

L'ultimo chiarore della giornata ha da poco lasciato spazio al buio della sera quando sul palco salgono Nunzio Barbieri, Luca Enipeo, Daniele Dall'Omo (chitarre), Lucio Caliendo, Claudio Chiara, Luca Velotti (fiati), Daniele Di Gregorio (batteria e percussioni), Massimo Pizianti (pianoforte, tastiere e fisarmonica), Piergiorgio Rosso (violino), Jino Touche (contrabbasso). Paolo Conte si presenta a musica già iniziata, e l'intro strumentale si trasforma subito in "Cuanta Pasion", il più esplicito inno alla vita nel vasto repertorio del maestro piemontese. Giacca a coprire una semplice maglia, in piedi di fronte al microfono, le mani tambureggianti sui fianchi e quella inconfondibile voce roca a coprire l'intera distanza tra palco e platea: non c'è bisogno d’altro per far ripartire un discorso mai interrotto.
La prima parte del concerto è una piccola carrellata di classici che riportano a epoche distanti, eppure così vicine: "Sotto le stelle del jazz", ricordo a tinte forti di un impareggiabile apprendistato musicale; "Come di", sempre fresca e sbarazzina; "Alle prese con una Verde Milonga", dichiarazione d'amore alla musica e alla tradizione sudamericana. Il tutto condito dalle consuete smorfie, dai tocchi sul pianoforte, quel campionario di gesti ed espressioni che condiscono le canzoni e gli intervalli, cercando in un modo un po' burbero di non farsi travolgere dal pathos. Quando meno te l'aspetti, arriva una versione di "Bartali" totalmente stravolta fino al primo ritornello. Non fosse per quelle celebri parole, nessuno riconoscerebbe l'identità di un pezzo così festoso e genuino che si riscopre all'improvviso immerso in una dimensione lontana, come un'istantanea che riemerge dagli abissi della memoria prima di ritrovare i tratti, i colori e lo spirito che la contraddistinguono.
Una breve pausa fa da spartiacque al concerto, e si ritorna in pista con "Dancing" e "Gioco d'azzardo", un binomio che racconta molto della classe di Paolo Conte, capace come nessun altro di descrivere situazioni intense, in un vortice di sentimenti che abbracciano la tenerezza e il carattere burbero, la malinconia e il rimpianto, in un gioco di chiaroscuri nel quale non si sa mai se e quando riesca a prevalere l'una o l'altra anima. La musica sarà pure pagana, ma quella di Conte sa portare per mano l'ascoltatore ben oltre i confini del vissuto, guidandolo attraverso esperienze quantomai vivide e reali.
All'interno del concerto non mancano capitoli più recenti, anche perché la produzione si è da poco arricchita di un nuovo album, "Nelson", dedicato all'amatissimo cane. Ma il culmine del live, e non potrebbe essere altrimenti, giunge sulle note della celebre "Via con me", scandita con entusiasmo dal pubblico che batte le mani a tempo. C'è ancora spazio per l'interminabile cavalcata di "Diavolo rosso", nella quale si ergono a protagonisti assoluti i solisti, e quando, dopo una strepitosa versione di "Sijmadicandhapajiee", estratta da quel grande album che è “Una faccia in prestito”, il maestro artigiano fa segno di non averne più, le luci si accendono e la platea si alza in piedi per omaggiare con una lunga standing ovation il grande cerimoniere e la sua orchestra.
Il fatto che all'appello manchino una miriade di celebri pezzi illude più di uno che ci possa essere un terzo atto, ma così non è. In fondo, il segreto dei grandi artisti è che vorresti non smettessero mai.