A tre anni di distanza dal bellissimo "The Stars at Saint Andrea", tornano i Dévics con un nuovo, commovente disco: "Push The Heart". Mi giunge all'orecchio che Dustin O'Halloran passerà alcune ore a Milano prima di tornare negli Stati Uniti e ho cercato di non lasciarmi sfuggire l'occasione di chiacchierare un po' con lui.
Immagino che potremmo fare tranquillamente questa conversazione in italiano.
Forse in inglese è meglio…
So che ora vivi a Faenza.
Be', vivo tra due città ora: torno a Los Angeles molto spesso.
Come avete lavorato, tu e Sara, a questo nuovo disco?
Con questo disco abbiamo avuto una separazione maggiore. Abbiamo cominciato a scriverlo separatamente, poi Sara è venuta in Italia per un po', quindi siamo tornati a Los Angeles per effettuare alcune registrazioni e a San Diego per altre registrazioni insieme a Pall Jenkins dei Black Heart Procession. Poi siamo tornati qui e ne abbiamo fatte altre. Sono stati dei posti letteralmente molto diversi tra loro. Abbiamo cominciato a pensare alle canzoni in maniera autonoma.
È stato semplice lavorare in questa maniera?
Sai, non abbiamo mai vissuto la stessa situazione perché la vita si evolve. Ora passo moltissimo tempo qui. È sempre diverso. Questa volta è stata un po' una sfida perché è stata la prima volta che passavamo tanto tempo così distanti, ma penso che ci siano aspetti sia positivi che negativi in ogni nuova situazione in cui lavoriamo.
In passato, con i nostri primi due dischi, arrangiavamo le canzoni con il gruppo e poi le registravamo, ma con questo disco è stata la prima volta che scrivevamo e le registravamo allo stesso tempo.
Possiamo quindi dire che " Push The Heart " ha avuto un concepimento difficoltoso, eppure trovo che le atmosfere del disco siano "fluide" e lineari. È stato semplice arrivare ad avere questo risultato?
Assolutamente no. Questo è stato probabilmente il disco più difficoltoso che abbiamo mai registrato.
Per questo disco volevamo che fossero coinvolte molte persone, ma appena lo abbiamo terminato, Sara e io abbiamo deciso di continuare a lavorarci su. Non ci sembrava che suonasse come doveva, non "fluiva" nel modo giusto, quindi abbiamo tolto alcune canzoni e abbiamo deciso di scriverne delle altre e affrontarle in maniera molto più intima: alla fine eravamo solo Sara e io. Le ultime due canzoni che abbiamo scritte per il disco, "Come Up" e "Salty Seas", sono molto intime e infatti siamo solo noi due. Abbiamo tentato di farle il meno complicate possibile, di arrivare veramente al cuore della canzone. Penso che alla fine abbiamo ottenuto questo risultato, ma abbiamo impiegato un po' per arrivarci.
Sembra quasi avessi un processo di registrazione molto chiaro in mente.
Sai quello che vuoi ottenere, ma il modo in cui poi viene fuori è sempre diverso (sorride).
Il primo giorno in studio a San Diego con Pall, abbiamo avuto tantissimi problemi con il computer. Avevamo una settimana per registrare e nel momento in cui abbiamo avuto problemi tecnici, l'intero processo si è fermato: perdi tempo e questo cambia anche il modo in cui suoni. Non va mai come pianifichi.
"Push The Heart" è un titolo delizioso. Il cuore di chi dovremmo spingere e perché?
L'interpretazione è libera… Nell'area tra Bologna e Firenze c'è questa splendida cascata in un paese che si chiama Premilcuore. La traduzione in inglese è molto differente da quella che potrebbe essere in italiano, ha un significato completamente diverso.
Dall'altra parte, ci sembrava che molte delle tematiche in questo disco fossero quelle di esporsi ed evolvere. Si parla molto d'amore, ma in maniera assolutamente positiva, forse addirittura più speranzosa. Ci sono diversi significati e mi sembrava una bellissima frase perché può essere interpretata in tantissimi modi.
Mi ha fatto piacere, ma mi ha anche sorpreso, sapere che avevate firmato un contratto con la Bella Union. Avevate la vostra etichetta discografica, cosa vi ha portato a firmare un contratto con un'altra etichetta?
