Ornette Coleman

This Is Our Music, la rivoluzione impertinente del free jazz

Nel febbraio e marzo 1958 Ornette Coleman registra il suo primo Lp, suscitando non poche polemiche per il nuovo genere di jazz che introduce al pubblico. Appassionati e musicisti reagiscono con stupore e spesso con indignazione allo stravolgimento di un caposaldo teorico che regolava le improvvisazioni jazzistiche da più di trenta anni: il rimanere legati a progressioni e cambi di accordi prestabiliti durante gli assoli improvvisati dai vari strumenti. In questo modo assume forma compiuta il jazz d’avanguardia, per il momento appunto limitato quasi esclusivamente alla sovversione delle modalità solistiche. Il musicista texano ne sviluppa le potenzialità a New York negli anni successivi, incidendo numerosi ottimi brani con il suo primo quartetto. Nel luglio e agosto 1960 (a trenta anni) viene impresso su vinile il suo quinto lavoro in soli due anni e cinque mesi: “This Is Our Music”, sette composizioni (sei jazz d’avanguardia e un free jazz) per un totale di circa trentanove minuti. Da queste session, peraltro, derivano numerosi altri pezzi che saranno poi pubblicati nel corso degli anni 70 su preziose raccolte.

La formazione che qui accompagna Coleman (sassofono alto) è quasi la stessa con la quale aveva iniziato la sua coraggiosa avventura nel ’58: Charlie Haden al contrabbasso e Don Cherry alla pocket trumpet (una tromba di ridotte dimensioni e dal suono leggermente addolcito e attenuato rispetto al modello normale dello strumento). Si verifica però una sostituzione alla batteria: Ed Blackwell subentra all’eccellente Billy Higgins poco prima della realizzazione di questo album, apportando uno stile percussivo più singolare e insolito e concedendo un ventaglio di soluzioni ancora più ampio alle rivoluzionarie idee di Coleman. Questa modifica, pur lasciando invariata la qualità complessiva della band, consente un approfondimento di quella ricerca musicale che proprio in “This Is Our Music” conduce alla sua destinazione più importante: la nascita del genere free jazz.
Si tratta di una transizione molto importante per la storia del jazz. Essa è contraddistinta dall’abbattimento di ogni struttura predeterminata (ritmo, forma definita delle composizioni etc.) a vantaggio di una libertà pressoché totale che privilegia le emozioni immediate e le melodie rispetto alla costruzione di un arrangiamento coerente e organizzato. Inoltre, viene meno la separazione dei ruoli tra lo strumento solista e quelli che lo accompagnano, in favore di un egualitarismo sonoro nel quale tutti contribuiscono senza distinzione gerarchica né percorsi prestabiliti da seguire. In estrema sintesi e semplificando il concetto, gli esecutori non sanno precisamente quale sarà lo schema costitutivo del brano che si apprestano a suonare né secondo quali direttrici dovranno interagire tra loro.

Alcuni mesi dopo le registrazioni delle quali stiamo parlando, dunque nel dicembre 1960, lo stesso quartetto guidato da Coleman registrerà l’Lp “Free Jazz”, codificando ufficialmente il genere che è qui anticipato informalmente dalla traccia numero due: “Beauty Is A Rare Thing”. Composta da Coleman, come tutte le altre presenti in questo disco (meno “Embraceable You”), essa è anche l’episodio più lungo di un vinile che nel complesso offre brani della durata media di 4-5 minuti. In questo pezzo scompare il rispetto stringente delle funzioni che i singoli strumenti svolgevano sia nell’hard bop, il genere di jazz dominante all’epoca, che nel jazz d’avanguardia (l’ultima frontiera allora raggiunta dalla sperimentazione).
La batteria, suonata con martelletti (mallets, in inglese), cessa di tenere il tempo per intraprendere misteriose escursioni autonomamente determinate. Il contrabbasso non scandisce più le battute, descrivendo tenui volte sonore dai colori scuri con l’uso di un archetto da violoncello e occupando con il suo suono onirico ciò che prima era un accompagnamento pianistico ben ritmato e nitidamente impostato. Il sassofono alto del leader accenna un tema iniziale dal quale inizia a raccontare il sentimento evocato dal titolo con segni astratti e melodici nello stesso tempo. La pocket trumpet di Cherry è delicata, spensierata e solare nel dare seguito alla narrazione, prima di congiungersi al sax di Coleman in un dialogo pacato che si conclude con la succinta ripresa del tema finale.
Come prima testimonianza compiutamente free jazz mai pubblicata, “Beauty Is A Rare Thing” rappresenta una svolta di grande rilievo per il jazz, resa ancora più notevole dal fatto che questo pezzo è una ballad, in opposizione alla maggioranza del free jazz che seguirà, frequentemente basato su una maggiore velocità.

