La patina classicheggiante che ormai da tempo ammanta le uscite dei Death Cab For Cutie non è la negazione di quell'ardore giovanile che trasudava dalle prime opere della band americana, ma ne rappresenta anzi, in qualche modo, la naturale prosecuzione. È piuttosto una forma di resistenza al passare dell'età post-adolescenziale, a quel mutamento di stile e di punti di vista che in questo caso si adatta così bene all'avvicendarsi dei decenni (gli esaltanti anni Zero e i mediocri anni Dieci in dirittura d'arrivo), e a ciò che la vita riserva, come la fine di relazioni con attrici famose o l'abbandono della nave da parte di una delle colonne su cui poggiava il progetto, Chris Walla. Una lunga “media età” fatta di addii e ripartenze nella quale Ben Gibbard sembra però ormai trovarsi a meraviglia, con una rinnovata fiducia nel suo essere artista.
Prova ne sono le cinque canzoni che vanno a comporre “The Blue Ep”, un breve repertorio ancora più a fuoco e interessante, a ben vedere, di quello offerto un anno fa con un quasi sperimentale, per certi versi, “Thank You For Today” - di cui curiosamente alcuni brani sono degli outtake. Si respira un clima più sereno, una voglia di tornare a cesellare quelle melodie profonde, capaci di scavare nell'animo umano, che sono il marchio di fabbrica del combo di Bellingham.
Più che dell'indie-rock inquieto di “Kids in '99”, possiamo beneficiare della lettera aperta di “Man In Blue”, che tocca nuovi abissi di introspezione, dei moti chiaroscurali di “Before The Bombs” e di una “To The Ground” che procede a fari spenti fino a schiudersi in quelle aperture melodiche e in quei climax strumentali su cui i Death Cab hanno costruito una fortunata carriera. La ballata arriva in fondo alla scaletta con “Blue Bloods”, l'emblema di come si possa essere classici, appunto, senza scadere nella banalità.
20/12/2019