Zeno Gabaglio

Zeno Gabaglio

Otto battute tra impro e pop

intervista di Salvatore Smedile
Nel doppio ruolo di musicista e performer, Zeno Gabaglio partecipa al Malafestival di Torino e Avigliana (6 -14 dicembre 2008). Due interventi nei quali, dentro il suo completo bianco, ostenta sicurezza e dominio di sé. Quello che impressiona è il suo livello di ascolto, l’attenzione per quanto si svolge intorno a lui, la concentrazione monacale, la presenza fisica. Ha una gestualità pacata, ma dal volto e dal corpo trasudano il suo sangue e la sua passione. Le scarpe bianche con le punte all’insù non si notano affatto. Suona brani di "UNO", il suo primo cd.

Allora Zeno, che ci fai qui?
Sono qui per il mio lavoro che per fortuna mi piace. È la musica. Non è solo suonare ma incontrare persone. Da qualche anno non vado in vacanza. Mi piace quello che faccio e se anche ciò può sembrare strano, per me va bene così. Questa volta coincide con l’uscita del mio nuovo cd.

La risposta entra nel vivo di come Zeno concepisca la musica. Ci mettiamo subito in onda. Mettiamo sul tavolo i due cd per un confronto: "UNO", del 2006, cartoncino grigio con qualche figura apparentemente buttata lì a caso. Cd completamente nero senza alcuna scritta. Sulla seconda e terza di copertina poche notizie di carattere tecnico. "Gadamer", invece, si dichiara con una veste dove niente è lasciato al caso. In evidenza, il gioco dei due colori (celeste e arancione) delle scritte.

Cosa è "UNO" e cosa è "Gadamer"?
"UNO" è la verginità, l’ignoranza. Un prodotto fatto da solo, senza chiedere niente a nessuno. Ha un suo percorso, dove sostanzialmente sono stato solo. "Gadamer", invece, comprende tante novità. Innanzi tutto, una casa discografica svizzera, Altrisuoni, che ha messo a disposizione il suo know how per confrontarsi con il mercato autentico. Dire che sono uscito con un cd numero 248 di Altrisuoni mi rinforza. È un passo avanti nel sistema del music business, si esce da compartimenti marginali fini a sé stessi. Poi c’è la cura del suono. Professionisti della registrazione e della masterizzazione; infine un produttore artistico, Walter Zweifel, che è intervenuto significativamente sul materiale grezzo come un regista. Questo ti porta a metterti in discussione, perché c’è un punto di vista ulteriore che devi considerare. Infine, c’è la copertina, in toto affidata a una grafica.

Cos’è quel relitto che appare in copertina?
È semplicemente il vagone cisterna di un treno fotografato in Ticino.

E quella grande A?
Abbiamo dato alla grafica carta bianca e questo è il risultato.

C’è relazione con la A di "Gadamer"?
La scelta grafica di per sé può essere il titolo, ma vale anche il discorso che il cd non deve averne necessariamente uno. Ognuno fa e poi si vede. È un meccanismo interpretativo.

Avevate un’intenzione pop?
(Gabaglio sorride ma è evidente che è stato toccato in qualcosa di profondo).
Tanta musica ci è stata venduta per grande musica. A me, invece, piacerebbe che i miei cd fossero venduti per la loro spontaneità. Nel lavoro precedente, "UNO", sapevo di escludere. In "Gadamer" il mio desiderio è che otto battute siano comprese dal mio vicino di casa che non sa molto di musica. C’è l’aspirazione verso il basso e contemporaneamente verso l’alto.

Cos’è per te il pop?
È propensione alla compiacenza verso il fruitore. Fare un passo verso la direzione di chi ascolta. Non atrofizzarsi nella rocca della propria intelligenza. Il pop è la consapevolezza che nel mondo c’è una grammatica della comunicazione o, meglio, che ci sono sfumature di comunicazione verso cui bisogna andare. Rock, punk, techno non sono contenuti, ma modi di essere. Quando vado a un concerto, voglio viverlo e non mi importa cosa ha detto il critico di turno.

