Sarà per la provenienza francese, sarà per quell'immagine scelta per raccontare l'opera ("come un ascensore che scende lentamente verso il centro della terra"), viene naturale associare il celebre "Viaggio" nelle viscere del pianeta raccontato da Jules Verne nel 1864 al secondo album di Maïssa D. alias Theoreme, giovane artista proveniente da Lione e finora, oltre alla militanza nel trio no-wave SIDA, autrice di un solo album a proprio nome intitolato "L'appel du Midi à midi pile" e pubblicato nel 2016 senza particolari clamori.
Il parallelo, ovviamente, regge fino a quando si fa partire la musica. Il sottosuolo di Theoreme è un luogo che ha più a che fare più certe logiche post-moderne che con la fantascienza ottocentesca, e va bene così. Nonostante un titolo - "Les Artisans" - che richiama immaginari molto meno distanti dalla vita di tutti i giorni, quello tratteggiato da Maïssa D. è un luogo asettico e oscuro, dominato da battiti sintetici, forse popolato da umani che assomigliano a robot, o magari da robot creati a immagine e somiglianza degli umani. O sono fantasmi le ombre di cui a tratti possiamo indovinare la presenza?
A rendere ancora più spiazzante l'ascolto è il suono stesso: sembra di entrare in un club nel cuore della notte, il fumo e il chiasso che assordano, oppure di sentirne il rimbombo da fuori (il basso è un altro cuore pulsante), con un muro a separarci dal luogo di origine della musica. La voce di Maïssa, ieratica e in qualche modo irraggiungibile, è l'elemento che più di tutti concorre ad amplificare questo effetto di vicinanza/lontananza destinato a rimanere irrisolto per l'ascoltatore.
Meno complessa è l'opera di decodificazione del sound di "Les Artisans", nel quale confluiscono mondi nemmeno troppo lontani tra loro, ma con un dosaggio degli stessi che, unito all'immaginario e alla formula sonora di cui si è già detto, produce esiti affatto banali. Le influenze industrial, un'idea abbastanza alternativa di dance music e il substrato post-punk non sono che le coordinate più palesi, ma non mancano accenti dub e funk, Uk jungle e drum'n'bass, persino qualche sparuta reminiscenza jazz. Anche un po' di tradizione francese, volendo, ma di quella più prossima, come potrebbe confermare una "Tourterelle" che ammicca agli Air e al loro stesso retrofuturismo.
La sfrontatezza sempre più minacciosa e incombente della title track preferisce l'ossessività del tema in chiave dub alla classica forma-canzone, tra richiami jungle e qualche ipotetico collegamento al French Touch inserito tra le righe. D'altro canto, "Radionucléides" è una sorta di manifesto di come potrebbe essere riletta la tradizione francese tra un centinaio d'anni, o forse anche molto meno: una vecchia canzone la cui melodia è stata incastonata in un immaginario psudo-techno, ma non senza richiami agli Stereolab. Le traiettorie oblique, quasi scordate di "L'Enfer Définitif" e "Te Coloniser Là" raccontano bene, invece, la capacità di Maïssa D. di trovare soluzioni a loro modo originali utilizzando ingredienti e stili altrimenti già ben noti.
La capacità dell'artista francese di "suonare" sempre originale e convincente in ognuno degli otto capitoli di "Les Artisans" rappresenta la chiave di volta di questo secondo album. Il binomio tra l'onnipresente basso e i synth di "Les Gifles Du Pariétal" produce un esito di insospettabile espressività, al pari di quanto accade nel girotondo strumentale di "Tertre". Infine, "L'Homme À Face De Rosée" irretisce in un movimento al rallentatore che, per contrasto, appare più solido e meno ovattato. È il ritorno alla superficie, è la realtà che torna a bussare alle porte della fantasia. È la fine di un viaggio che è valso la pena di compiere.
01/12/2021