04/12/2014

Paolo Conte

Teatro Sistina, Roma


“Vieni qui con noi a berti un'aranciata
controluce tutto il tempo se ne va”

Su il sipario al Sistina: stasera le stelle del jazz stanno a guardare. C’è Paolo Conte con la sua orchestra. E il teatro è gremito del pubblico più trasversale ed eterogeneo mai visto: da adolescenti indie con barbetta d'ordinanza ad anziane signore ingioiellate, passando per tutto un mondo. Del resto, se ci sono canzoni alle quali l’espressione “senza tempo” calza come un guanto, queste sono proprio quelle del cantautore astigiano, prestigiatore di parole e musiche perse in uno spazio-tempo indefinito, proprio come si confà ai classici. E stasera, di classici, l’Avvocato ne ha in serbo tanti, preferiti, in buona parte, alla tracklist dell’ultimo album “Snob”, dal quale saranno estratti solo tre brani. Tra questi, proprio l’incipit del concerto: “Tropical”, samba gigionesca di rime in “al” (illusional, gerovital, abitual, subliminal), che introduce la compagnia: più casual (tanto per restare in “al”), in giacca e maglia nera, il settantasettenne Maestro, in smoking i dieci formidabili musicisti che lo accompagnano.

Gli anni passano e Conte non lo nasconde: pare quasi tradire qualche segno di stanchezza quando guadagna lentamente il centro del palco e si accosta al piano. Poi però, nello sguardo, gli vedi balenare quella scintilla che, a suo dire, ha ispirato anche la nascita di “Snob”, quel misto di classe, mestiere e sentimento che irretisce subito il pubblico quando la sua mano scivola con leggerezza sui tasti del piano e la sua voce sussurra i suoi versi impareggiabili: “Ladri di stelle e di jazz, così eravamo noi... Le donne odiavano il jazz, non si capisce il motivo”. Un amarcord commovente di melanconie sospese, quella “Sotto le stelle del jazz” che risplende con le sue atmosfere notturne e confidenziali e i suoi sapori d’antan da honky tonk e brass band. Il pubblico è già incatenato e la doppietta “Come-di”- “Alle prese con una verde milonga” lo manda al tappeto. “Il musicista si diverte e si estenua” come da copione, tra smorfie, sussurri e sguardi sornioni, attorniato da un'orchestra che gira come un motore perfetto, tra treni di fiati e chitarre incalzanti. E non c’è verso di resistere a quella Milonga sfibrata, fatta di parole allungate, refoli di sax e rintocchi morbidissimi di piano: al Sistina ci si spella le mani come ai tempi belli.

 

Paolo Conte - Roma - Teatro Sistina


Poi le canzoni nuove: la title track “Snob”, col suo triangolo amoroso di provincia macerato in dolci abissi di malinconia, e l'altrettanto struggente “Argentina”, storia di migranti sotto la luna e di “scarpe frustate” sui viali di Buenos Aires, due pezzi che potrebbero tranquillamente aggiungersi a un suo ideale “Best Of”, quello in cui finirebbero di diritto i tanti classici riproposti in questa mirabolante scaletta: dall'immancabile “Vieni via con me”, suonata con piglio lievissimo e scanzonato, alla trascinante “Max”, con batteria quasi silente e vibrafono sugli scudi.
Il pubblico applaude spesso già dalle prime note, e si finisce quasi sempre in ovazione. E lui lì, ritto, anzi sbilenco, al centro del palco, con la sua senilità fiera e il suo contegno ritroso da inveterato orso: mai una parola in più di quelle delle canzoni. Come quelle, toccanti a dir poco, di "Una giornata al mare" - pezzo firmato dal fratello Giorgio e qui riletto con solo piano e voce - o quelle dolenti di una intensissima “Gioco d'azzardo” e quelle ancor più sentimentali de “Gli impermeabili”, apice della tetralogia del Mocambo, e dell’intimista “Madeleine”, ripescata dallo stesso album della Verde Milonga. Con Conte si viaggia sempre ad alta quota, che sia lassù, nei cieli esotici di “Aguaplano”, o sulla strada, lungo i boulevard piovigginosi di una Parigi dell'anima in "Le chic et le charme". Sospesi nel tempo, sulle corde della sua voce, sempre brumosa, arrochita, a volte solo condensata in un soffio.

“Diavolo rosso”, epopea del ciclista-pioniere Giovanni Gerbi, è l'apoteosi a passo di foxtrot, il momento per valorizzare il virtuosismo dei musicisti, a cominciare dal chitarrista manolesta che sferraglia incessante dall'inizio alla fine, sino ai due assoli-clou: quasi klezmer quello del clarinetto, letteralmente diabolico, di nome e di fatto, quello del violinista Rosso. E il teatro esplode in un applauso infinito, liberatorio. Occhi lucidi e brividi lungo la schiena.
Giù il sipario: la compagnia saluta. È tempo di bis. Ma ce ne sarà uno solo, il divertente “Sijmadicandhapajiee” (da "Una faccia in prestito", 1995), a chiudere una serata troppo densa di emozioni per poter essere raccontata fino in fondo. Vedere e ascoltare per credere, il resto son solo giornali che svolazzano.

I musicisti

Paolo Conte (voce, piano)

Nunzio Barbieri (chitarra, chitarra elettrica)
Lucio Caliendo (oboe, basso, percussioni, tastiera)
Claudio Chiara (sax, flauto, basso, tastiera)
Daniele Dall’Omo (chitarra)
Daniele Di Gregorio (batteria, percussioni, marimba, piano)
Luca Enipeo (chitarra)
Massimo Pitzianti (clarinetto, sax, bandoneon, fisarmonica, piano, tastiera)
Piergiorgio Rosso (violino)
Jino Touche (basso, chitarra elettrica)
Luca Velotti (sax, clarinetto)