12/11/2003

Blur + Elbow

Alcatraz, Milano


Capita raramente che in un concerto il gruppo di supporto fornisca una prova più convincente del gruppo di richiamo. Eppure la sensazione che si ha a fine serata, svoltasi in un Alcatraz strapieno, è che gli Elbow abbiano dimostrato di saperci fare più dei Blur.
Nei tre quarti d'ora a loro disposizione, gli Elbow, band di Manchester, privilegiano i pezzi del primo lavoro, "Asleep in the back", rispetto all'appena uscito "Cast of thousands", ed ipnotizzano il pubblico con il loro campionario inconfondibilmente inglese che spazia dal pop acustico alla Turin Brakes ad un rock che ricorda Radiohead e Arab Strap. La loro esibizione è davvero ottima, senza fronzoli e in certi tratti emozionante.

Verso le 21,30 si presentano sul palco i Blur con una numerosa formazione (oltre ad Albarn, James e Rowntree ci sono anche un chitarrista, un tastierista, un percussionista e tre coristi) e vengono accolti con un boato dal pubblico, sul quale conviene spendere qualche parola: molto caloroso-fastidioso (barrare la casella desiderata a seconda dei punti di vista), molto giovane, pronto a scatenarsi quando scattano le canzoni più conosciute, più freddino quando vengono proposti i pezzi del nuovo album.
Ed è questo il motivo (credo) per cui il concerto, alla fine, delude un po': perché i Blur sanno che il loro pubblico vuole ballare e saltare, mentre apprezza di meno gli ultimi loro lavori, più complessi ed ai limiti dello sperimentale. Sarà per questo che i Blur danno ampio spazio alla loro anima più datata e giocosa (ma anche più sorpassata): sono molti, troppi, i pezzi che provengono da "Parklife" e "Modern life is rubbish", ed il pubblico gradisce, ma viene da chiedersi se tutto ciò non sia un passo indietro. Sì, perché la scaletta si fonda troppo sulla grande confusione di "Girls & boys" (il pezzo più apprezzato dal pubblico) e sulle vecchie canzoni che erano i pezzi portanti dei loro concerti già dieci anni fa ("End of a century", "Badhead", "To the end", "This is a low", "For Tomorrow"...). In questo grande revival risultano annacquate anche le canzoni dell'ultimo album "Think Tank", spesso snaturate e appiattite, fatta eccezione per alcuni ottimi momenti come "Ambulance", "Battery in your leg" e "Out of time".

Insomma, i Blur danno l'impressione di non essere riusciti (o di non averci proprio provato?) a rinnovarsi completamente nella dimensione live e di aver già fatto cadere nel dimenticatoio i pezzi che avevano composto i loro dischi migliori: solo "Song 2" e "Beetlebum" da quel calderone di belle trovate che era "Blur", e solo l'interminabile "Tender" e "Trimm trabb" (la migliore della serata) da un disco oscuro e affascinante come "13".
E' per questo che mancano i momenti che sarebbero potuti essere più imprevedibili ed interessanti anche se, a onor del vero, l'unica maniera in cui i Blur hanno mostrato di poter allungare e modificare i propri pezzi è parsa quella, troppo facile, di picchiare forte sulla batteria e di fare un gran baccano con la chitarra negli ultimi due minuti: un po' poco per una band che negli ultimi anni aveva avanzato pretese di innovazione e di distaccamento dall'immagine di semplice gruppo brit-pop (sorge anche il sospetto che manchi molto Coxon, il più stralunato ed estroso della band).

Se si prende una direzione netta, è bene che si rispettino gli impegni presi, onde evitare di ibridare il proprio repertorio e scontentare entrambe le tipologie di pubblico: quelli attirati dagli scanzonati Blur degli esordi e quelli che si sono avvicinati solo ultimamente, incuriositi dai loro ultimi singolari lavori.
Comunque sia, alla fine è un trionfo e il concerto è ineccepibilmente buono: per tutto il tempo Damon Albarn, per la gioia dei presenti, si mette in mostra e in molti pezzi si battono le mani e si canta a squarciagola. Si va via contenti, ma non del tutto: resta l'amaro in bocca per aver capito che si potrebbe fare di più. Basterebbe solo volerlo.

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