Anika è una femme fatale dalla voce suadente e intrigante. Di origini anglo-tedesche, ancor prima di diventare musicista era una giornalista freelance in continuo spostamento tra Bristol e Berlino. La favola dell'algida Anika ha avuto inizio dall'incontro casuale con Geoff Barrow, proprietario dell'etichetta Invada nonché membro fondatore dei Portishead. Dal sodalizio artistico ne è scaturito uno dei debut-album più promettenti di questi ultimi anni, ricco di nostalgie retrò sixties e arrangiamenti claustrofobici post-punk infarciti di dub, distorsioni e riverberi. L'equivalente cinematografico sarebbe "Blue Velvet" di David Lynch.
L'abbiamo intervistata a Londra in occasione del festival I'll Be Your Mirror organizzato dai Portishead. Misteriosa, carismatica, affascinante: eccola!
Prima di diventare una musicista ti occupavi di politica lavorando come giornalista. Qual è stata la molla che ti ha spinto a intraprendere questo percorso?
Scrivo canzoni da quando avevo tredici anni e la mia passione nel raccontare avvenimenti mi ha spinto anche verso la carriera di giornalista. Ho iniziato a lavorare all'interno del music business molto presto, fin da quando avevo quindici anni. Successivamente mi sono interessata alla politica e ho incentrato i miei studi universitari sul giornalismo pur continuando, allo stesso tempo, a rimanere all'interno del settore della musica. A Cardiff lavoravo come manager e promoter per una piccola etichetta musicale indipendente, ma sono rimasta così delusa e arrabbiata nei confronti dell'ottusità dell'ambiente della musica, che ne sono uscita immediatamente, rituffandomi nella politica, pensando che la musica dovesse rimanere solo un hobby e nulla di più. Mi irritava particolarmente il fatto che l'industria musicale avesse una strategia rivolta essenzialmente verso prodotti fast food senza nessuna propensione al rischio. Ma questo periodo così turbolento per me è stato (incredibile ma vero!) lo stesso in cui ho inciso il mio primo disco. Ho incontrato Geoff Barrow e con lui ho trovato immediatamente un'intesa musicale e ideologica. Questa è stata la molla che mi ha fatto ritornare all'interno della musica e seguire, in questo modo, la mia grande passione.
Hai registrato il tuo disco d'esordio in soli dodici giorni. Nei primi anni Sessanta poteva essere la normalità ma nel 2011, in cui si cerca la produzione perfetta, è un periodo veramente breve. Puoi dirmi com'è andata?
La cosa di cui sono maggiormente fiera è stata quella di aver fatto questo lavoro nell'immediatezza e nella spontaneità. E alla fine le canzoni sono venute fuori esattamente come noi volevamo che fossero. Ci siamo affidati maggiormente al nostro istinto invece che inseguire una produzione perfetta, pulita e ragionata. Molti artisti oggi tendono a correggere ogni minima imperfezione, ma noi non l'abbiamo fatto, lasciando fluire liberamente le nostre idee e le nostre vibrazioni. Penso che questo sia ciò che rende questo lavoro così speciale.
Come sono nate le canzoni del disco?
È stata un'esperienza veramente esaltante. Come metodo di lavoro, abbiamo deciso di fare tre take per ciascun pezzo. Tutte le volte pensavo che l'ultimo take fosse il migliore, ma Geoff mi faceva notare come il primo fosse quello giusto in quanto, sebbene contenesse più imperfezioni, aveva in sé una maggiore energia e una sorta di genuinità. E aveva ragione: nella prima versione, infatti, mi sono accorta che avevo seguivo maggiormente il mio istinto mentre la terza era quella più ragionata, in cui già pensavo a come l'avrei dovuta proporre dal vivo.
Cos'è cambiato in te durante quest'anno?
Ho sempre lavorato dell'industria musicale nel background, cioè dietro la scena. Adesso la cosa è completamente differente in quanto mi trovo dal'altra parte della barricata e ho dovuto imparare in fretta come essere un musicista professionista.
Come sta andando con l'Invada Record?
E molto stimolante lavorare per un'etichetta indipendente e, in particolare, con Geoff Barrow, con il quale sono perfettamente in sintonia, sia per quanto riguarda i gusti musicali che sulla visione, più in generale, dell'ambiente musicale.
A quale canzone del tuo album ti senti più legata?
Penso quella che ho composto interamente, intitolata "No One's There". Mi piace particolarmente anche "Officer Officer", la cui versione sul disco è sicuramente più immediata di quella che, invece, sono solita eseguire dal vivo.