Ornette Coleman - This Is Our Music



Le altre sei tracce appartengono invece al jazz d’avanguardia. Ciò è determinato dalla coesistenza tra improvvisazioni solistiche affrancate dall’adesione a regole prefissate e la sezione ritmica nella sostanza ancora legata alla linearità dell’hard bop. Va aggiunto però che in questi pezzi possiamo scorgere non pochi indizi del free jazz esposto apertamente soltanto in “Beauty Is A Rare Thing”. È il caso di “Folk Tale”, dove ravvisiamo un tema (iniziale e finale) estremamente complesso, con ripetuti cambi di ritmo e di sfaccettature melodiche. Per di più, il movimentato assolo di Coleman denota un elemento che caratterizzerà fortemente il free jazz: la linea disinvolta del sassofono alto rallenta progressivamente durante il proprio assolo, seguito immediatamente da batteria e contrabbasso (dal minuto 1.30 al minuto 2.04), per poi ripartire alla velocità precedente. Questo estemporaneo mutamento di andatura, posto al centro di una improvvisazione, era impensabile nell’hard bop o nel cool jazz del 1960 e costituisce un espediente che verrà riprodotto da molti artisti free jazz fino ai nostri giorni.
In maniera simile, possiamo notare come in “Embraceable You” contrabbasso e batteria si facciano temporaneamente più vivaci (dal minuto 2.57 al 3.17) mentre il sassofono alto continua il sentiero dolcemente sinuoso del suo assolo. Infine, anche “Kaleidoscope” ci offre un esempio di questa variazione alla costanza del ritmo durante gli assoli: dal minuto 3.51 al minuto 4.13, Haden e Blackwell diminuiscono l’andatura dei loro strumenti, mentre Cherry mantiene invariata la sua corsa frenetica e suggestiva.
Anche “Poise” presenta in forma embrionale una caratteristica che contraddistinguerà il free jazz negli anni a venire: la sovrapposizione di più strumenti contemporaneamente impegnati in assolo. Lo possiamo constatare nell’improvvisazione di Coleman, lungo la quale interviene a più riprese Cherry attraverso commenti discreti che fanno da eco alle frasi espressive e audaci del sassofonista. In “Kaleidoscope” assistiamo, analogamente, a due assoli che si intrecciano tra loro, il sax alto e la pocket trumpet, generando la parodia di un diverbio animato da note brevi, acute e litigiose (dal minuto 4.56 al minuto 5.22).

In questo album compare l’unica cover (“Embraceable You”) che Coleman si concede negli undici Lp che raccolgono il materiale di questa prima e fondamentale fase della sua carriera. Il pezzo (classificabile come “pop colto”) è stato scritto nel 1928 da George e Ira Gershwin per il musical di Broadway “Girl Crazy” e qui viene interpretato sotto forma di ballad jazz d’avanguardia. Il tema diviene intangibile, da ricercare con cura nell’introduzione, mentre suoi frammenti vengono utilizzati dal sassofono alto per costruire una improvvisazione alquanto articolata e, al contempo, intrisa di lirismo. Coleman si dimostra così in grado di trasfigurare la tradizione rispettandone l’essenza, ma alterandone completamente l’aspetto formale, anche grazie alla duttile, sensibile e fantasiosa batteria di Blackwell (suonata ancora una volta con i martelletti).
Il quartetto non include il pianoforte, strumento molto diffuso nel jazz dell’epoca e trascurato da Coleman per tre motivi. Il primo è quello di assicurare un suono più asciutto e limpido alle composizioni. La seconda motivazione riguarda la possibilità di scambiare idee in modo più diretto tra i membri del gruppo. Il terzo e ultimo motivo tocca uno dei ruoli ricoperti dal piano nel jazz del 1960, spesso responsabile di fornire la successione degli accordi alla base di un brano, vale a dire ciò che la musica di Coleman stava provando a sconvolgere e rivoluzionare.

Oltre all’esclusione del pianoforte, a distinguere il jazz d’avanguardia che Coleman espone in “This Is Our Music” è anche l’uso dell’ironia, sia nei temi che aprono e chiudono le tracce sia nei suoi assoli. Un umorismo intelligente, trasmesso vividamente dal sassofono alto per mezzo di melodie in miniatura: vignette satiriche tratteggiate con sagacia nelle sue improvvisazioni, alle quali la nostra immaginazione è sollecitata a dare vita e contenuto.
Questo approccio sonoro all’ironia, prefigurato durante gli anni 50 da Thelonious Monk, diverrà dal ’59 una distintiva peculiarità della musica di Coleman. In questo disco, i fraseggi ingegnosamente spiritosi e talvolta impertinenti del sassofonista possono essere rintracciati, ad esempio, nel suo assolo in “Blues Connotation” (dal minuto 0.24 al minuto 3.18) o nei temi di “Folk Tale” e “Humpty Dumpty”.
Più in generale, tutto il vinile è soffuso dall’elegante humor musicale del sassofonista, discostandosene solamente per mettere in luce figure melodiche dove l’improvvisazione immediata e urgente sovrasta ogni altra considerazione (come in “Folk Tale” dal minuto 1.22 al minuto 1.35 oppure in “Humpty Dumpty” dal minuto 2.17 al minuto 2.40).
Coleman, che si riserva la maggior parte del tempo dedicato agli strumenti solisti, offre anche un tributo a Charlie Parker nella prima parte dell’assolo di “Humpty Dumpty” (dal minuto 0.53 al minuto 1.17), con un chiaro riferimento allo stile dell’eccelso sassofonista alto che all’epoca delle registrazioni era scomparso da sette anni.

