Night is calling
You came around my way
Braccia aperte, tra la neve, ad accoglierci e accogliersi. E un sorriso che trapela a stento dalla mascherina rigorosamente nera. È lo scatto amatoriale, senza filtri di sorta o fotografi professionisti a supporto, che
William Bevan ha regalato a tutti dopo quelli più o meno ufficiosi della primissima ora, di cui il primo addirittura diffuso per smentire le dicerie sulla sua presunta identità e il
penultimo in compagnia dell'amico e mentore
Kode9.
È un'istantanea che restituisce, se ce ne fosse ancora il bisogno, la semplicità di un musicista tanto umile quanto maledettamente introverso. Uno scatto che però ha anche una sua artificiosità, in quanto mostrato a ridosso dell'uscita di quello che a conti fatti è il terzo, attesissimo album di Burial.
Bene. Inutile stare qui a ribadire per l'ennesima volta l'abitudine del
producer inglese di tirare fuori praticamente solo singoli, Ep da due tracce, talvolta a sorpresa, magari giusto per testare la proprie velleità garage per un'etichetta
monstre come la Keysound, e vattelapesca. Burial se ne frega e va bene così.
Al netto della dicitura "Ep" francamente evitabile, scelta forse per "affetto", o mera continuità con il passato (vallo a capire!), "Antidawn Ep" supera magicamente la soglia dei 40 minuti ed è composto da cinque movimenti che per certi versi hanno poco a che fare con le inclinazioni ritmiche palesate qui e là negli ultimi due lustri. Perché ad ascoltare gli undici minuti di "Strange Neighbourhood" la sensazione è quella di trovarsi al cospetto di un ologramma sfocato di Vanessa Rossetto (!). Tradotto: rumori sparsi, imprecazioni alla rinfusa o abbastanza dozzinali ("Make me feel like I'm in love"), con il consueto filtro un po' vocoder, un bel po' Alvin and the Chipmunks sotto metadone. Insomma,
patchwork, destrutturazioni in apparenza casuali, o meglio la notte secondo William Bevan ma senza la sua musica. Ci si ritrova quindi alle prese con una suite insignificante, dalla sofisticazione melliflua, e di cui davvero si fatica a comprendere l'essenza.
Si passa così alla
title track e alla decantata oscurità della notte, fascinazione secolare di Burial, in cui la perdizione regna ancora una volta sovrana: "I'm in a bad place, with nowhere to go". C'è assenza di battito, musica, melodia. Addirittura spunta il suono di un accendino malfunzionante, tra grilli, droni vaporosi, "pause" (da cosa?) e parole come "Tonight, I know it's coming". A dirla tutta, sembra di sostare con poche persone sull'ingresso di una chiesa e attendere l'entrata del parroco, mentre il sacrestano prova in lontananza qualcosa che somiglia a un organo, a frammenti di registrazioni sacre di cui non si capisce neanche la liturgia da reggere. La riduzione al sopracitato vapore, ostentata in presentazione, è dunque un'inutile fascetta.
"Shadow Paradise" prosegue al centro del piatto nella medesima non-direzione. C'è tuttavia un accenno all'organetto, a "garantire" una vacua percezione dell'oblio alla base di tutto: "Lonely, there's one/ Alone in our reverie". E la faccenda non cambia nemmeno in "New Love" e "Upstairs Flat", con le quali si potrebbero stiracchiare nuove iperboli, rischiando di apparire soporiferi quanto l'opera in questione. La verità è che ci si ritrova al punto di partenza, ossia in compagnia di Bevan alle porte di una chiesa in pieno inverno, tra rumori e voci sparse.
Alla fine la domanda nasce spontanea: perché Burial ha deciso di tirare fuori un disco come "Antidawn Ep"? Nessuno lo saprà mai.
Forse non resta che entrarci per davvero in chiesa, con il nobile intento di pregare un ritorno quantomeno degno del suo nome.
27/01/2022