Maybe I do have a weird obsession with honesty
Durante una recente lunga conversazione con Pitchfork, Lindsey Jordan rifletteva, con quel pizzico di autoironia che l’ha sempre contraddistinta, sulla propria scrittura impregnata di autobiografismo e sulla tendenza delle sue liriche a lasciare emergere anche i pensieri e i sentimenti più reconditi. Onestà e visceralità sono elementi che avevano caratterizzato la precedente produzione musicale della giovanissima musicista e che continuano ora ad attraversare i dieci brani che compongono “Valentine”, secondo full-length a nome Snail Mail. E mai come in questo lavoro Jordan è stata così diretta. La ascoltiamo infatti cantare, con un’insospettabile leggerezza e disinvoltura, quasi en passant, della sua esperienza di quarantacinque giorni in rehab in Arizona (“Ben Franklyn”) e di terrorizzanti, oscure palpitazioni suicidali (“Headlock”).
Quello di Jordan rimane comunque, ancora una volta, un canzoniere principalmente amoroso. Non va però inteso tanto come una celebrazione romantica o astratta, quanto piuttosto come un luogo espressivo per la rappresentazione dei sintomi di amore nella loro più svariate sfacciature. La persona amata è spesso assente, è una figura quasi ideale, un destinatario immaginario a cui rivolgere le proprie riflessioni e i propri tumulti interiori. Rabbia, gelosia, frustrazione, sensi di colpa, ma anche accettazione della fine di una relazione e comprensione del suo evolversi nel tempo. Lindsey non dà definizioni, non offre sicurezze o risposte, ma con uno sguardo accuratamente descrittivo esprime con ammirevole consapevolezza il vasto spettro delle emozioni. Una ricerca per capire meglio quanto si prova e si sente dentro di noi, che, in fondo, equivale anche a dire: capirsi meglio.
Scritte nella casa dei genitori nei primi mesi pandemici, dopo un lungo ed estenuante tour che aveva accompagnato la giovane artista dall’adolescenza alla prima età adulta, le canzoni si avvalgono della collaborazione del produttore Brad Cook (che recentemente aveva lavorato al bellissimo “Saint Cloud”). In “Valentine” Lindsey decide di allargare la propria palette musicale e trova così un sound profondo e variegato. Non più quindi solo le chitarre, clean o distorte, ma anche tastiere e ornamenti orchestrali. “Ben Franklin” vibra con synth e basso potente; “Headlock” si impreziosisce con i contrappunti di tastiera; la riuscita “Forever (Sailing)” avvolge la melanconia per un amore sfrantosi in mille pezzi in un oceano sonoro mellifluo e spaziale.
Sebbene la cantautrice sembri inciampare nelle ballate acustiche (“Light Blue” e “c. et al.”) e in “Mia”, imbalsamata nel proprio arrangiamento d’archi, quando le chitarre infuriano, come nell’accelerata della title tack e nella brevissima e liberatoria “Glory”, la musica di Snail Mail colpisce di nuovo nel segno, rievocando quell’esordio che, solo qualche anno fa, ci stregò tutti. E poi, soprattutto, c’è “Madonna”, che insieme a “Ben Franklin”, riconferma Lindsey come una delle migliori giovani autrici in circolazione. Tra cambi di tempo, imprevedibilità e un testo che si avvale di una radicale risemantizzazione di un lessico e di un immaginario cristiano in un contesto passionale e corporeo, la canzone si pone al centro di questa complicata parabola di catarsi e di elaborazione della rottura amorosa che si dipana lungo tutto “Valentine”. Tra la frustrazione della traccia d’apertura e la sconsolata accettazione di quella finale, “Madonna” trova nel suo immaginario metaforico gli strumenti per iniziare a demifisticare il dolore e la distanza.
Body and blood, I’ll atone
Get to it now, or we can fight on the phone
I used to wanna get even, I’ll just get stoned
Bow to your divinity
Gonna wipe the dirt off me
Our love’s a sickness baby
I’m holding on tight
I don’t know why
E se anche non avremo ottenuto una nuova “Pristine”, versi come questi rimarranno episodi imprescindibili della discografia di Snail Mail e del cantautorato indie rock statunitense di inizio anni Venti.
29/11/2021