Raggiungiamo Alessandro Cortini a ridosso dell’uscita del suo nuovo album, "Volume Massimo". Un incontro nel quale il producer bolognese racconta la genesi della sua musica, la prossima tournée, le passate collaborazioni e il rapporto con le macchine, con alcuni consigli essenziali ai giovani in procinto di avvicinarsi al meraviglioso e complicato mondo dei sintetizzatori.
“Volume Massimo”: da dove nasce la scelta di questo titolo?
Durante la preparazione del disco, mentre ascoltavo le varie tracce in cuffia dal mio smartphone, mi sono accorto che non potevo alzare più di tanto il mio volume. E così, oltre a una certa preoccupazione per lo stato di salute del mio udito, ho realizzato di aver perlomeno trovato un titolo perfetto per l’album.
“Avanti” gode di tratti più autobiografici, che qui non troviamo. Quali sono le differenze con “Volume Massimo”?
“Volume Massimo” inizia dove finisce “Avanti”, perché “Amore Amaro”, ad esempio, è un pezzo scritto per “Avanti”, ma non funzionava molto in quel momento, e così l’ho conservato per il futuro. La differenza sostanziale è che questo è un disco in cui ho cercato di utilizzare più di uno strumento. “Avanti” è basato su uno strumento unico e una registrazione dal vivo, mentre su “Volume Massimo” troviamo una collezione di pezzi suonati su più di uno strumento. Poi c’è anche la chitarra. E’ di certo un lavoro in cui mi sono trovato più a mio agio nello studio, quindi anche nel trovare strumenti che abbiano una connessione a livello di timbro sonoro, e farli lavorare assieme, così come utilizzare la chitarra, che tra l’altro è stato il mio primo strumento. Sono riuscito a tornare in un punto in cui la chitarra è utilizzata come una sorta di sintetizzatore, invece di essere quello che è stato per anni solo un modo per arrivare all’irraggiungibile Steve Vai, soprattutto quando avevo quattordici anni.
Una tournée europea con tre tappe italiane: Bologna, Venezia e Roma. Come stai preparando il tutto e cosa dobbiamo aspettarci dal tuo nuovo show?
“Volume Massimo” dal vivo è una rappresentazione esponenziale della sua versione in studio, intendo come piattaforma sonora. Abbiamo aggiunto un aspetto visivo che permette all’ascoltatore di trarre la stessa esperienza emotiva deducibile dall’album. Abbiamo lavorato con diversi registi per contenuti a seconda dei pezzi. Sono video che hanno una storia, ma il cui significato è interpretabile a seconda dell’ascoltatore. E’ una presentazione a più dimensioni di quello che è l’album in sé.
Titoli ancora una volta in italiano: perché?
Mi sono sempre venuti in italiano. A parte “Let Go”, che si chiama così perché la stessa frase nel pezzo è modificata con la tecnica speech synthesis, certi giochi di parole, come “Amore Amaro” e “Amaro Amore”, nascono perché entrambi i brani sono fatti con lo stesso strumento e fanno parte della stessa patch del sintetizzatore. Sono state solo suonate poi in maniera differente. Quindi a monete sono estremamente connesse tra loro.
Trent Reznor, Lawrence English, e Merzbow: chi ti ha lasciato di più?
Ognuno a suo modo ha lasciato qualcosa di indimenticabile. English è un grandissimo amico ed è stata una collaborazione molto spontanea, registrata e ascoltata tre anni dopo; Merzbow è un idolo del noise, ed è stato un sodalizio rapido, ci siamo scambiati i file, poi un giorno ci siamo trovati a suonare assieme a Tokyo. Con Trent è stata un’esperienza più lunga, e più variegata, contraddistinta da diversi sviluppi negli anni, tra andate e ritorni, uscite ed entrate, e chiaramente ha marcato la mia persona, nel bene e nel male, sia a livello musicale che umano.
Nella musica di oggi, i sintetizzatori sono sempre più sulla cresta dell’onda. Ebbene, cosa diresti a un giovane che si avvicina per la prima volta al meraviglioso e complicato universo delle macchine?
