Qualcuno ricorderà quel pasticciaccio brutto del suo precedente album, che era però piaciuto ai più e aveva certamente contribuito a far diventare Claudia Lagona un’artista che tutti conoscono, una di quelle che passa in radio e che riconosci sulle copertine patinate delle riviste ammucchiate nella sala d’attesa del dentista.
Poi è uscito “Andrà tutto bene” e ho sentito finalmente qualcosa che mi ha ricordato la vecchia Levante, seppur in una forma esteriore più attuale, ho sentito la rabbia per questa società ottusa e sorda, in cui la sensibilità etica è diventata “buonismo” e il patriottismo “nazionalismo”, ho sentito le lacrime di rabbia e dolore per il caso Cucchi, tornate a galla dopo aver visto il film “Sulla mia pelle” e ho sentito, forse, un piccolo inno generazionale. Così Levante mi ha conquistata di nuovo.
Questo “Magmamemoria”, come si intuisce, è un album sulla memoria.
Quando la paura di perderla da un momento all’altro diventa il tuo incubo peggiore, arrivi a capire che la memoria è la cosa più importante che abbiamo. Che si parli di memoria collettiva, con i suoi limiti spazio-temporali e le sue estremizzazioni, o che si parli di memoria individuale, tanto difficile da esporre allo sguardo altrui. Ma “Magmamemoria” è proprio questo. Una minuta Moleskine nera dagli angoli smussati, in cui la cantautrice siciliana ha riversato negli anni le sue parole, le sue riflessioni, le sue cicatrici.
Tracce di Lorde compaiono di tanto in tanto tra le canzoni, ma soprattutto nel singolo “Bravi tutti voi”, in cui ancora una volta a farla da padrone è quel senso di rabbia sociale che da sempre accompagna certi sagaci pezzi di Levante, da “Alfonso” a “Pose plastiche”. C’è poi uno dei tormentoni dell’estate, “Lo stretto necessario”, scritto insieme a Dimartino e Colapesce (che firmano anche la bella “Regno Animale”), e cantato insieme alla “cantantessa”, quella Carmen Consoli le cui canzoni hanno costituito un importante paradigma nella vita e nell’esperienza artistica di Levante. Un sogno che diventa realtà, soprattutto se si considera che “Lo stretto necessario” è un ritratto gentile della loro terra natia, quella Sicilia fatta di “facciate mai finite”, di “Madonne chiuse in una teca”, “tende spiegate” e “atti di dolore”. Una terra imbevuta di contraddizioni e di difetti, che è però anche la terra delle giornate sempre assolate e della ricchezza delle piccole cose. La terra che impari a amare soltanto quando l’hai allontanata e l’hai perdonata per essere stata troppo tempo una scatola di ricordi un po’ troppo ingombranti.
L’urgenza espressiva da cui nasce “Magmamemoria” è ben visibile nelle immagini che Levante imprime ai suoi pezzi, talvolta leggiadre e romantiche (“eroico cosmonauta, viaggi nelle mie orbite ancora”, "le facciate mai finite, le Madonne chiuse in una teca”, “l'eco infinito che fa un bacio quando esplode in una vita vuota”, "se io fossi un colore sarei quello del mare"), mentre altre volte sono schiaffi (“L'educazione alla loquacità: parlare tanto senza dire niente”, “che ci faccio col tuo ricordo, mi ci pulisco il culo, ne farei a meno”). Dopo l’inconsistenza e la faciloneria dei testi del precedente disco, finalmente in “Magmamemoria” le parole ritornano a prendersi il ruolo di primo piano che spetta loro in una bellissima ed eclettica facondia.
Interessante, d’altro canto, anche il lavoro che l’artista ha fatto sulla sua voce, giocando con un canto più variegato e sporco, particolarmente visibile soprattutto in alcuni brani (“Francesco”, “Saturno”, “Rancore”, "Magmamemoria", "Reali").
Il viaggio di “Magmamemoria” si conclude con “Arcano 13”, dedicata al padre scomparso quando aveva 9 anni. Levante lo aveva già raccontato nella splendida “Finché morte non ci separi”, contenuta nel suo secondo album, “Abbi cura di te”. Con “Arcano 13” inverte la rotta: pochissime parole, pochissime note. Un pezzo minimalista, dall’atmosfera lo-fi, come fosse una vecchia musicassetta stridente. Arcano numero 13, nei tarocchi, è la carta della morte come premessa per un nuovo inizio, della presa di consapevolezza del passato per soverchiare il dolore dei ricordi e vivere il presente. Perché, ancora una volta, la memoria porti consiglio.
Il vulnus musicale del disco è, ancora una volta, la struttura musicale dei brani, sebbene in “Magmamemoria” la cosa si noti meno per via dell’accompagnamento orchestrale, che talvolta riesce a salvare brani che altrimenti verrebbero dimenticati dopo un paio di ascolti, come la sanremese “Antonio”, chiusa per l'appunto da una delicata coda orchestrale che richiama a certo baroque pop degli anni 90.
Quel che è certo è che finalmente Levante pare essere tornata sulla buona strada, con un disco maturo e nostalgico, vero punto di congiunzione tra eleganza e fruibilità.
03/11/2019