L'interesse per l'ordinario, per il quotidiano che riempie le giornate senza apparentemente dare spettacolo, appartiene da tantissimo tempo a compositori e più in generale musicisti di ricerca. Gli esempi sono dei più disparati: dai concretisti alla tranquillità domestica di Matthew Herbert, passando per le frequenze impazzite di Graham Lambkin e le recenti divagazioni su una lavatrice dei Matmos, la consuetudine della vita, i suoni che accompagnano le attività di ciascuno di noi diventano materiale plastico, forma da manipolare e sovvertire nello spazio e nel tempo, dotandola di significa(n)ti opportunamente diversi. Descritto dalla stessa Lia Kohl come inno al mondo sonoro ordinario, a quell'universo di rumori che forza orecchio e cervello a reagire in continuazione, "Normal Sounds" non tradisce il messaggio insito nel titolo e si offre quale commossa raccolta di vignette pescate da ogni dove, trattate con il riguardo e l'eloquenza che meritano. È proprio il modo con cui la violoncellista americana lavora con questi spunti che costituisce la vera differenza.
Più che nella sofisticazione, nel ribaltamento valoriale dei campionamenti utilizzati, Kohl li adopera pressoché in purezza, rivelandone il potenziale musicale pur nella loro nuda normalità. D'altronde, i titoli stessi dei brani, come già quello dell'album stesso, non mentono. Dai passi sul campo da tennis, passando per le istruzioni di sicurezza su un aeroplano e, perché no, il furgoncino dei gelati: è tutto immediatamente distinguibile, ciascun soggetto diventa il protagonista di un'operazione che la musicista porta avanti lavorando di fino, con assoluta attenzione a non invadere mai lo spazio d'azione. È piuttosto un gioco di potenziamenti, di assecondamenti di quanto gli interpreti dei sette brani naturalmente esprimono, in una straripante banalità che però è foriera di più profondi contenuti.
Più che gli impasti stranianti del precedente "The Ceiling Reposes", il tocco di questi suoni normali diventa un bouquet elettroacustico dal fortunato incedere melodico, individuato ora con divertito gusto contrappuntistico (l'allarme di un'auto che si inabissa in un prudente commento di violoncello), ora con docile subordinazione, enfatizzando incontri, giustapposizioni, finanche paradossi (il lento rollio dei synth, che cresce attorno al rapido avanzare del camioncino, nel mentre che la tempesta incombe).
In mezzo a virtuosi ostinati di violoncello, sagaci motivi fiatistici (il flauto di Ka Baird e il sassofono di Patrick Shiroishi nei rispettivi brani non passa affatto inosservato) e volatili impressioni sintetiche, il mondo umano sfavilla sotto una luce sorprendentemente poetica, emergono sottotesti che la fastidiosa ripetitività del quotidiano tende facilmente a mascherare. Forse la prossima volta restare imbottigliati nel traffico durante le ore di punta potrebbe addirittura rivelarsi un'esperienza estatica e, perché no, agguantare una bibita ghiacciata da qualche frigorifero in aeroporto potrebbe essere la più irresistibile delle avventure.
11/09/2024