19/11/2008

Okkervil River & Black Keys

Magazzini Generali, Milano


Double feature: come in un vecchio cinema americano, di quelli in cui passava le serate da ragazzo Quentin Tarantino. Solo che, stavolta, il doppio spettacolo in cartellone porta un pezzo di indie-rock a stelle e strisce nel bel mezzo del pungente autunno milanese: la visceralità degli Okkervil River e il blues febbrile dei Black Keys insieme in un unico concerto. Due diverse anime – tanto variopinta l’una quanto granitica l’altra – ma un’uguale energia espressiva, pur condensata in uno spazio necessariamente ridotto, con tutti gli inevitabili inconvenienti di un abbinamento più casuale che voluto.

Will Sheff e soci si presentano subito alla platea gremita dei Magazzini Generali con la scintillante melodia di “Plus Ones” e la ritmica spumeggiante di “A Hand To Take Hold Of The Scene”, per poi lanciarsi senza quasi il tempo di prendere di fiato tra le fiamme di una “Black” dall’impeto come sempre travolgente. A dominare la scena sono i brani degli ultimi due album, in un set che privilegia i toni accesi rispetto ai chiaroscuri: la tensione densa di urgenza dei tempi di “Black Sheep Boy” lascia il posto ad un’ardente voglia di coinvolgere corpi e anime. Sheff, al solito in giacca e cravatta scure e camicia bianca, sembra assumere sempre più il physique du rôle del rocker, immergendosi in mezzo al pubblico durante “The Latest Toughs” e scherzando con il suo spirito da trascinatore in “Unless It’s Kicks”: niente di più calzante, del resto, rispetto al concept di due dischi come “The Stage Names” e “The Stand Ins”, entrambi incentrati sul tema delle maschere della fama. Un gioco che si fa più scoperto tra le chitarre scattanti di “Pop Lie”, con Sheff ad assumere dichiaratamente i panni del “bugiardo che ha mentito nella sua canzone pop”.
La nuova arrivata Lauren Gurgiolo (proveniente dai texani Dialtones) lascia la chitarra per la pedal steel in “A Girl In Port”, unica concessione della serata alle atmosfere più distese ed avvolgenti, mentre il bassista Patrick Pestorius fa le veci del transfuga Jonathan Meiburg, duettando con Sheff in “Lost Coastlines”. Nonostante qualche inciampo tecnico, il suono della band è vigoroso e potente come non mai e conduce il climax di “John Allyn Smith Sails” ad esplodere con prepotenza sulle note prese in prestito da “Sloop John B”. Il ritmo scalpitante di “Our Life Is Not A Movie Or Maybe” si frammenta in un intermezzo percorso di dissonanze acuminate, le staffilate di chitarra di “For Real” sferzano impietose con il loro bisogno di verità. E la festa finale di “Unless It’s Kicks” riesce a conquistare anche un pubblico inizialmente titubante, più rivolto al debutto in terra italica dei Black Keys che non al ritorno degli Okkervil River.

La scelta di affiancare nella stessa serata due band così importanti e al contempo così diverse probabilmente avrà avuto il suo riscontro economico, ma il rischio è quello di scontentare sia i fan degli Okkervil River che quelli dei Black Keys. I primi (che forse i Black Keys li conoscono giusto di nome) reclamano i loro beniamini come headliner della serata, i secondi, che attendevano da una vita di vedere in Italia il duo dell’Ohio, si trovano costretti ad assistere, per ovvie ragioni pratiche, ad un mini-concerto della durata di un’ora. Al termine dell’esibizione degli Okkervil River c’è così un letterale ricambio di pubblico: le prime file si svuotano, molti indietreggiano, alcuni già appagati escono direttamente dal locale. Solo dopo una quindicina di minuti il parterre inizia ad essere affollato come ad inizio serata. L’atmosfera è quella un po’ fastidiosa da festival, in cui agli entusiasti si affiancano gli annoiati.
Meglio concentrarsi sulla musica, allora. Vedere i Black Keys nel nostro Paese, infatti, è un evento più unico che raro: Patrick Carney (batteria) e Dan Auerbach (chitarra e voce) paiono esserne a conoscenza e fanno di tutto per regalare al pubblico una performance incandescente. Assistere alla potenza live di questo duo è un’esperienza difficile da descrivere a parole. Nella musica di questa band la tradizione blues statunitense rivive e splende di luce propria. Non è riciclo o sterile citazionismo, è come se Auerbach e Carney avessero assimilato tutto ciò che potevano dai loro leggendari ispiratori, riproponendolo poi in maniera del tutto personale (e così le cover di “Have Love, Will Travel” di Richard Berry, “Everywhere I Go” di Junior Kimbrough o “I’m Glad” di Captain Beefheart non sono piatte riproposizioni, ma interpretazioni sentite e “interiorizzate”). Dai riffoni degni di Jimmy Page di “I Got Mine” al ritmo infuocato alla Jimi Hendrix Experience di “Set You Free”, in mano a questi ragazzi i cliché del rock assurgono al rango di classici.
Al contrario di quello che si poteva pensare, la setlist non favorisce l’ultimo lavoro della band (“Attack & Release”) ma va a pescare a piene mani nel passato del duo (pure un paio di brani dal misconosciuto esordio “The Big Come Up”). La sensazione è innanzitutto quella di una maggiore immediatezza. I brani più recenti sono spuri dagli orpelli elettro-funk del produttore Danger Mouse: “Same Old Thing” è priva dei flauti sixties della versione in studio, “Psychotic Girl” perde il suo groove quasi hip-hop per concentrarsi attorno ai monolitici riff di Auerbach. Carney pesta sulla batteria come un matto (i piatti finiscono più volte a terra, le bacchette si spezzano in molteplici occasioni), occhi chiusi, totale concentrazione sulla propria esibizione: lo spazio ridotto non dà tempo per pause, saluti, fronzoli inutili.
L’energia del live è esplicitata nella condizione devastata dei due musicisti, sudati e spossati, come capita di rado di vedere. Il pubblico e i fan si scatenano sulle note di “Your Touch” (da “Magic Potion”), “Girl Is On My Mind” e “10:00 Automatic” (dal capolavoro dei Black Keys, “Rubber Factory”), mentre paiono meno coinvolti negli attimi più meditativi (le già citate cover di Captain Beefheart e Junior Kimbrough), ma non per questo meno riusciti o intensi. Alla fine resta il rimpianto per la breve durata dello show e per l’acustica non eccelsa (i bassi talvolta fanno vibrare le budella e il cantato di Auerbach non è facilmente udibile), ma trovare altri difetti sarebbe come cercare il proverbiale pelo nell’uovo.

(25/11/2008)

Setlist

Okkervil River

1. Plus Ones
2. A Hand To Take Hold Of The Scene
3. Black
4. The Latest Toughs
5. A Girl In Port
6. John Allyn Smith Sails
7. Pop Lie
8. Lost Coastlines
9. Our Life Is Not A Movie Or Maybe
10. For Real
11. Unless It’s Kicks

Black Keys

1. Thickfreakness
2. Set You Free
3. Same Old Thing
4. Girl Is On My Mind
5. 10 A.M. Automatic
6. Stack Shot Billy
7. Busted
8. Everywhere I Go (
Junior Kimbrough)
9. Strange Times
10. Your Touch
11. The Breaks
12. No Trust
13. I’m Glad (Captain Beefheart)
14. Have Love, Will Travel (Richard Berry)
15.
I Got Mine

encore

16. Psychotic Girl
17. Till I Get My Way

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