Joe Henry

La storia artistica di Joe Henry è un complesso archetipo del rapporto tra industria discografica, successo e artista.
Cantautore, produttore e chitarrista nato nella Carolina del Nord, Joe Henry ha conosciuto la notorietà grazie al Grammy vinto come produttore dell'album di Solomon Burke "Don't Give Up On Me", nonché come autore di "Don't Tell Me" portata al successo da Madonna (Joe è sposato con la sorella Melanie Ciccone), brano noto ai fan del musicista per la versione dello stesso autore inclusa in un episodio della serie "The Sopranos".
Più modesto invece il riscontro del Joe Henry musicista, in parte per la scelta dell'artista di concentrare l'attenzione più sulle radici della musica americana - folk, blues, country, jazz - con una produzione discografica contrassegnata da una coerenza artistica lodevole, ma non sempre baciata dal successo.

Joe Henry è uno dei pochi autori che ha rivoluzionato il ruolo di songwriter, svincolandosi da molti cliché della musica folk e country americana. Le sue canzoni sono intrise di sentimenti come dolore, speranza, solitudine e condivisione, una narrazione non sempre facile e priva di slanci emotivi trascinanti. Sono i dettagli quelli che rendono la musica di Joe Henry unica, e non sorprende dunque la lunga lista di collaboratori che anima "All The Eye Can See", ognuno di essi funzionale alla profonda e colta visione musicale dell'autore: Patrick Warren, David Piltch, Jay Bellerose, Levon Henry, Bill Frisell, Marc Ribot, Daniel Lanois, Allison Russell e Madison Cunningham.

Dopo aver raccontato la dura lotta contro un cancro alla prostata nel precedente album "The Gospel According To Water", il musicista mette in scena un outing emotivo ancor più profondo e personale. "All The Eye Can See" è l'album della consapevolezza della caducità umana e della necessità di condividere paure e ansie per poterle affrontare e sconfiggere.
Le canzoni sono armonicamente ricche, complesse, eppure ermetiche: quasi dei distillati di note. Gli arrangiamenti sono sobri, solenni, eppure evocativi e ricchi di suggestioni. Bastano il suono della fisarmonica e di una chitarra spagnoleggiante per essere catapultati in solitari paesaggi tardo-europei ("Song That I Know"), o un fingepicking gentile accordato su note malinconiche di archi e su un assolo di sax per sentirsi al centro di una rappresentazione onirico/teatrale ("O Beloved").
Questa catarsi emotiva nasce dalle sentite e poetiche interpretazioni di Henry. Il suo timbro vocale lievemente rauco e riflessivo è come un sussurro, un bisbiglio confidenziale che crea un legame intenso tra ascoltatore e musicista.

A volte le melodie sembrano avvolte dalla nebbia ("God Laughs") o cullate dal suono delle onde marine ("Mission"); il canto trova supporto ora nello struggente suono del violino ("Yearling") ora in desertiche sonorità blues che evocano Ry Cooder ("Karen Dalton").
A tanta poetica austerità melodica non manca qualche lieve slancio romantico, come nei casi dell'eccellente ballata orchestral-noir "Near To The Ground" e della melodia più contagiosa della title track, che non disdegna un trascinante assolo di sax. Il magico suono del sitar e un arrangiamento quasi psichedelico caratterizzano invece la più ambiziosa "Small Wonder", aprendo ulteriori nuove prospettive per il musicista americano.

"All The Eye Can See" è senza dubbio l'album più intimo e riflessivo di Joe Henry. Dopotutto è un disco nato dopo un'estenuante lotta contro il cancro e il susseguente isolamento causato dalla pandemia, ma c'è tanta speranza e voglia di andare avanti in queste tredici canzoni. Una serena consapevolezza che brani come "Pass Though Me Now" e "Kitchen Door" rendono quasi tangibili, nello stesso tempo comunicando all'ascoltatore che c'è molto di più in queste apparentemente fragili e meste canzoni.

13/03/2023