E poi tornare a prendersi dei rischi
Tornare a Termini a comprare dischi
Oltre i veri o presunti fenomeni provenienti dalla Capitale si cela una scena, sicuramente più silenziosa e meno propensa all’hype social, impegnata da anni in un percorso autoriale solido e di qualità. Vedi ora Emanuele Galoni, il quale non è proprio di Roma (viene dalla provincia di Latina) ma la cui scena di appartenenza effettiva è questa.
I testi di “Cronache di un tempo storto” raccontano il quotidiano, la vita di tutti i giorni come nell’iniziale corsa in tram di “Patrimonio dell’Unesco”: “Dio salvi la rovina che ho davanti, sono meglio di un affresco, le storie dei passanti”. Intorno si palesano complottisti e drammi italiani, come il crollo del ponte Morandi in “Sui piani alti di un palazzo” e qualche squarcio romantico.
Il tono - della voce e dei versi - è vissuto, spesso agrodolce, lo sguardo si sposta dal personale al pubblico, con parole dirette e quotidiane ma sapientemente scelte in un lavoro testuale impeccabile, intento a raccontare gli ultimi cinque anni, da quando uscì il precedente “Incontinenti alla deriva”.
La letterarietà dai banchi della scuola dove insegna si sposta nelle canzoni, tra “The Road” di Cormac McCarthy (“Non devi aver paura di niente”) e riferimenti all’amato Bulgakov. Se poi ci soffermiamo sull'involucro sonoro (dove tra i musicisti troviamo Emanuele Colandrea, collega e compagno di tante battaglie sonore), il risultato è coinvolgente e ben strutturato, basti sentire il finale di “Le rovine di Pompei”.
28/05/2023