Ci sono attimi che hanno le sembianze dell'eternità, incontri che cambiano il rapporto con l'arte, fugaci sguardi che svelano più di un intero discorso. Accadde questo il 4 giugno di tre anni fa quando, durante il concerto tenuto al Godot Art Bistrot di Avellino, ho intercettato la potente spiritualità e il delicato misticismo quasi gothic di Brigid Mae Power.
Era già stato amore a prima vista quando le note di "It's Clearing Now" avevano svelato un talento vocale unico, particolare, un incrocio tra Elisabeth Fraser e Mary Margaret O'Hara dal fascino penetrante, perfino disturbante, ma autentico, raro, viscerale. La produzione del musicista e compagno Peter Broderick non provava minimamente ad alterare l'energia e il fragile respiro poetico della musica dell'artista: la natura ancestrale del folk e l'affascinante liturgia pagana degli arrangiamenti erano tutto quello di cui necessitava per mettere in luce il talento di Brigid Mae Power.
È forte il ricordo di quell'incontro, di quelle poche parole scambiate tra un autografo sui dischi appena acquistati e il ringraziamento per le belle parole espresse su queste pagine a proposito del primo omonimo album.
Dopo la conferma giunta a breve con "The Two Worlds", in parte anticipato durante l'esibizione live, il timore che la musica di Brigid Mae Power restasse diletto per pochi era forte, ma il coraggio e la voglia dell'artista di misurarsi con nuove frontiere sonore ha compiuto il miracolo tanto atteso. Registrato in analogico negli studi The Green Door di Glasgow, con la presenza al tavolo di produzione di Alasdair Roberts a dar man forte a Peter e Brigid, l'album è il primo registrato con una band (Alasdair Roberts, Peter Broderick, Brían Mac Gloinn, Stevie Jones e Hamilton Belk) e con uno spirito collettivo che rimanda a progetti storici del folk inglese (Fotheringay).
Tra uno sguardo e un sorriso ricordo ancora le parole che Brigid dedicò a Tim Buckley in quel breve incontro del 2017; quel modo di cantare e di estendere le note fino al limite, quella voglia di liberare il canto dalla fragilità umana hanno cambiato per sempre la vita della musicista irlandese, e quella luce ancora brilla nel suo immaginario.
A questa già comprovata libertà espressiva della voce, "Head Above The Water" accosta un suono più avventuroso e una notevole potenza melodica, svelando insospettabili accenni di romanticismo nella ballata country "On A City Night", ingentilita dal suono dell'organo, di una pedal steel guitar e di un violino. Ed è parimenti intensa e degna delle migliori pagine della storia del folk-rock l'inebriante "Wedding Of A Friend", che non avrebbe sfigurato in album come "Astral Weeks" o "Goodbye And Hello".
Non riesco altresì a immaginare una canzone più malinconica e solitaria della cristallina "Not Yours To Own", che Brigid Mae Power interpreta con una voce a metà strada tra la preghiera e le lacrime. Ed è pura psichedelia la trance vocale di "I Was Named After You", avvolta da un'estasi strumentale di flauti, percussioni esotiche ed esoteriche, per una catarsi che evoca la magia dei Mellow Candle.
Ricompare l'ombra di Tim Buckley (in particolare della sua "Buzzin' Fly") tra i risvolti jazz-folk di "We Weren't Sure", mentre stupisce la vena soul di "Wearing Red That Eve" e "I Had To Keep My Circle Small", due brani caratterizzati da un incedere pianistico struggente che intercetta la spiritualità di Laura Nyro e Judee Sill.
Nulla, in "Head Above The Water", suona convenzionale o superfluo: la maturità di Brigid Mae Power è ormai vicina alla perfezione, non c'è tregua emotiva o espressiva nella pur confidenziale "You Have A Quiet Power", ed è impressionante come la cantautrice irlandese riesca a impossessarsi della bellezza della classica "The Blacksmith".
Con "Head Above The Water" il talento e la magia della musica dell'autrice e cantante irlandese è venuto completamente alla luce. Il terzo lavoro di Brigid Mae Power non è solo uno degli album più belli del momento, ma forse uno dei più importanti del decennio. Un capolavoro suggellato da un ultimo tocco di grazia con la splendida title track, un canzone per piano e voce che ha tutte le caratteristiche del future classic, un'intuizione melodica tanto semplice quanto nobile e toccante. Se avete intenzione di comprare un solo album del 2020, questo è una delle migliori scelte possibili. Imperdibile.
01/06/2020