Dimenticate l'immagine della rockstar tormentata, tanto visionaria e geniale quando scostante al di fuori del palco: di questo stereotipo caro al giornalismo musicale Gavin Hayes, leader dei californiani Dredg, rispecchia ben poco, se non la parte relativa al talento. Mi accoglie rilassato e straordinariamente gentile prima di esibirsi sul palco del milanese Zoe Club, per due chiacchiere sul lungo tour che da mesi tiene lui e compagni lontani dalla natìa San Francisco. A qualche mese di distanza dall'uscita del quarto lavoro di studio, "The Pariah, The Parrot, The Delusion", il quartetto composto da Hayes (voce e chitarra), Mark Engles (chitarra), Drew Roulette (basso e tastiere) e Dino Campanella (batteria e tastiere) si presenta a un pubblico di cultori - i più - e ascoltatori occasionali con un repertorio ricco e sfuggente alle definizioni, seppur elasticamente catalogabile nel genere "alternative". Nell'evoluzione del loro suono, dall'hardcore degli inizi fino all'equilibrio tra potenza e melodia raggiunto negli ultimi lavori, le uniche cifre costanti sono l'originalità e il potere evocativo delle canzoni, dominate dalla malinconica voce di Hayes.
Rieccovi in Italia per la quarta volta. Non è strano esibirsi davanti a un pubblico raccolto, dopo aver suonato tutta l'estate in grandi festival e prima di raggiungere la Germania, dove avete un seguito certamente più di massa?
Ma no, ogni serata è diversa dall'altra e per noi è normale passare da un pubblico di poche centinaia di persone a location molto più capienti. Ci succede non solo in Europa, ma anche negli States. Certo, in Germania, Austria e Svizzera il nostro album è distribuito dalla Universal ed è ovvio che quelli siano i Paesi dove suoniamo di più e dove siamo più conosciuti.
Eppure, nonostante "The Pariah, The Parrot, The Delusion" non sia distribuito nei negozi italiani, avete un buon seguito anche qui. Merito del web?
Internet è certamente un fenomeno incredibile, che ha ormai globalizzato anche gli aspetti della promozione di un album. E poi c'è il passaparola...
A proposito del vostro album, il rapporto tra religione e individuo sembra essere un tema ricorrente e voi stessi avete dichiarato di esservi ispirati al saggio di Salman Rushdie, "Letter to the Six Billionth World Citizen" ("Lettera al sei miliardesimo cittadino del mondo"). Potreste definirlo un concept album?
In realtà abbiamo sempre cercato di evitare questa definizione, anche se la religione è chiaramente un tema ricorrente. Nelle cose che scrivi c'è sempre un legame, un filo conduttore che è semplicemente dovuto a quello che ti accade intorno in quel momento. È il tempo che stai vivendo che ispira ciò che scrivi, senza che questo rientri necessariamente in uno schema.
So che avete addirittura collaborato con Rushdie per una serata di letteratura e musica a inizio ottobre a New York. Come siete entrati in contatto con lui?
Una nostra amica gestisce un club del libro che oltre a promuovere lo scambio di libri è allo stesso tempo un'associazione umanitaria che aiuta i senzatetto e i sieropositivi. Questa persona si è messa in contatto con Rushdie e lui ha accettato di collaborare con noi, anche perché si trattava di raccogliere del denaro da dare in beneficienza. È stata per noi una serata speciale.
Quindi potremmo dire che adesso lui è un vostro fan...
Qualcuno deve avergli detto che il nostro album era ispirato a uno dei suoi scritti e, da quel che ne so, lui l'ha davvero comprato [ride, ndr.]! E così ha conosciuto la nostra musica.
Nell'album c'è una canzone, "Ireland", che parla dell'essere aperti verso il mondo, accettando di vivere lontani dal posto in cui si è nati. Come mai proprio l'Irlanda per il titolo?
A dirti la verità "Ireland" era inizialmente un titolo di lavorazione, provvisorio. Di solito quando componiamo pensiamo a dei colori per descrivere le canzoni, le sensazioni che derivano da un certo suono e l'Irlanda fa pensare al verde. E poi, tra l'altro, la mia famiglia adottiva è originaria di Cork e sono cresciuto in mezzo a molte famiglie irlandesi.
A proposito di luoghi, vi sentite influenzati da a un qualche tipo di scena musicale legata alla vostra città, San Francisco?
