I remember you
Before you hated me
Before you traded me
(da “I’m Sorry And I Love You”)
Sette accuse di molestie sessuali, una delle quali proveniente da una minorenne. Un’altra dalla celebratissima collega Phoebe Bridgers, vera e brillante icona del cantautorato al femminile contemporaneo; non per questo un’accusa più pesante delle altre, ma certamente più rumorosa. E’ con questa spada di Damocle sulla testa che Ryan Adams ha rilasciato “Wednesdays”, la sua ultima fatica, uscita a sorpresa e nell’assordante silenzio della stampa specializzata. Che, al contrario di una corte competente, ha già sancito la colpevolezza dell’uomo e dell’artista; due ruoli che in questi tempi di stolida cancel culture viene troppo difficile separare, o troppo comodo non separare.
Gran parte dei brani del disco, che porta Ryan Adams a quota diciassette, sono stati scritti e realizzati ben prima delle scomode e gravi accuse. Difatti il lavoro sarebbe dovuto uscire nel 2019, insieme ad altri due, confermando ancora una volta l’estrema prolificità del musicista, interrottasi solo a causa delle vicende personali e giudiziarie. Pur all’oscuro della natura degli altri due album, assaporando i toni dimessi, gli arrangiamenti scarni che rifuggono ogni adorno di “Wednesdays”, appare chiaro perché per rompere il silenzio la scelta di Ryan Adams sia ricaduta proprio su questo disco.
È un ritorno in punta di piedi, timido, in alcuni frangenti scheletrico. Se si eccettua il dreamland-rock con gli organetti a pompare polvere di sogno di “Birmingham”, quella che ci troviamo tra le mani è una collezione di ballad nude e crude.
Nudo è l’uomo, che si confessa a voce bassa, tradisce dispute interiori e sensi di colpa (“I’m Sorry And I Love You”), ancestrale bisogno di tenerezza e pace (“Who Is Going To Love Me Now, If Not You”). E nuda è anche la chitarra, acustica o elettrica che sia, che trova solo sporadico riparo in una coltre di arrangiamenti d’archi (la dolcissima “Mamma”), languido accompagnamento della slide guitar (la succitata “I’m Sorry And I Love You”, “Lost In Time”), o nascondiglio mentre odiamo l’armonica gemere (“When You Cross Over”, “So Anyways”) o il pianoforte prenderne il posto nella conclusiva “Dreaming You Backwards”.
In assenza di muscoli e addobbi (“Wednesdays”, “Lost In Time”), lontano anni luce dalle scorribande care a Tom Petty del disco eponimo del 2014, il talento melodico di Adams e la bellezza mielosa della sua voce rifulgono come non facevano da tempo. Del resto, a dirla tutta, era da un po’ che il genietto del nuovo cantautorato americano non scriveva canzoni così belle. Ossia tutto quanto a una rivista dovrebbe bastare per decidere se e come parlare di un disco.
24/12/2020