Non guardare assolutamente niente su YouTube, entra in un negozio, dirigiti verso lo strumento che ti attrae di più a livello visivo, mettiti le cuffie e suonalo. Se c’è una connessione, allora è quello giusto. Ecco, la connessione umana diretta con la macchina è più importante di qualsiasi informazione tecnica e informatica che tu possa fare nella ricerca di uno strumento. La musica è basata interamente sull’istinto creativo e su un rapporto di attrazione della macchina, e questo si sviluppa solo se tralasci il rumore che c’è fuori e ti metti faccia a faccia con lo strumento che ti attrae. Non c’è una macchina da raccomandare. Per me fu il Buchla, con anni di travaglio finanziario. La gente crede che uno debba essere ricco per acquistare queste cose qui. Ma in realtà sono il frutto di scelte mirate. Magari non hai una casa o una macchina e indirizzi le tue scelte sull’acquisto di cose che ti possono rendere felice. Poi ci sono anche strumentazioni più economiche, penso soprattutto a “Sonno” e “Risveglio”, creati con una Roland MC-202, trovata usata a poche centinaia di euro: una macchina con cui mi sono trovato molto connesso, il cui sequencer rotto è risultato alla fine molto efficace. Una relazione personale non influenzata dall’esperienza di fare una ricerca esterna è molto importante per formare una propria identità musicale, perché alla fine le cose più belle sono quelle istintive, quelle che nascono senza pensarci troppo. La scintilla deve nascere da questo rapporto, tipo un bambino con il suo giocattolo.
C’è un’esperienza che ti ha ispirato più di altre nella genesi di questo tuo lavoro?
Faccio musica tutti i giorni, registro sempre, e queste composizioni si ritrovano nella varie cartelle del mio Pc. Alcune si connettono ad altre, come i pesci che nuotano vicino ad altri in banchi, e altre no. A volte sono pezzi che a distanza di anni prendono forma assieme, ricongiungendosi in un senso specifico. Molti pezzi di “Volume Massimo” c’erano già da tempo. Alla fine ho deciso di orchestrarli come un album, dando una mano finale di vernice al tutto. Non c’è una scintilla primordiale, l’album in sé è la scintilla primordiale.
La copertina è stata creata da Emilie Elizabeth e Raki Fernandez. Emilie è anche tua moglie. Raccontaci com’è nata questa cover.
E’ stato un esperimento. Non avevamo mai lavorato assieme, essendo lei è una fotografa di moda. Emilie ha sempre lavorato negli Stati uniti, e quando ci siamo trasferiti a Berlino, direi che sia riuscita a staccare da quell’ambiente di fotografie e di moda più automatizzato, per dedicarsi di più a collaborazioni creative a fin di arte, che un po’ mancavano negli States. Inizialmente, avevo delle idee molto vaghe sulla copertina di “Volume Massimo”. Pensavo a questo grosso apparato sulla testa che potesse ricordare un altoparlante, qualcosa che rimandasse agli Art of Noise o alle copertine di Grace Jones. Ebbene, ho indicato a Emilie tali suggestioni e lei poi ha creato magnificamente il tutto. Sono molto contento perché tutto avrebbe potuto definire sia la nascita che la fine del nostro matrimonio (sorride). Si parla sempre di arte e io sono molto emotivo. E’ molto semplice per me perdere la pazienza, non necessariamente diretta alla persona dinanzi a me, ma in generale. Lei essendo americana questa cosa non l’ha ancora capita... (sorride).
Forse 1(Important, 2013) | ||
Forse 2(Important, 2013) | ||
Sonno (Hospital Productions, 2014) | ||
Forse 3 (Important, 2015) | ||
Risveglio(Hospital Productions, 2015) | ||
Avanti(The Point Of Departure, 2017) | ||
Volume Massimo (Mute, 2019) | ||
Scuro chiaro (Mute, 2021) |
Stambecco | |
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