Ovviamente, sin dai tempi delle scuole superiori, siamo cresciuti circondati da band e da demo tape che circolavano. Alcuni di quei gruppi hanno avuto successo, altri non hanno mai fatto strada, ma tutti quanti hanno giocato un ruolo nella nostra crescita artistica.
Cosa puoi dirmi delle canzoni registrate dopo "Catch Without Arms" che però non sono finite su "The Pariah, The Parrot, The delusion"? Alcune sono uscite come demo o sono state eseguite dal vivo, verranno mai pubblicate?
Può darsi che alcune finiranno su una versione diversa dell'album, con degli extra, ma ancora non abbiamo deciso.
State già lavorando a nuovi pezzi?
A essere sinceri non siamo quel tipo di gruppo che riesce a comporre mentre è in tour, in giro giorno e notte su un bus! Insomma, non è la situazione ideale per mettersi a scrivere. Durante i soundcheck, però, cerchiamo di prenderci un po' di spazio e usarlo per essere il più creativi possibile. Di solito, poi, lavoriamo individualmente al computer su qualche idea e quando è ora di incontrarsi per scrivere abbiamo, per così dire, una scintilla di creatività su cui costruire.
Il vostro suono si è evoluto profondamente dai tempi del vostro primo album, "Leitmotif". Forse non è un caso che il simbolo dei Dredg sia un ideogramma cinese che significa "cambiamento"...
Infatti. È una parola che certamente simboleggia quello che siamo in quanto musicisti, poiché suoniamo insieme da quando eravamo ragazzini, dai tempi delle scuole superiori. Il simbolo compare sulle copertine di tutti i nostri lavori e, se ci hai fatto caso, dal punto di vista grafico è diverso per ciascun album.
Oltre che musicisti tu e il vostro bassista, Drew, siete pittori. È vero che durante alcuni show americani avete regalato dei suoi quadri?
Sì, abbiamo organizzato una lotteria con in palio dei quadretti dipinti da Drew. Ma che lavoro dietro... Una bella idea, ma molto impegnativa da realizzare.
Però avete anche fatto una cosa ancora più strana: dipingere completamente di bianco una ragazza durante un concerto...
È successo a Londra diversi anni fa! Suonavamo di spalla agli Alien Ant Farm e ricordo che tutto il pubblico ci ha odiato [ride, ndr.]! Per lo più erano adolescenti che si trovavano lì solo per vedere loro, e ci hanno urlato contro di tutto. Alla fine, però, è stato divertente o, se non altro, indimenticabile... E chissà, magari adesso quei ragazzini sono giovani adulti a cui i Dredg piacciono.
Una curiosità: com'è che avete deciso di usare uno Speak&Spell per aggiungere degli effetti in una delle vostra canzoni, "R.U.O.K."? In Italia si chiamava Grillo Parlante ed era un gioco molto popolare negli anni Ottanta...
Un amico del nostro tecnico delle chitarre è un appassionato di giocattoli e modellini e ce l'ha regalato, e in qualche modo abbiamo finito per usarlo.
A un certo punto della canzone si sente lo spelling della parola "R.U.O.K.", che suona come "Are you ok?" Come mai proprio questa frase?
Beh, semplicemente era l'unica frase che si potesse scrivere e che avesse senso [ride, ndr.]!
Che mi dici dell'operazione dei Leaflet Videos, una serie di filmati che avete pubblicato a puntate sul vostro sito e su YouTube nei mesi antecedenti all'uscita dell'album?
Abbiamo ricevuto tantissimi commenti positivi per i video. Per noi è stato un modo per mostrare come procedeva la registrazione dell'album, un album che è arrivato dopo diversi anni dal precedente. E poi è sempre interessante osservare una band in studio di registrazione. Probabilmente in futuro ripeteremo l'esperimento.
Il futuro, appunto. È troppo presto per chiederti cosa c'è all'orizzonte?
Sicuramente dopo il tour ci prenderemo una piccola pausa e poi ci metteremo al lavoro su nuove canzoni. Quello che so è che non vogliamo far passare altri cinque anni prima di pubblicare un altro album.
Direi comunque che "The Pariah, The Parrot, The Delusion" è valso l'attesa...
Diciamo che siamo riusciti a ottenere esattamente quello che volevamo realizzare. La scorsa notte l'ho riascoltato per la prima volta dopo moltissimo tempo, da quando abbiamo terminato di registrarlo. A distanza di tempo vedi le cose da un'altra prospettiva, ma posso dire di essere ancora soddisfatto del risultato.