Il parallelo, ovviamente, regge fino a quando si fa partire la musica. Il sottosuolo di Theoreme è un luogo che ha più a che fare più certe logiche post-moderne che con la fantascienza ottocentesca, e va bene così. Nonostante un titolo - "Les Artisans" - che richiama immaginari molto meno distanti dalla vita di tutti i giorni, quello tratteggiato da Maïssa D. è un luogo asettico e oscuro, dominato da battiti sintetici, forse popolato da umani che assomigliano a robot, o magari da robot creati a immagine e somiglianza degli umani. O sono fantasmi le ombre di cui a tratti possiamo indovinare la presenza?
A rendere ancora più spiazzante l'ascolto è il suono stesso: sembra di entrare in un club nel cuore della notte, il fumo e il chiasso che assordano, oppure di sentirne il rimbombo da fuori (il basso è un altro cuore pulsante), con un muro a separarci dal luogo di origine della musica. La voce di Maïssa, ieratica e in qualche modo irraggiungibile, è l'elemento che più di tutti concorre ad amplificare questo effetto di vicinanza/lontananza destinato a rimanere irrisolto per l'ascoltatore.
Meno complessa è l'opera di decodificazione del sound di "Les Artisans", nel quale confluiscono mondi nemmeno troppo lontani tra loro, ma con un dosaggio degli stessi che, unito all'immaginario e alla formula sonora di cui si è già detto, produce esiti affatto banali. Le influenze industrial, un'idea abbastanza alternativa di dance music e il substrato post-punk non sono che le coordinate più palesi, ma non mancano accenti dub e funk, Uk jungle e drum'n'bass, persino qualche sparuta reminiscenza jazz. Anche un po' di tradizione francese, volendo, ma di quella più prossima, come potrebbe confermare una "Tourterelle" che ammicca agli Air e al loro stesso retrofuturismo.
La sfrontatezza sempre più minacciosa e incombente della title track preferisce l'ossessività del tema in chiave dub alla classica forma-canzone, tra richiami jungle e qualche ipotetico collegamento al French Touch inserito tra le righe. D'altro canto, "Radionucléides" è una sorta di manifesto di come potrebbe essere riletta la tradizione francese tra un centinaio d'anni, o forse anche molto meno: una vecchia canzone la cui melodia è stata incastonata in un immaginario psudo-techno, ma non senza richiami agli Stereolab. Le traiettorie oblique, quasi scordate di "L'Enfer Définitif" e "Te Coloniser Là" raccontano bene, invece, la capacità di Maïssa D. di trovare soluzioni a loro modo originali utilizzando ingredienti e stili altrimenti già ben noti.
La capacità dell'artista francese di "suonare" sempre originale e convincente in ognuno degli otto capitoli di "Les Artisans" rappresenta la chiave di volta di questo secondo album. Il binomio tra l'onnipresente basso e i synth di "Les Gifles Du Pariétal" produce un esito di insospettabile espressività, al pari di quanto accade nel girotondo strumentale di "Tertre". Infine, "L'Homme À Face De Rosée" irretisce in un movimento al rallentatore che, per contrasto, appare più solido e meno ovattato. È il ritorno alla superficie, è la realtà che torna a bussare alle porte della fantasia. È la fine di un viaggio che è valso la pena di compiere.
(01/12/2021)