Dal momento che stiamo parlando di forma, come siete arrivati a concepire il cd?
Io e Andrea siamo di formazione classica e sperimentale. Prima di fare il cd sapevamo che doveva essere qualcosa di simile. Doveva cioè contenere aspetti insoliti e rassicuranti. Cage e musica pop. Per questo ci sono tre pezzi d’improvvisazione realizzati senza predeterminazioni.
Sono cinque anni che suono con Andrea Manzoni, ma non abbiamo mai registrato nulla. Questo cd è stata l’occasione di cristallizzare e mettere insieme le nostre esperienze. Come dicevo, entrambi siamo di formazione classica. Lui si è poi indirizzato verso il jazz; io verso la musica contemporanea.

Cosa ha significato per te suonare con un altro musicista?
L’alterità nei confronti delle idee. In due si litiga, in tre si litiga ancora di più per raggiungere un compromesso.

Perché avete scelto una casa discografica di area jazz?
Io non mi definisco jazzista, ma è cosa buona essere in un’etichetta jazz, perché ti puoi aspettare di tutto. In campo jazz ci si chiede se il jazz esiste ancora, viste le sue contaminazioni con altri generi. Ma in qualunque forma venga suonato si sa che c’è l’improvvisazione nuda e cruda e questo aspetto mi interessa molto. Un altro motivo è che riteniamo che i locali jazz siano quelli dove la nostra musica potrebbe essere più spesso accolta.

Cos’è per te l’improvvisazione?
L’improvvisazione non è casualità. È il frutto di un esercizio votato all’estemporaneo. La musica nasce e muore nel momento della sua esistenza. Se alla fine del concerto ti compri un cd, è solo un feticcio. Vuoi rivivere il tempo della festa che è stata l’esecuzione musicale. L’arte è un momento di vita a sé stante, un tempo diverso.

Passiamo ai titoli. Perché "Chiara", seppure interpretato diversamente, ritorna dal cd precedente?
Non è un tributo a qualcuno. In uno spettacolo di anni fa, colpa della Siae, dovevo dare un nome a un pezzo e ho scelto quello. Andrea lo ha voluto riprendere a tutti i costi nel nuovo cd.

E perché i tre "Impro" non sono numerati in ordine?
In tutto ne abbiamo registrati 16, ma alla fine abbiamo salvato per il cd soltanto questi tre.

Nelle note di ringraziamento ci sono riferimenti a Celan, Mandel’stam, nei titoli riferimenti al celebre "Wahrheit und Methode" di Gadamer. I tuoi interessi sembrano piuttosto delineati.
Sono letture. Di Celan, traduttore di Mandel’stam, mi ha colpito molto la poesia "Psalm" e il verso "Niemandrose". Durante la preparazione del cd, io e Andrea, stavamo giusto leggendo questi autori. Gadamer, come Wittgenstein e Pareyson, mi ha insegnato che l’interpretazione è un meccanismo per incontrare l’alterità. L’opera d’arte non è altro che un processo verso l’altro. E vivere l’arte è un’esperienza concreta. Vita, non proiezione di vita. Ma "Gadamer", in quanto titolo, è soprattutto una questione sonora. Ha in sé un suono che non rimanda ad alcuna lingua in particolare.

E Martinson?
Nelle lingue nordiche sta a significare "figlio di Martin, ovvero, per me, Martin Heiddeger, maestro di Gadamer.

Stiamo parlando di un cd ma stiamo parlando di altro. Zeno esplicita la sua concezione musicale riferendosi ai suoi amati filosofi ai quali ha dedicato anni di università e che custodisce silenziosamente. Schivo com’è, è raro che ne parli.

Qual è il tuo pezzo preferito di "Gadamer"?
Oggi ti direi "Impro 14". Domani potrebbe essere un’altro.

So che a Heidelberg hai dormito nella stanza dove ha alloggiato Hans-Georg Gadamer, il grande vecchio della filosofia occidentale. Pensi che il suo spirito abbia influenzato questo tuo cd?
Potrebbe essere, ma in realtà non credo a queste cose.

(12 dicembre 2008)
Discografia

U N O (Pulver und Asche Records, 2006)

Gadamer (Altrisuoni, 2008)

7

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