Zenjungle

Fragmented Lives

2018 (Midira)
ambient-drone, modern creative
7.5

Appassionato d’avanguardia jazz, il greco (di Atene) Phil Gardelis, multistrumentista e soprattutto fiatista a sax tenore e clarino, compone in solitaria il suo debutto, il post-jazz elettro-industriale di “Strange Days” (2012). Lo specifico più autentico del suo moniker Zenjungle arriva però poco dopo, quando a Gardelis balena l’idea d’incorporare liricamente i timbri dei fiati come arzigogolati contrappunti, e sviluppare le sonorità in lunghi droni di chitarra e field recordings, dapprima sinfonici e quasi new age, “Circles” (2013), e poi via via più scurendone le tonalità, nei ventiquattro minuti di “Leaving Stations” (2014), nel poemetto di ventidue minuti “All Of Our Yesterdays” (2015) e nella cassetta “Flow” (2015).

Il compositore finisce, tramite un procedimento d'estrema sottrazione, per esplorare la forma dell’assenza, che raggiunge nel suo culmine estetico, “Invisible Cities”, contenuto in “We Are Not Here” (2016), e il suo naturale seguito, “Fragmented Lives”: l’impressionismo distopico delle “città invisibili” digrada nella depressione cosmica delle “vite frammentate”.
Il tono è, infatti, costantemente rabbuiato, un po’ come nei grandi adagio delle sinfonie romantiche, seppur imploso, declassato a perpetuo crepitio elettronico. L’inno del sax all’inizio si dipana solenne e cadenzato, ma è subito lacerato dal montare delle distorsioni. Fanfare funebri vengono sospinte da nuvole metafisiche che occasionalmente richiamano le intonazioni aborigene, e un organo rilucente si fa largo tra bombardamenti; ritorna il canto del sax, tristissimo, struggente e, appunto, frammentato, mentre attorno si attorcigliano vortici degni dei Tangerine Dream.

Il viaggio non incalza in alcun modo. Al contrario, è puramente sospinto dall’inerzia, a fatica, spesso tentato dal silenzio, tormentato da rumori del caos dell'entropia, desideroso solo di spegnersi. Un pingue ruggito fa dunque risvegliare dal torpore, in un trambusto di echi e rifrazioni. Qui è il canto del violino, possibilmente ancor più penetrante, a volteggiare tra le folate più tremende, ed è l’immagine finale di vita spezzata, con i piatti in lontananza a evocare una versione fantasma del “Vuh” di Florian Fricke, l’ultima traccia di linfa prima che accada l’inevitabile, un lungo, afono decrescendo (semmai vi sia stato un picco in tutto il brano) a condurre finalmente alla quiete.

Smezzato, nel vinile, in due sezioni corrispondenti alle due facciate, “Anticipation” e “Realization”. Per una volta si può preferire l’ascolto digitale, in allegato al disco, a raccogliere in un unico continuum ciò che Gardelis sciorina e centellina, attingendo dalla classica, dal doom-metal, dalle colonne sonore, dalle pièce gestuali. Sublimando tutto, poi, nella pura atmosfera, in un candore non privo di speranza ma davvero profondo nel suo luccicante pessimismo. Una meditazione impegnativa per le proporzioni dilatatissime, il piglio in perpetuo, conflittuale bilico tra stasi e mutazione, la quantità e la qualità d’attenzione richieste nell’ascolto. Che infatti alla lunga si fa persino insostenibile. Nima Aghiani (violino) e Babis Coltranis (percussioni), unici ospiti, davvero intonati.

01/01/2018

Tracklist

  1. Fragmented Lives

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