Hai già iniziato a scrivere qualcosa per il nuovo album?
In questo momento sto scrivendo molto materiale per il mio prossimo lavoro. Volevo che non fosse il seguito del disco precedente e, per questo motivo, ho preferito fermarmi un po' per rendermi conto di quale strada volessi veramente percorrere. Proprio ieri abbiamo fatto alcune registrazioni e ne sono rimasta estremamente soddisfatta, perché sento che la via intrapresa è quella giusta.
Cosa ne pensi della scena musicale alternative inglese?
Per noi questo è un periodo musicalmente molto creativo con ottimi artisti emergenti e con interessanti etichette indipendenti. Peccato che l'Inghilterra sia una delle nazioni più difficili per le band che vogliono intraprendere un tour, visto che offre loro ingaggi tra i più bassi in Europa. Cosa veramente paradossale se si pensa a quanta buona musica alternative c'è adesso in giro. Perfino la Spagna, che è nel bel mezzo di una crisi economica, riserva una maggiore attenzione per le band che intraprendono un tour nel loro paese.
A proposito di tour, come stai vivendo la tua dimensione live?
Dal vivo posso comunicare al pubblico tutto quello che nella vita normale generalmente non mi riesce di fare, essendo una persona molto riservata e introversa. E così aspetto il momento di entrare sul palco per poter esprimere tutta me stessa.
Cosa pensi della crisi che ha colpito il mercato musicale?
Tengo a precisare che non si tratta di una crisi di creatività quanto, piuttosto, di incapacità da parte del music business di dare visibilità a prodotti di qualità. L'industria pensa di poter produrre qualsiasi cosa finendo per prendere in giro i consumatori. Si crogiola dietro prodotti scontati, che non lasceranno nessuna traccia nel lungo periodo, proponendoci cose già ascoltate troppe volte senza nessuna propensione all'originalità, anche a costo di rischiare un minimo. Nel cinema, a Hollywood, sta accadendo la stessa cosa. Usano dei bravi attori come specchio per le allodole per film di pessima qualità. Ho visto recentemente il film "Larry Crowne" con Julia Roberts e Tom Hanks e non c'era da meravigliarsi che la sala fosse semivuota, perché la trama era orribile.
Un disco deve essere, invece, il frutto di idee valide e originali. In questo contesto, ritengo che la propensione all'innovazione sia fondamentale. Ci si può realizzare musicalmente pur non raggiungendo un successo commerciale degno di nota. Magari alcune band non riusciranno a sfondare ma saranno, comunque, importanti perché avranno contribuito a generare nuovi percorsi e nuova linfa vitale per la musica.
Quale opportunità ritieni possano provenire dalla rete (Facebook, Myspace, Bandcamp)?
Di positivo c'è il fatto che internet apre moltissime porte a nuovi musicisti. Dal lato consumer, penso che il libero accesso al download sia un fattore negativo in quanto ha tolto alla gente l'abitudine e il piacere di comprare un disco.
Cosa ne pensi del festival I'll Be Your Mirror?
Ciò che mi piace veramente è lo spirito così coeso di questo festival, che si riallaccia direttamente all'idea di musica che c'era negli anni Sessanta, quando il rock era un solo genere (e non progressive, glam, hard-rock, etc...) e il pubblico era, anch'esso, uno solo. Geoff Barrow è stato molto abile nel riunire diverse espressioni musicali che non fanno altro che testimoniare come il rock abbia in sé diverse anime ma, in fondo, sia una sola cosa.
C'è qualche artista di questo festival che ti piace particolarmente?
Si, una band chiamata S.C.U.M. Ieri, tra l'altro, ho assistito all'esibizione di PJ Harvey ed è stata fantastica.
Quale è la cantante che ti ha maggiormente influenzata?
Billie Holiday, per il suo modo di cantare così profondo e per le liriche così struggenti e intimiste.
C'è stato un periodo particolarmente significativo per te nella storia della musica?
Non penso ci sia un periodo specifico, in quanto la musica si evolve continuamente e ogni epoca ha contribuito in qualcosa alla sua crescita.
Pensi di venire anche in Italia entro quest'anno?
L'Italia è uno dei pochissimi paesi in Europa dove ancora non sono stata e dove vorrei esibirmi. Siamo in tutto sette persone e non è facile trovare un ingaggio dalle vostre parti.
Beh...almeno in questo non siamo secondi nemmeno all'Inghilterra!