comunque sensazioni forti, ambienti sognanti e, sottolineo, sospesi nel tempo: insomma, poteva pure andare da nessuna parte, ma ci andava con stile. Ora che ha le canzoni, ora che sembra aver raggiunto la maturità, Bradford stupisce e potrebbe farlo ancora, in futuro.
Questo disco è come un nuovo inizio e il suono che produce è pieno zeppo di quella cosa chiamata bellezza.
07/10/2009