I Sakanaction (サカナクション in alfabeto
katakana) sono una delle più importanti band pop rock del Giappone. Al momento, tenendo in considerazione impatto sul pubblico, capacità di interagire con la cultura locale, livello tecnico dei musicisti, originalità e ampiezza della proposta, i
Suchmos e i
Gesu no Kiwami Otome sono le uniche altre due formazioni che possano ambire al loro livello.
Il quintetto nasce a Sapporo, nel nord del Giappone, e cresce intorno alla figura di Ichiro Yamaguchi, cantante, chitarrista e autore di tutti i brani. L’album di debutto, “Go To The Future”, esce nel 2007, e da lì al 2013, secondo i ritmi del mercato giapponese, ne seguiranno altri cinque, con crescente successo di pubblico.
Poi l’euforia creativa si placa. Forse sentendo la necessità di una ricarica, la pubblicazione degli album viene interrotta. Quello del 2013, che aveva per titolo il nome della band, è in effetti un passo indietro rispetto all’eclettismo delle prove precedenti, di cui mantiene il solo lato electropop, mettendone in ombra la componente chitarristica e l’attitudine discesa dall’art pop locale, la cui miscela ha reso il progetto tanto peculiare.
Inizia così un lungo periodo di stasi interrotto, in media, da un nuovo singolo all’anno. Sembra così ogni volta l’anticipazione di un nuovo album, che però non esce mai, e a ogni singolo si rinnova l’illusione. Per assecondare i bollenti ardori dei fan, vengono pubblicati due contentini: nel 2015 “懐かしい月は新しい月” (“Natsukashii tsuki wa atarashii tsuki”), raccoltà di remix e rarità, e nel 2018 “魚図鑑” (“Sakanazukan”), antologia dei loro brani più noti che però tralascia quasi del tutto i singoli usciti dopo il 2013.
Alla fine, dopo oltre sei anni, la tanto attesa nuova opera è arrivata, e come comprensibile è monumentale. La scaletta, divisa in due cd data l’ora e mezza di durata, conta ben diciotto tracce: otto sono per l’appunto quelle fatte uscire col contagocce fra il 2014 e il 2018 (e ciò spiega la loro assenza dall’antologia di cui sopra), e dieci sono inedite. I pezzi nuovi e quelli già noti sono stati mescolati, probabilmente per rendere la sequenza più variegata.
Il primo Cd si apre con tre gloriosi funk: “Wasurerarenai no” è levigato e riprende i dettami del
city pop anni Ottanta, con il solito Tatsuro Yamashita come santino; “Match To Peanut” si apre con un sintetizzatore saturo e vanta granulose chitarre indie rock in sottofondo, benché mixate a basso volume; “Kagerou”, uscito nel 2018 come colonna sonora dell’anime “Laughing Under The Clouds”, è una scheggia a base di tastiere ora house, ora electropop, con spiazzanti siparietti math rock. Fanno da fil rouge alcuni elementi messi bene in vista negli arrangiamenti: la voce di Yamaguchi, le corpose e sincopate linee di basso di Ami Kusakari, e la contagiosa energia dei cori, affidati a Kusakari e alla tastierista, Emi Okazaki. Le differenze vengono invece principalmente da tastiere e chitarre – suonate da Motoharu Iwadera e, secondariamente, dallo stesso Yamaguchi – che variano timbri a seconda della bisogna, mostrando come di quello che in apparenza è lo stesso stile si possano restituire tre visioni profondamente distanti fra loro, ma anche come sia possibile farle apparire, nonostante tutto, omogenee.
Seguono due singoli usciti fra il 2015 e il 2016: “Tabun, kaze.”, esplosivo ibrido fra electropop e dance, e “Shin takarajima”, il loro brano più noto, ma anche quello che ne riassume al meglio l’approccio alla musica. Si apre con un tema di tastiera, sorretto da boati di chitarra elettrica, che rimanda all’epicità dei motivi tradizionali nipponici. Appena sopito, scatta un robotico
riff di sintetizzatore, che si ripete a oltranza pur variando costantemente una nota: immediato è il cortocircuito fra la familiarità del suono, ripreso dalla
Yellow Magic Orchestra, e la mancanza di baricentro della composizione (lo spostarsi sistematico della nota centrale del
riff crea una sorta di piacevole spaesamento). Anche gli accordi che sostengono il
riff cambiano durante le diverse sezioni della canzone, contribuendo al variare dell’atmosfera, che è giocosa nelle strofe, ma si avvolge di un titanismo romantico nel crescendo finale, fino a quando rientra il tema introduttivo. In mezzo a tutto ciò troviamo spazio per un assolo di chitarra elettrica vecchio stampo, una mosca bianca per la musica radiofonica di questi tempi.
Appare evidente che un brano del genere rappresenti un vertice per raffinatezza della composizione, ricchezza dell’arrangiamento, qualità della produzione e diversità delle influenze (dal synth pop al folk locale, dall’ampio respiro delle colonne sonore al rock dell’epoca in cui non ci si doveva vergognare di eseguire un virtuosismo).
L’enciclopedismo funk ritorna per “Moth”, trasfigurazione moderna delle sigle degli anime anni Settanta (le versioni locali, beninteso, non quelle italiane), e "Kikitakatta Dance Music Liquidroom ni", B-side del 2015, con falsetti angelici e un morbido pianoforte elettrico, a metà fra le timbriche jazz fusion e le sincopi della house.
Il secondo Cd è meno energico del primo, data la minore enfasi sul ritmo e la tendenza a svelare l’anima indie rock della band, prevalentemente in forma di ballata, ma la qualità media rimane costante e non mancano certo i momenti sorprendenti: su tutti, i sette minuti della
title track, pezzo ambient strumentale con rimandi alla vecchia scuola berlinese (peraltro del tutto plausibili, se si pensa che
illo tempore Klaus Schulze ebbe contatti con la Far East Family Band), l’ariosa “Nylon no ito”, con i suoi sintetizzatori sinfonici e le sue planate vocali oniriche, e l’intimismo pianistico di “Chabashira”.
Nel suo complesso, “834.194” è il disco definitivo dei Sakanaction. Non contiene forse ogni singolo aspetto di ciò che era stata la loro arte fino a oggi (è mancata per esempio una ballata a metà fra folk e jazz spaziale, quale fu la splendida “Ryuusen” nel 2011), ma ne raccoglie comunque una buona parte, e soprattutto ne svela nuovi orizzonti: Yamaguchi non aveva mai mostrato prima, per esempio, la necessità di attraversare ogni possibile variante del funk.
L’album ha appena debuttato al secondo posto della classifica giapponese, con circa centomila copie vendute nei primi sette giorni, a riprova di un pubblico ormai fedele e consolidato. Da qui a qualche decennio non ci stupiremmo di trovarlo consigliato fra i dischi essenziali della musica locale, così come oggi vengono considerati quelli dei numi tutelari che hanno preceduto i Sakanaction, che siano essi Yamashita, la Yellow Magic Orchestra o gli Spitz.
01/07/2019