Nel percorso di un producer arriva un momento in cui l'attenzione ai dettagli, elementi singolarmente effimeri ma nell'insieme capaci di elevare l'esperienza d'ascolto, assume un ruolo decisivo. In questo senso, l'esperienza non può che giocare a favore dei musicisti: un raffinato senso del ritmo, una perizia tecnica invidiabile ed ecco che i brani sembrano generarsi spontaneamente, privi di imperfezioni e con risoluzioni inaspettate, distanti dal canonico 4/4, stratificati al punto da sembrare una visionaria reinvenzione della poliritmia secondo i dettami cibernetici del nuovo millennio. Più melodico ma altrettanto cerebrale rispetto ai suoi lavori precedenti, "Studio" è l'ultima opera di Robert Henke, noto come Monolake e tra i massimi alfieri di Chain Reaction, leggendaria etichetta teutonica che, con il suo approccio sospeso tra imperante minimalismo, nebulose divagazioni dub e trame da sperimentazione elettroacustica, ha lasciato un'impronta indelebile su tutto ciò che è emerso nella club music dagli anni Novanta in poi.
Tra trame granulose di stirpe Autechre e guizzi armonici che, in qualche modo, evocano un rimescolamento della poetica dei Kraftwerk (basti pensare a "Red Alphonso"), il full-length si dipana attraverso dieci episodi di sbalorditiva maestria tecnica, costruiti con la precisione che solo un veterano può garantire. Resta tuttavia incerto se le idee dietro la meticolosità del sound design siano potenti quanto quelle di lavori come "Hongkong" e "Interstate", come se quella grandiosità liquida e futuribile fosse stata sostituita da un grado di maturità che, pur risultando inattaccabile, una volta concluso l'ascolto forse non lascia lo stesso retrogusto di compiutezza, di aver attraversato un'opera impalpabile e al contempo visceralmente tangibile, torbida e al tempo stesso ipnoticamente avvolgente.
Difficile lamentarsi, comunque: "Cute Little Aliens", con i suoi implacabili astrattismi, suona come un esperimento pseudo-trance dalle tinte fosche. E, per gli italiani, impossibile non menzionare "Global Transport", con i suoi campionamenti del servizio ferroviario nazionale ("è diretto a Bologna Centrale…"), che si rivela anche uno degli episodi più orecchiabili del lotto, divertente ma la cui anima offre il più delle volte tracciati già familiari. Ed è forse proprio qui che risiede il limite dell'album: il viaggio di un maestro che della sua filosofia ha già raccontato molto, una raccolta di dettagliate texture su intuizioni non altrettanto luminose. Forse, però, questo è l'inevitabile percorso di ogni artista che, con pochi dubbi, ha ormai raggiunto la piena evoluzione artistica.
06/02/2025