Tommy Grace, ufficialmente il synth operator dei Django Django, ci racconta in questa conversazione telefonica quanto, in realtà, il lavoro di scrittura e produzione della band sia più che mai collettivo, seppur guidato dalle idee di David McLean. Le sue risposte danno un'idea precisa della filosofia che sta alla base del lavoro di questo quartetto, giunto ormai al terzo album.
Voi avete detto che, per quanto riguarda la metodologia di lavoro per il nuovo album, siete tornati a ciò che avevate fatto con il primo disco. Quando vi siete resi conto di voler fare questa scelta? È successo per via di come stavano venendo fuori le canzoni, o era qualcosa che volevate fin dal principio?
Non siamo completamente tornati al modo in cui abbiamo fatto il primo disco, ma c’erano cose che, guardando indietro, erano state davvero di aiuto. Ci siamo dati un sacco di tempo e abbiamo mantenuto il controllo su tutto, ma c’erano anche cose che ci erano piaciute di come avevamo fatto il secondo disco, ovvero che siamo andati in uno studio professionale e abbiamo avuto registrazioni davvero buone delle batterie e di altre cose. In definitiva, c’erano certe cose su come abbiamo fatto entrambi i dischi che volevamo mantenere, per cui senz’altro volevamo tornare nel nostro studio personale, che è più o meno come la vecchia camera da letto di Dave, dove avevamo registrato il primo disco ed è stato lì che abbiamo davvero fatto le registrazioni. Abbiamo avuto la sensazione di aver perso un po’ del controllo sul secondo disco, perché avevamo bisogno di un tecnico per controllare quel banco gigantesco in modo da poter fare le cose e cambiarle. Penso che non volevamo avere nessuno in mezzo per quanto riguardava questo disco, era davvero importante per noi.
Riteniamo che questo nuovi disco sia molto più orientato all’elettronica rispetto ai precedenti. Sei d’accordo? Se sì, come ci siete arrivati?
Non è stata proprio una decisione consapevole, abbiamo registrato tanto, avremmo potuto pubblicare due album di canzoni, e quando abbiamo dovuto decidere quali canzoni inserire nell’album, ci siamo resi conto che quelle più elettroniche stavano meglio insieme. Abbiamo molte canzoni acustiche che non sono entrate nel disco, e penso che le metteremo in un altro, forse già a fine anno, e forse non sarà un album completo, ma solo un Ep. Nel nostro studio ora abbiamo un sacco di synth e drum machine retrò e moderne, e volevamo usare tutte queste cose ovviamente. Abbiamo anche fatto dei sample a suonato con altri batteristi. Posso assicurare che anche le canzoni più acustiche sono venute bene.
Vuoi dire qualcosa sul processo di songwriting?
In questo disco, io, Dave e Jim abbiamo lavorato molto più insieme rispetto al passato. Abbiamo realizzato dei demo, poi siamo andati in studio e Dave, che è il principale produttore, ci ha lavorato sopra, lui fa un sacco di taglia e cuci, quindi può essere successo che io o Jim abbiamo scritto una canzone, ma che poi Dave abbia cambiato la sequenza tra strofa, medley e ritornello, o abbia messo il medley come intro, o che abbia cambiato degli accordi, lui è davvero molto abile nel far sì che una canzone scorra bene, il suo lavoro è fondamentale.
Penso che ci siano molti strati nel suono, e la cosa mi piace, inoltre penso che il ritmo non sia semplicemente un battito, ma faccia proprio parte del tessuto sonoro, ed è un’altra cosa che mi piace.
Sì, abbiamo tanti strati, usiamo un vecchio programma che si chiama Cubase, e una delle sue bellezze è che lo puoi usare senza limiti, puoi davvero maneggiare tantissime cose a tuo piacimento, mentre nella maggior parte dei programmi non puoi gestire tutti gli strati che vuoi, anche se vai in uno studio professionale. Abbiamo semplicemente lavorato tantissimo su tutte le canzoni, usando lo tesso approccio "a collage" che ho descritto prima per quanto riguarda la scrittura. Il processo di scrittura consiste nel registrare ciò che abbiamo scritto, metterlo in un computer, tirarlo fuori e fare taglia e incolla, e anche quando lavoriamo alla produzione, lo facciamo allo stesso modo; secondo me, non c’è modo migliore per creare una canzone.
Riteniamo che, in questo disco, ci sia un’interazione diversa tra il ritmo e le melodie rispetto al passato, perché il vostro stile melodico è sempre stato poco convenzionale, e lo stesso si poteva dire dei tempi delle canzoni, invece qui questi ultimi sono più dritti, ma lo stile melodico è simile al passato.
Non sono certo di essere in grado di poter parlare analiticamente di come gli elementi ritmici e melodici stanno insieme, non è una cosa a cui ho particolarmente pensato.
Per quanto riguarda la partecipazione di Rebecca degli Slow Club, la canzone era stata scritta pensando a una voce femminile esterna, o l’avete scritta come se avesse dovuto essere cantata da voi, come tutte le altre?
Ho scritto io la melodia di quella canzone, ma io sono davvero, davvero scarso a cantare, così, quando scrivo le melodie, le suono su un piano o su un synth. Questa l’ho scritta mentre Dave era via... c’era solo questa melodia composta su un synth, poi Dave è tornato, ci ha cantato sopra ed era ok, ma non avevamo trovato il risultato particolarmente interessante, quindi l’avevamo messa da parte per un po’. Un paio di mesi più tardi, Dave ha portato Rebecca in studio, stavano registrando per un progetto solista di lei che si chiama Self Esteem, ma poi Dave la ha chiesto se volesse cantare su quel ritornello, lei lo ha fatto e il tutto suonava davvero bene, così ha finito per cantare tutta la canzone, e ci piace, è una cosa bella.
Secondo noi, c’è un forte senso dell’ironia nella vostra musica. Sei d’accordo?
No, in realtà è proprio una cosa che cerchiamo di evitare, penso che ci possa essere un sense of humour, ma non ci piace l’ironia, soprattutto perché potrebbe sembrare uno scudo, potrebbe sembrare che la si utilizzi per nascondere le proprie emozioni, e non è una cosa che siamo interessati a fare.
Speriamo che siate in tour a lungo e che torniate in Italia, cosa possiamo aspettarci dal vostro attuale live show?
Nuove luci e nuove canzoni, e, per via del modo strano in cui facciamo canzoni in studio, dobbiamo poi impararle di nuovo per suonarle dal vivo, quindi le cambiamo molto, ci piace creare il nostro live-show e che sia una cosa separata dal registrare, cerchiamo di fare sempre le canzoni in un modo specifico per poterle poi suonare dal vivo e cerchiamo di mantenere più energia possibile. Abbiamo iniziato suonando in piccoli concerti a Londra, dove devi essere sempre in grado di tenere la gente in tensione, per cui siamo abituati a suonare con uno stile più “in your face” e abbiamo mantenuto questa caratteristica, quindi spero che ci sia la sensazione di una festa, dove la gente possa ballare. Se la gente balla, allora si tratta di un bel concerto dei Django Django.
(Foto: Fiona Garden)