Il leader delle session di “This Is Our Music” propone in esse il suo suono leggero, raffinato, riflessivo, ma insieme erratico, lunatico, in grado di attrarre ininterrottamente l’attenzione e la curiosità dell’ascoltatore con innovazioni stilistiche mai sentite prima. Nei suoi assoli la simmetria della linea melodica è soppiantata da un assetto irregolare, che modella note ed enunciazioni sonore secondo gli impeti interiori. Per questa via Coleman mette l’alfabeto hard bop, antecedente al suo arrivo sulle scene, al servizio di un linguaggio intrepido, accessibile nelle sue sfaccettature più melodiche e scintillante di passione rinnovatrice nell’effetto complessivo prodotto. Il suo modo di suonare il sassofono alto, già rivelatosi nei due anni precedenti, continua qui la sua opera rivoluzionaria e destabilizzante, affermando radicalmente la libertà di sensazioni e pensieri sulla disciplina di armonie e accordi. Inoltre, in questa prima fase del suo viaggio artistico, Coleman è dotato di un gusto esecutivo così limpido da risultare molto convincente e appassionante persino per i meno avvezzi a percorrere nuove strade nel jazz.

Don Cherry (ventitré anni nel 1960), riempie gli spazi lasciati liberi dal leader della band con una proprietà di espressione sbalorditiva per un genere, il jazz d’avanguardia, che era ufficialmente in circolazione da meno di due anni. Malgrado egli non intervenga, se non partecipando al tema, nella canzone più importante del disco (“Beauty Is A Rare Thing”), il suo lavoro solistico è complessivamente molto buono. Lo possiamo osservare nelle note brevi e irascibili che incontriamo nel nevrotico assolo di “Kaleidoskope” (dal minuto 3.18 al minuto 4.55), oppure nelle frasi suonate sul registro alto e improvvisamente troncate che imitano una sfuriata in “Poise” (dal minuto 2.52 al minuto 3.54). Tuttavia, la performance migliore del trombettista è contenuta in “Humpty Dumpty”, dove costruisce una sequenza di trascinanti improvvisazioni melodiche che sintetizzano uno stile profondamente originale dal suono terso, dal fraseggio agile e dinamico, dall’intonazione decisa, ma evocativa, deliziosamente stimolante e mai prevedibile.
Anche la sezione ritmica composta da Blackwell e Haden (rispettivamente trentuno e ventitré anni al momento delle registrazioni di questo album) merita una citazione. Entrambi si calano perfettamente nell’arduo processo creativo necessario allo sviluppo ritmico di nuovi generi di jazz. Circostanza, questa, per nulla scontata date le cadenze irregolari e costantemente mutevoli che attraversano parzialmente i sei jazz d’avanguardia e interamente l’unico brano free jazz del disco.
Abbandonando il tradizionale compito di scandire il tempo, essi rispondono con grande inventiva agli stimoli ricevuti da sax alto e pocket trumpet, modificando di volta in volta l’incedere dei pezzi in base alle circostanze sonore contingenti con flessibilità e prontezza. Un nuovo modo di intendere la sezione ritmica, elevata per la prima volta sullo stesso piano dei fiati, per il quale i due musicisti saranno famosi (e copiati) fino ad oggi. Se il contrabbasso si esprime al meglio nella indecifrabile morbidezza di “Embraceable You”, Blackwell si esibisce in quattro assoli crepitanti di idee (in particolare quello di “Poise”) e in diversi passaggi che ne esaltano l’estro (come in “Kaleidoscope” dal minuto 2.30 al minuto 3.06).

Con “This Is Our Music” il gruppo condotto da Coleman (con Haden unico membro non di colore) segna una tappa piuttosto rilevante nella storia del jazz, facendo da apripista per il genere free jazz e, contemporaneamente, dando un impulso decisivo al jazz d’avanguardia.
Fin dal titolo dell’Lp si evince l’intransigente coraggio dimostrato da musicisti senza compromessi, i quali sfidano arditamente i giudizi di critici conservatori e di un pubblico non ancora pronto ad accettare la rivoluzione sonora posta in essere dalla musica di Coleman.
La missione impavida portata a termine con successo da questa band produsse effetti spiazzanti sul panorama jazz dei primi anni 60, i quali tracceranno la strada successivamente seguita da innumerevoli artisti attivi in questo ambito. Un grande merito storico-musicale, derivante da tre sorgenti principali: la ragguardevole capacità tecnica della formazione; la dotta creatività di Coleman; le inedite sperimentazioni stilistiche che qui possiamo apprezzare nel loro dispiegarsi entusiasmante e piacevolmente disorientante.

24/04/2025