Poi le canzoni nuove: la title track “Snob”, col suo triangolo amoroso di provincia macerato in dolci abissi di malinconia, e l'altrettanto struggente “Argentina”, storia di migranti sotto la luna e di “scarpe frustate” sui viali di Buenos Aires, due pezzi che potrebbero tranquillamente aggiungersi a un suo ideale “Best Of”, quello in cui finirebbero di diritto i tanti classici riproposti in questa mirabolante scaletta: dall'immancabile “Vieni via con me”, suonata con piglio lievissimo e scanzonato, alla trascinante “Max”, con batteria quasi silente e vibrafono sugli scudi.
Il pubblico applaude spesso già dalle prime note, e si finisce quasi sempre in ovazione. E lui lì, ritto, anzi sbilenco, al centro del palco, con la sua senilità fiera e il suo contegno ritroso da inveterato orso: mai una parola in più di quelle delle canzoni. Come quelle, toccanti a dir poco, di "Una giornata al mare" - pezzo firmato dal fratello Giorgio e qui riletto con solo piano e voce - o quelle dolenti di una intensissima “Gioco d'azzardo” e quelle ancor più sentimentali de “Gli impermeabili”, apice della tetralogia del Mocambo, e dell’intimista “Madeleine”, ripescata dallo stesso album della Verde Milonga. Con Conte si viaggia sempre ad alta quota, che sia lassù, nei cieli esotici di “Aguaplano”, o sulla strada, lungo i boulevard piovigginosi di una Parigi dell'anima in "Le chic et le charme". Sospesi nel tempo, sulle corde della sua voce, sempre brumosa, arrochita, a volte solo condensata in un soffio.
“Diavolo rosso”, epopea del ciclista-pioniere Giovanni Gerbi, è l'apoteosi a passo di foxtrot, il momento per valorizzare il virtuosismo dei musicisti, a cominciare dal chitarrista manolesta che sferraglia incessante dall'inizio alla fine, sino ai due assoli-clou: quasi klezmer quello del clarinetto, letteralmente diabolico, di nome e di fatto, quello del violinista Rosso. E il teatro esplode in un applauso infinito, liberatorio. Occhi lucidi e brividi lungo la schiena.
Giù il sipario: la compagnia saluta. È tempo di bis. Ma ce ne sarà uno solo, il divertente “Sijmadicandhapajiee” (da "Una faccia in prestito", 1995), a chiudere una serata troppo densa di emozioni per poter essere raccontata fino in fondo. Vedere e ascoltare per credere, il resto son solo giornali che svolazzano.
I musicisti
Paolo Conte (voce, piano)
Nunzio Barbieri (chitarra, chitarra elettrica)
Lucio Caliendo (oboe, basso, percussioni, tastiera)
Claudio Chiara (sax, flauto, basso, tastiera)
Daniele Dall’Omo (chitarra)
Daniele Di Gregorio (batteria, percussioni, marimba, piano)
Luca Enipeo (chitarra)
Massimo Pitzianti (clarinetto, sax, bandoneon, fisarmonica, piano, tastiera)
Piergiorgio Rosso (violino)
Jino Touche (basso, chitarra elettrica)
Luca Velotti (sax, clarinetto)