Ryan Adams

Ashes & Fire

2011 (Pax Am / Capitol)
alt-country, songwriter

Ceneri e ardori. Le macerie delle occasioni perdute e la scintilla di un nuovo giorno. C'era una volta Ryan Adams, la promessa dell'alt-country americano. Una reputazione costruita a cavallo del nuovo millennio, prima alla guida degli Whiskeytown e quindi con i successi solisti di "Heartbreaker" e "Gold". Poi, una suicida ipertrofia produttiva, una catena di abusi e dipendenze e le inevitabili incomprensioni con l'industria discografica hanno finito per appannare sempre più il suo nome.
"Ashes & Fire" si presenta oggi come il disco del ritorno alla vita per Adams: ha lottato con la malattia (la sindrome di Ménière), si è sposato con l'attrice e popstar Mandy Moore, ha creato la sua personale etichetta (battezzata Pax Am), è riuscito a superare lo scioglimento della sua backing band, i Cardinals. E alla fine ha ritrovato la musica, l'unico punto fermo anche nei giorni più bui: "Per me la musica è il football, è il Natale, è la religione, è la poesia".

La morbidezza malinconica di "Dirty Rain" introduce il nuovo presente di Ryan Adams con una carezza d'organo che evoca il Dylan anni Settanta. La title track acquista vigore tra le note del pianoforte, mentre il sussurro di "Come Home" si lascia sfiorare da spazzole e pedal steel. L'atmosfera è quella intima di "Love Is Hell" (a tutt'oggi una delle prove più riuscite nella confusa discografia del songwriter americano), il desiderio è quello di cercare di tracciare una linea di congiunzione che porti fino ai tempi di "Heartbreaker".
"Ashes & Fire" rimane ben saldo nei confini roots, sfoggiando un tono classico che bussa alla porta della generazione di Ryan Bingham e Jesse Malin per rivendicare il proprio ruolo. Gli ospiti illustri, del resto, non mancano, dalle tastiere di Benmont Tench degli Heartbreakers alla voce di Norah Jones, fino al leggendario produttore di "Who's Next" e dei primi Eagles Glyn Johns (il cui figlio, Ethan, è stato alla consolle in molti dei dischi di Adams). Alla lunga, però, le canzoni di "Ashes & Fire" si perdono nell'anonimato, tra gli immancabili santini di Neil Young ("Rocks") e progressioni pop prive di sorprese ("Do I Wait").

La pioggia ha smesso di cadere, i fantasmi del passato sembrano lontani: "È come se fossero cose successe a un'altra persona", confessa Adams. La sua voce si rifugia nelle certezze tardo-springsteeniane di "Chains Of Love", cerca il calore confortante delle mura di casa. Mura costruite un mattone dopo l'altro, fatte per resistere ai venti della vita che soffiano su "Come Home".
Il grido d'aiuto di "Save Me" ("Somebody save me / I just can't go on / If someone don't save me / By the morning I will be gone") trova in "Kindness" la risposta di una cura alla ferite del cuore. E nel riflesso dello specchio di "Lucky Now" c'è un volto dai lineamenti irriconoscibili: "I feel like somebody I don't know / Are we really who we used to be? / Am I really who I was?". La sincerità con sé stessi è la chiave di ogni nuovo inizio: Ryan Adams ha ricominciato a camminare, e per ora è quello che conta per provare ancora a dargli fiducia.


Dirty Rain

20/10/2011

Tracklist

  1. Dirty Rain
  2. Ashes & Fire
  3. Come Home
  4. Rocks
  5. Do I Wait
  6. Chains Of Love
  7. Invisible Riverside
  8. Save Me
  9. Kindness
  10. Lucky Now
  11. I Love You But I Don't Know What To Say

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