Chiunque nel corso della vita è passato attraverso specchi, ha indossato maschere, è stato questa o quella cosa, ha immaginato di essere carnefice o salvatore, il diavolo o l'acqua santa. Ryan Adams nel 2014 pubblica il self-titled della maturità: non c'è in "Ryan Adams" il protagonista che più di tutti ha seguito con il binocolo il britpop d'oltreoceano e nemmeno quel maledetto che riproponeva il rock'n'roll nella raccolta di un decennio fa.
Il cantautore dello Stato degli aranci (Jacksonville, NC) ritorna, a tre anni di distanza dal sufficiente "Ashes And Fire", con un disco di classic-rock, piacevolissimo sin dal primo ascolto, memorabile dopo ogni ultimo. Si tratta della pausa più lunga intercorsa fra una pubblicazione e l'altra da parte di Adams per quel che riguarda gli Lp (sono quattordici dall'anno 2000), escludendo la parentesi punk come Pornography che, assieme all'Ep “1984” distribuito quest'anno, ha riproposto l'Adams rocker di nicchia degli esordi. Una lavorazione lunga, ragionata e che ha visto “bocciare” un intero album perché “troppo lento e adulto”. Costo dell'operazione: centomila dollari.
In questo nuovo lavoro tornano a galla le passioni di lungo corso del songwriter americano: ci sono gli Smiths, c'è Springsteen (“I Just Might”) ci sono i Velvet Underground, passando anche per la chitarra rock-blues di "Trouble" e "Stay With Me", ricordando Ashcroft e The Cult. Le ballate, da sempre pane per i denti di Adams, capace di commuovere e mettersi a nudo come pochi altri della sua generazione, godono in “Ryan Adams” di una vibrazione che ci fa pensare a una sorta di “Heartbreaker 2.0”. La chitarra elettrica che taglia a metà “Kim” - uno dei momenti migliori del disco – e il minimalismo intimo di “My Wrecking Ball” sono due facce differenti, ugualmente importanti, dell'eclettismo compositivo di Adams.
L'aspetto forse più stupefacente dell'album è però un altro, ovvero l'evidente nuovo approccio ottimista di Adams nei confronti della vita, nonostante i fastidiosi disturbi che da anni la sindrome di Ménière gli crea. Sposato e sobrio da tempo, Adams abbandona le ombre per gettare uno sguardo carico di speranza al futuro. In "Ryan Adams" c'è un uomo stanco di dover inventare e reinventarsi a tutti costi, uno che ne ha viste parecchie nella sua media esistenza, qualcuno che ha bisogno solo di qualcosa di buono ("Gimme Something Good"), di qualcosa di concreto, stanco di mollare o meglio di aver mollato troppe volte ("Tired Of Giving Up").
Già solo dagli accordi di "Feels Like Fire" o "I Just Might" si percepisce la positività di questo lavoro, la presa di coscienza, un po' come fermarsi e ripetere a se stesso: "Ok Ryan, after all tomorrow is another day".
16/10/2014