Quando abbiamo registrato i nostri due primi dischi, abbiamo dato vita alla nostra etichetta e cercare di fare tutto, sai, è davvero troppo impegnativo. È già abbastanza dura essere un gruppo indipendente, ci sono moltissime cose che devi fare per conto tuo e tentare di portare avanti anche un'etichetta era come seguire due strade diverse. Se vuoi seguire bene una delle due, devi investire molta energia. Ci sembrava avesse più senso avere qualcuno che si occupasse di pubblicare i dischi, così noi potevamo concentrarci meglio sul fare musica.
Sapere che il vostro disco non sarebbe stato pubblicato dalla vostra etichetta, ma da quella di qualcun altro vi ha portati ad avere un approccio diverso con lo scrivere le canzoni e con la loro registrazione?
Non lo influenza affatto. Probabilmente uno degli aspetti maggiori di come una produzione possa essere influenzata è quello di quali mezzi hai a disposizione per registrare, se decidi di andare in un nuovo studio che potrebbe essere costoso… Abbiamo fatto più "registrazioni domestiche" e questo è qualcosa che abbiamo cominciato a fare con il nostro ultimo disco.
Mmmhh… Forse era una domanda stupida.
No, non era una cattiva domanda. Riceviamo un aiuto dalla Bella Union, ma è ancora un'etichetta indipendente, quindi dobbiamo affidarci all'home-recording e provvedere al budget per le registrazione. Sicuramente questo influenza come concepisci il disco.
La vostra musica può essere ben associata alle immagini e so che avete lavorato su alcuni film.
Sì, proprio recentemente ho realizzato un disco solista per piano grazie al quale Sofia Coppola mi ha chiesto di scrivere alcune canzoni per il suo nuovo film, "Maria Antoniette". È stato entusiasmante perché lei è una grande regista. È stata un'ottima opportunità e il film è meraviglioso.
Il mio interesse nei confronti del cinema è sempre stato molto forte e vorrei esserne coinvolto più spesso.
Hai appena accennato a "Piano Solos", il tuo disco solista. Perché hai deciso di inciderne uno?
Era qualcosa che volevo fare da moltissimo tempo. Il pianoforte è sempre stato uno strumento che giudico personale. Anche durante il periodo in cui suono con i Dévics il pianoforte è sempre una sorta di posto dove torno dopo aver fatto musica. È sempre stato, per me, il modo per concludere la giornata, e il disco è stato un passo naturale perché era qualcosa che stavo scrivendo.
Volevo fare qualcosa che fosse assolutamente non rock, completamente minimale e che non avesse testi. Qualcosa che fosse aperto a tutti, qualcosa che fosse… messo a nudo: sai, con i Dévics il processo di registrazione - e l'intero processo di scrittura del disco - può essere molto lungo. Poi devi sempre pensare a tantissime cose e ti capita, a volte, di pensarci troppo. Ci sono tantissime decisioni da prendere e tutto diventa complicato. Per me questa era l'occasione per fare qualcosa che fosse realmente ridotto al minimo, assolutamente non complicato e che fosse veramente personale.
Non sapevo nemmeno che la Bella Union l'avrebbe pubblicato. Era qualcosa che ho fatto più che altro per me stesso. È capitato di far sentir loro le canzoni e sono piaciute.
Mi ha sorpreso quanta gente l'abbia ascoltato. Sai, era già strano che un disco per pianoforte venisse pubblicato da un'etichetta rock, ma avere tutto quel successo!
Sto già lavorando al n. 2 e l'ho quasi terminato. Spero che esca quest'anno, forse verso la fine.
Ammetto di essere stupita di quanto tu possa considerare "messo a nudo" un disco strumentale. Ho quasi l'impressione che non volessi pubblicarlo...
Sai, è coraggioso fare un disco con un solo strumento e non penso di essere un virtuoso del pianoforte, in realtà non voglio nemmeno esserlo, assolutamente, ma è così "aperto" che c'è stata dell'esitazione. Alla fine era veramente bello perché penso che è così che debba essere. Forse è proprio per questo che è piaciuto a tanta gente: perché è qualcosa che viene percepito come "naturale".
Abbiamo parlato dei tuoi progetti solisti. Anche Sara ne ha?
Sì, Sara sta lavorando al suo disco solista. Mi capita di aiutarla e sta lavorando anche con il nostro bassista, Ed Maxwell. Ha già alcune canzoni pronte.
Sarà un disco con il classico suono dei Dévics?
Quando lavora per conto suo, Sara scrive in maniera totalmente differente: è più orientata verso il cantautorato. Non è molto che suona la chitarra e il suo è un approccio molto innocente.
