Tutta quella melassa rosa in copertina e un look da Punjabi-Barbarella? Raveena Aurora non fa prigionieri e il suo secondo album di studio giostra una femminilità cross-culturale zeppa di riferimenti e suggestioni spirituali da tipica millennial dedita all’arte del self care.
Nata in Massachusetts da una famiglia d’immigrati indiani fuggiti in America durante il massacro dei Sikh del 1984, Raveena ha assorbito le proprie dicotomie culturali come una spugna, creandosi attorno un personale immaginario giovanile, futuribile e rigoglioso di petali in fiore. “Asha’s Awakening” affonda le mani nel moderno r&b più sparso e psichedelico, come fanno tante altre colleghe americane da Jhené Aiko in giù, ma la diversa tradizione famigliare dell’autrice dona un’inedita tavolozza espressiva e produttiva.
Così, queste jam squisitamente bucoliche e funkadeliche vengono sottolineate da fili di sitar, battiti di tabla e meditativi mantelli di tastiere, colorando l’Occidente elettronico con punteggiature d’Oriente tradizionale. Ma “Asha’s Awakening” si dimostra ascolto pertinente soprattutto per la costruzione della forma canzone: leggera come aria ma spesso solida come carbonio, una serie di squisite miniature che riescono a bucare oltre l'indubbia leziosità dell’atmosfera.
Irresistibili quindi “Mystery”, “Rush” e “Kismet”, tre momenti di frizzanti e cantabilissimi ritornelli indie all’acqua di rose, ancor più spiritoso il ritratto di “Kathy Left 4 Kathmandu”. Su “Magic”, un ritmo di cumbia digitale dà modo a Raveena di fare le fusa con parca seduzione. C’è addirittuta Vince Staples a fare da controparte maschile al singolo “Secret”: un sensuale gioco di specchi che volteggia attorno a un ostinato elettronico timbalandiano. Il soul di Raveena è parco e solare - “Circuit Board”, per dire, è pura Corinne Bailey Rae.
Due intermezzi – il riflessivo spoken word di “The Internet Is Like Eating Plastic” e la meditativa apertura spirituale di “Arrival To The Garden Of Cosmic Speculation” – annunciano il cambio di rotta del lato B e il concept si fa più etereo. Ecco le arpe pizzicate di “Time Flies”, la liquida chitarra sotto riverbero alla Frank Ocean di “Love Overgrown”, i pigri raggi di sole di una “Endless Summer” e la nostalgia vintage di “New Drugs”: Raveena è più fatata e fluttuante che mai, a un passo quasi dall’inconsistenza, eppure sempre ancorata dentro al cuore delle proprie canzoni.
Chiude il disco “Let Your Breath Become A Flower”, una meditazione guidata dalla stessa autrice, qui trasformatasi in yogi dalla voce soffice come nuvole.
Ma Raveena riserva un’ultima sorpresa, capace di scaldare il cuore e farsi apprezzare proprio dal pubblico italiano di una certa età – che poi non sarebbe manco la sua audience di riferimento. Ricordate per caso un’altra cantante di origini indiane che trovò fortuna invischiandosi negli stilemi afroamericani del soul e del funk? Esatto, l’immensa Asha Puthli, favolosa Dea dell’era disco e oggi pacifica settantenne che qui raggiunge Raveena su “Asha’s Kiss”. Come sia stata ripescata la Puthli nel 2022 Dio solo lo sa, sta di fatto che il duetto tra le due non è nemmeno una canzone quanto piuttosto una coccola a ciel sereno a ritmo di tabla e sitar, un dialogo tra donne che costruiscono ponti e si tramandano amorevoli racconti di saggezza ancestrale.
Sono questi gli accorgimenti che fanno di “Asha’s Awakening” un album godibile anche al netto di ogni bucolica vaporosità di troppo. Un ascolto diafano e certamente molto – forse troppo – rilassante, eppure capace di mostrare una dialettica personale e una scrittura curata. Difficile trovare dischi del genere nel girone di riferimento, l’impressione è che Raveena abbia imboccato la strada giusta e quanto promesso dall’apprezzato debutto “Lucid” al momento non sia stato affatto tradito.
18/03/2022