Autori nel 2006 del superlativo “The Trials Of Van Occupanther” e, quattro anni più tardi, del degno successore “The Courage Of Others”, i Midlake sembravano destinati a recitare un ruolo di spicco nel neo-folk americano, ma dopo gli onori ricevuti, l’ansia da prestazione si è fatta sentire più del dovuto e ha iniziato a corrodere gli equilibri interni della band, fino alla frattura e all’abbandono del cantante e frontman Tim Smith.
Davvero una mazzata, che generalmente sfocia in uno scioglimento, ma la band texana ha cercato di tenere botta. Infatti nel 2013 è uscito “Antiphon” con il chitarrista Eric Pulido alla voce. Qui le coordinate musicali virano verso una sorta di ombrosa psichedelia con derive progressive. Un risultato dignitoso se considerato come primo mattone di una nuova costruzione, ma sicuramente appena sufficiente se paragonato ai due lavori sopracitati.
Dopo “Antiphon”, dei Midlake si perdono le tracce per nove anni. Poi un bel giorno, come nelle favole, appare in sogno al tastierista Jesse Chandler il padre, un ex-hippy che in gioventù era stato spettatore del festival di Woodstock respirandone tutta l’atmosfera di pace e amore, il quale intima al figlio di riformare la band. E infatti eccoli i nostri che si rifanno vivi con “For The Sake Of Bethel Woods”, con tanto di foto del padre sedicenne tra la folla sulla copertina e titolo dedicato al luogo dove è stato costruito il museo del celebre festival.
Il vento della positività che soffiava in quegli anni è presente in alcuni brani dell’opera: dalla voglia di ritrovarsi per ripartire dell’intro “Commune” fino all’ossessione-devozione per il luogo di “Bethel Woods” della title track.
Da sempre figlio di un certo classicismo rock ma con un background jazz e una passione per il folk della West Coast, il gruppo di Denton sembra riprendere il discorso interrotto nove anni fa schiarendo le tinte e cercando di allargare ulteriormente gli orizzonti senza rinnegare il passato, attingendo anche alle propulsioni indie-rock degli esordi.
Emerge subito, fin dai primi ascolti, la volontà di scardinare la gabbia delle ballate per avventurarsi in terreni meno battuti con brani che tendono a evolversi durante lo svolgimento. È il caso degli episodi più centrati di “For The Sake Of Bethel Woods”, come “Glistening”, che parte ai confini del funk con uno scarno ma sinuoso riff di chitarra fino a dilatarsi in una nuova dimensione piena di estatici mellotron e slide celestiali, o “Feast Of Carrion” che da una soft ballad alla Jonathan Wilson lievita fino a prendere le forme di un folk jazzato venato di prog tra flauti e armonizzazioni alla CSN&Y.
Il nuovo suono della band appare rinforzato a livello di arrangiamenti, spiccano, infatti, l’elaborato drumming della title track “Bethel Woods” e il robusto tiro dello space-rock di “Exile” e non manca, neppure, il coraggio di tentare accostamenti pop nell’incedere elegante di “Gone” o nelle atmosfere sospese ma un po' ruffiane di “Meanwhile”.
Il passato dei Midlake fa capolino in alcuni passaggi di “Noble”, struggente brano dedicato al figlio del batterista, dove tra i soffici tappeti di synth torna in parte quell’emotività marchio di fabbrica della band, o come nell’evocativo crescendo di “Dawning”. Anche nel poderoso attaccone alla Grandaddy di “Of Desire” c’è addirittura qualcosa del periodo pre “The Trials Of Van Occupanther”.
I Midlake vogliono sopravvivere a loro stessi, sanno di essere un’altra band rispetto a quella del 2012, fanno di tutto per comunicarlo, e il nuovo abito risulta anche convincente. Purtroppo la voce educata di Eric Pulido non ha il carisma di Tim Smith e i brani, per quanto ispirati e di buona qualità, raramente riescono a toccare le vette emotive del periodo d’oro, ma forse questo non è più nelle loro intenzioni.
Se “Antiphon” era la fotografia di una band in movimento, ripresa durante il colpo di reni verso una nuova identità, “For The Sake Of Bethel Woods” è lo scatto in posa dei Midlake ritrovati che hanno metabolizzato il passato e sono entrati alla fase successiva.
23/03/2022