Penso sia importante per entrambi avere progetti solisti perché in tutte le collaborazioni bisogna scendere a compromessi. È salutare investire le nostre energie in progetti solisti perché è bello avere qualcosa in cui puoi fare esattamente quello che vuoi e dove tutti gli sbagli sono solo tuoi. (sorride).
Torniamo a parlare di te. Hai una formazione classica e hai sempre menzionato Debussy, Chopin e Satie come influenze principali. Come riesci a sfruttare i tuoi studi quando lavori su un disco rock?
Probabilmente è qualcosa che succede a livello inconscio. Credo che incida principalmente in come decido di usare la voce, per il ritornello e forse per alcune linee melodiche. Non saprei: non è una cosa conscia. Probabilmente è più conscio discostarsi dalle classiche influenze rock. Credo sia la sola cosa conscia che accade, solo perché mi rendo conto che molte cose sono già state fatte e, anche in questo periodo, c'è moltissima musica nuova in giro, ma è sempre una ripetizione di quello che è stato fatto negli anni Ottanta.
Credo fermamente sia importante per i musicisti, essere consapevoli del periodo in cui si sta vivendo e non essere nostalgici: quello era il loro momento e quelle persone, in quel periodo, hanno creato delle situazioni, ma erano nel loro periodo e stavano facendo cose che non erano mai state fatte prima. Penso sia importante: è importante sperimentare, anche se non si segue la moda.
Dal mio punto di vista, una influenza classica non ha tempo. In "Piano Solos" c'erano tantissimi riferimenti classici, ma quello che più emerge nelle canzoni del gruppo, è probabilmente il senso armonico.
Suoni tantissimi strumenti. Hai un modo differente di approcciare ogni strumento?
L'unico strumento che abbia mai studiato è stato il pianoforte, quindi il mio approccio con qualsiasi altro strumento che suono è quello di non sapere cosa sto facendo (sorride) che, secondo me, è la cosa migliore perché non hai regole: sei veramente aperto. È un bel momento che purtroppo non dura a lungo perché dopo un po' cominci a comprendere come si suona. Sono sempre molto curioso quando ho uno strumento nuovo e cerco di imparare. Si tratta di mantenere un contatto con un tipo di scrittura innocente e basilare. È un contatto che devi saper mantenere per trovare un equilibrio, per non analizzare troppo quello che fai e ricordare sempre come nascono le cose.
Mi piace la semplicità e non ho mai desiderato di voler suonare qualcosa che possa essere estremamente complicato, perché penso che ci sia molta bellezza nella semplicità. È qualcosa alla quale sto molto attento.
Prima parlavi di voci. Penso che la tua voce e quella di Sara possano essere accostate molto bene, perché allora non duettate mai? C'è una ragione particolare?
Solitamente il fatto che io canti non è una decisione conscia. A volte scrivo una canzone per conto mio e se ne viene fuori qualcosa di buono e ci piace, allora possiamo anche pensare di usarla per il disco.
Ci sono volte in cui a Sara piace cantare in sottofondo a quello che ho scritto, e mi piace perché la sua voce aiuta a tenere un collegamento con il resto del disco.
La cosa più simile a un duetto che abbiamo mai fatto è stata sul nostro disco precedente, "The Stars At Saint Andrea", della quale abbiamo scritto insieme le parole. Di solito lei scrive le sue parole e melodie, e io le mie, nel caso proprio dovessi cantare.
Qual era la tua idea della musica italiana prima di spendere tanto tempo in Italia e come è cambiata? Se è cambiata...
Onestamente, l'idea più diffusa che abbiamo in America è quella di una musica più vecchia, di temi classici. Da quando sono qui, cerco di trovare qualcosa di nuovo, ma per me è difficile: è un campo piuttosto vasto. Alcuni amici mi hanno fatto conoscere alcune cose interessanti. Probabilmente le cose che più mi piacciono sono le colonne sonore di vecchi film. Conosco alcuni gruppi come i Giardini di Mirò e gli Yuppie Flu. Cerco di scoprire altri gruppi, ma è difficile.
Posso chiederti da dove viene il nome?
Per noi è diventato una descrizione della nostra musica. Non gli do altro significato che questo. Non lo colleghiamo con nient'altro anche perché, quando l'abbiamo scelto, non era associato a niente in particolare e penso che ci piacesse l'idea che quel nome potesse rappresentare solo la nostra musica: non era associato a nulla.
Ha un significato antico, ma non è qualcosa al quale siamo legati.
(Milano, 11 gennaio 2006)