Ci risiamo. Il gatto e la volpe del dubstep sono nuovamente tra noi. Stracciate le memorie del futuro sbattute in faccia al mondo cinque anni fa, i due briganti tornano alla ribalta decisamente rivitalizzati e per nulla stanchi delle tante lezioni impartite ai rampolli di casa Hyperdub. Già, perché con "Black Sun" (il titolo è già tutto un programma) l'imperativo è rivoltare le carcasse di uno stile in piena evoluzione, partendo dal tribalismo grime acidissimo dell'esordio, fino a inscenare un raga elettronico ultra spedito, alternato all'occorrenza a un'inquietante desolazione timbrica.
La volpe Steve Goodman, aka Kode9, non rinuncia così a groove afro-futuristi e sezioni ritmiche graffianti, talvolta terrorizzanti, come l'assalto introduttivo di "Black Smoke" e l'inno suburbano di "Am I", agghiacciante dichiarazione d'umori e intenti. Mentre Stephen Samuel Gordon, aka Spaceape, punta dritto a un ragga ancor più sintetico e incalzante, rivoluzionato da un solido attivismo live e da svariate collaborazioni eccellenti (The Bug, Burial).
La novità del disco è tutta racchiusa in "Love Is The Drug", broken-beat e tastierone alienato a sondare insoliti territori. Così come il ritmo di "Neon Red" pare uscito direttamente da un Ep di Burial, privato dei suoi bassi pachidermici e profondi, e rivoltato a mo' di lounge music iper-spaziale. Le accelerazioni e decelerazioni in quattro quarti della title track allontanano ancor di più i due dal modello originario, proiettandoli verso suoli danzerecci mai calpestati prima.
Il risultato è talvolta intrigante, soprattutto nei momenti in cui predomina un'alienazione sbilenca e al contempo narcotica, quali "Hole In The Sky" e l'ipnosi roboante di "Otherman". Tuttavia, non sempre questa mescola ottiene i risultati graditi, e soprattutto in coda ("Green Sun") si avverte appieno una certa stanchezza di fondo. E non basta di certo Flying Lotus a raddrizzare la faccenda, perché le piroette cibernetiche di "Kyron" sembrano più un'improvvisata incursione verso cieli schulziani che la degna chiusura di un disco oltremodo atteso un po' da tutto l'ambiente e dalla periferia pulsante londinese.
In tutta franchezza, "Black Sun" sa essere sia un'accattivante contorsione futurista in scia dubstep, sospinta con rinnovata classe da Gordon, sia imperscrutabile divagazione spaziale a tratti priva di mordente, magari utile a qualche pivello in cerca di celeri diversivi.
Metà luce e metà ombra.
07/05/2011